Bergamo senza confini / Bergamo Città
Domenica 28 Novembre 2021
«Tumore al seno,
la mia battaglia
nell’ospedale
del Canton Ticino»
A 47 anni è responsabile clinico del Centro di senologia della Svizzera italiana. La storia di Francesco Meani. I primi passi all’Istituto europeo di oncologia a Milano.
«Durante gli ultimi anni di Università, quando uno studente in medicina deve decidere quale sarà il suo percorso futuro, ho conosciuto, grazie a cari amici di famiglia, il dottor Alberto Costa, noto senologo milanese, che a quel tempo lavorava all’Istituto europeo di oncologia, a fianco di Umberto Veronesi, e che mi ha offerto da subito, fino ancora a oggi, il suo tutoraggio. Alberto mi ha permesso in quegli anni di frequentare occasionalmente le sale operatorie di Senologia dell’Ieo e successivamente la Breast Unit della Fondazione Maugeri di Pavia. Da lì è iniziata la mia carriera nella lotta al tumore al seno».
Francesco Meani, 47 anni, nato e cresciuto a Bergamo, descrive così il periodo in cui ha deciso la strada che avrebbe voluto intraprendere nella sua vita. Laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli studi di Brescia nel 2002, ha poi conseguito un diploma di Master in Senologia presso l’Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano, patrocinato dall’Università degli studi di Milano, e in seguito, dal 2004, ha frequentato la Scuola di specialità in Ginecologia e ostetricia presso l’Università di Brescia. Nel 2008, durante l’ultimo anno di Scuola di Specialità, si trasferisce a Washington con una Research fellowship dell’Istituto superiore di sanità (rientrando temporaneamente in Italia per conseguire il titolo di specializzazione a fine 2008). Da maggio 2010, infine, vive a Lugano, dove lavora all’Ente ospedaliero cantonale nel Dipartimento di ginecologia.
«Dal 2018 ricopro il ruolo di responsabile clinico del Centro di senologia della Svizzera italiana, Cssi. Coordino un gruppo di più di 30 specialisti afferenti da 10 specialità differenti (tutte coinvolte nella gestione multidisciplinare del carcinoma mammario) a cui si aggiungono medici in formazione, infermiere specializzate, assistenti di studio medico, data manager, ricercatori. Il Cssi, fondato nel 2005, è attualmente (dal 2009) l’unico centro specialistico certificato per la diagnosi e la cura del tumore del seno in Ticino. Può vantarsi di essere un centro specialistico di prim’ordine, con il know how dei grossi centri internazionali e, allo stesso tempo, i vantaggi della scala ridotta che ci permette di accogliere, curare e persino “coccolare” un po’ le pazienti durante il ricovero, con attenzioni mediche e infermieristiche molto difficili da pretendere in altre realtà. Garantiamo la diagnosi entro cinque giorni lavorativi dal primo contatto con la paziente; il trattamento entro 20 giorni e l’esame istologico entro una settimana dall’intervento. Tempistiche invidiabili».
Dall’America al vecchio continente è stato un cambiamento radicale e repentino. «In due giorni sono stato teletrasportato da una realtà in scala maxi, dove, ad esempio, potevo fare la spesa alle 23 nei grandi department store americani, aperti 24 ore su 24, a una nuova vita, in scala ridotta, nel Canton Ticino, dove i negozi abbassano le serrande alle 18.30, al sabato alle 17 e la domenica i ristoranti sono chiusi per turno di riposo. L’aspetto lavorativo però è stato da subito eccitante: nonostante le “scala ridotta” della realtà ticinese, l’organizzazione del lavoro, le risorse a disposizione, l’efficienza delle strutture, dei professionisti e dei flussi operativi, mi hanno subito conquistato. Sono entrato nel reparto di Ginecologia diretto dal dottor Thomas Gyr, in una posizione ancora di formazione professionale, ma presto ho cominciato la mia scalata verso ruoli di maggiore responsabilità, mentre accrescevo la mia esperienza clinica nella laparoscopia ginecologia e soprattutto, parallelamente, nel trattamento del tumore al seno presso il Centro di senologia della Svizzera Italiana, ignaro che ne avrei più avanti assunto la direzione».
In Svizzera integrarsi al di fuori della realtà lavorativa non è stato subito semplice . «Il lavoro e la crescita professionale hanno assorbito le mie giornate per i primi anni in Ticino. Una grande fortuna è stata quella di incontrare un primario di Ginecologia, il dottor Thomas Gyr, che si è rivelato una grande uomo, un capo e leader carismatico e anche un ottimo amico, con il quale condividevo la passione per la bicicletta. C’è voluto poco affinché cominciassimo, dopo il lavoro o nei weekend, a scorrazzare insieme “In bicicletta su e giù per il Ticino” come titola il libro di Nicola Pfund. Oltre a tirarmi il collo in bicicletta, il Dr Gyr mi ha dato l’opportunità di imparare il mestiere e la chirurgia».
«La vicinanza con l’Italia è però un’arma a doppio taglio – ricorda –. I rientri frequenti nel weekend hanno reso più lenta l’integrazione. Dopo 5 anni, nel 2015, ho incontrato Nicoletta e nel 2018 eravamo già in quattro: con Jacopo e Federico». Bergamo, certo, manca, «gli amici, la famiglia, un aperitivo la sera prima di rientrare a casa, cose semplici, quotidiane. Lavorare in Italia invece non manca: purtroppo è cosi, soprattutto per un medico. Ora torno meno. Il tempo è poco e ci sono anche le legittime esigenze dei bimbi . Quando rientriamo però è una festa per tutti e vedere i nonni di Bergamo è una gioia. Whatsapp aiuta. Le videochiamate, anche. I bimbi sono felici di farle ma non resistono e toccano lo schermo in continuazione interrompendo la chiamata e rendendo anch’essa un’impresa e una giocosa battaglia. Per me è sempre bello rientrare e spesso mi scopro a sognare momenti di quotidianità a Bergamo. Qui però sto bene, ho ancora obiettivi, anche ambiziosi, da raggiungere. Fra questi l’idea di sviluppare l’attività di un centro specialistico capace di offrire le migliori cure possibili, senza chiedere ai pazienti (si, “ai pazienti”, non “alle” perché il tumore al seno colpisce anche l’uomo) di accettare inospitalità dovute a carenze delle strutture o del personale. Per lasciare tutto questo, dovrebbero arrivare proposte molto allettanti».
Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della comunità bergamasca onlus. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per un anno l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected] .
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