
Bergamo senza confini / Valle Seriana
Domenica 23 Marzo 2025
«Qui Michigan: carriera al top ma mi mancano cibo, amici e affetti»
LA STORIA. A 33 anni Claudia Servalli è chimico formulatore per la sede americana dell’azienda EFI Reggiani. «Gli Usa? Non è tutto Hollywood, tante le differenze».

La voglia di crescere e di avere nuovi stimoli lavorativi, ha portato Claudia Servalli, 33enne di Gandino, negli Stati Uniti, in Michigan. Da febbraio 2024 vive nella cittadina di Ann Arbor, a un’oretta da Detroit. Alle spalle altre esperienze all’estero durante gli studi. «Mi sono laureata in Chimica all’università di Milano nel dicembre 2016 – racconta ripercorrendo la sua carriera – e ho iniziato a lavorare stabilmente nel 2017 presso l’azienda EFI Reggiani (ex Reggiani Macchine) come tecnologa chimica per circa sei anni. In questo ruolo mi sono occupata principalmente dello studio e applicazione di inchiostri per la stampa digitale sui tessuti. Il mio lavoro consisteva nello studiare il comportamento degli inchiostri in stampa sulle macchine, delle loro proprietà sul tessuto stampato e di ottimizzare i processi relativi alla stampa su diversi tipi di tessuti. Ho avuto modo di collaborare spesso con vari colleghi nelle diverse sedi aziendali, tra cui Turchia, Regno Unito e Stati Uniti, per lo sviluppo di nuovi inchiostri e prodotti. La decisione di partire è avvenuta in maniera abbastanza casuale».
Da febbraio 2024 vive nella cittadina di Ann Arbor, a un’oretta da Detroit. Alle spalle altre esperienze all’estero durante gli studi
«A fine estate del 2023, un collega del reparto ricerca e sviluppo inchiostri, mi ha proposto per una posizione come chimico formulatore in una delle sedi americane della mia azienda – ricorda –. Dopo più di sei anni nello stesso ruolo, sentivo di aver bisogno di essere stimolata maggiormente e stavo valutando se cercare un altro lavoro. Questa opportunità è capitata nel momento più opportuno: nonostante fossi un po’ spaventata dal cambio così radicale, ho deciso di accettare e a fine febbraio 2024 mi sono trasferita nella sede in Michigan, nel nord-est degli Stati Uniti. Ho iniziato a lavorare come chimico formulatore per lo sviluppo di inchiostri per la stampa digitale in ambito tessile. Ho fatto il giro al contrario diciamo: dall’applicazione alla formulazione. Quindi è stato un “win-win”, lavoro con nuovi stimoli, possibilità di diventare una professionista più completa senza avere la necessità di cambiare azienda. Anzi, la mia esperienza previa mi sta aiutando molto nel lavoro attuale perché mi dà una visione d’insieme che non avrei avuto se avessi fatto il “topo da laboratorio” fin dall’inizio».
«Mi sento europea»
A portarla così lontano la posizione lavorativa appetibile: nel futuro la gandinese si vede in Europa. «Non ho mai avuto il sogno americano se devo essere sincera – confessa –, volevo fare un’esperienza lavorativa all’estero ma nei miei piani c’era l’idea di rimanere in Europa. Mi sono trasferita qui in Michigan principalmente per la posizione lavorativa. Il mio visto ha una prima durata di tre anni (posso estenderlo per altri due eventualmente), e il mio piano per ora è di completare il ciclo e poi tornare in Europa, quindi ancora un paio di anni praticamente. Ovviamente tutto può cambiare, ma sono abbastanza sicura di non voler rimanere a vivere qui per un lungo periodo. Non sono sicura se tornerò a Bergamo o se andrò da altre parti, ma l’idea è quella di vivere in Europa, perché è dove mi sento più a casa».
«Mi sono sentita per la prima volta “europea”, e non strettamente italiana, nella prima esperienza all’estero che ho fatto durante le superiori – spiega –. Ho vissuto in una famiglia in Costa Rica per sei mesi tramite il progetto di Intercultura. È stata una delle esperienze più rilevanti e fondative della mia vita: mi ha permesso di crescere come persona, di conoscere tantissime culture diverse, con parecchi studenti provenienti da tutto il mondo. Inoltre ho vissuto tutte le “prime volte di un’expat”: shock culturali, lontananza da casa, adattamento etc. Il conoscere meglio il mondo e le diverse culture (anche tramite viaggi negli anni successivi), mi ha spinta a essere più cosciente della mia identità».
Non è tutto Hollywood
Da quando mi sono trasferita qui, penso influisca molto anche il fatto che ci sono molte manager donne nel mio gruppo, mi sento più serena e sicura di me stessa nel lavoro, non devo dimostrare “doppiamente” di essere in grado per essere ascoltata e presa sul serio, o “lottare” per farmi valere, ma saper fare il mio lavoro bene è abbastanza. Il mio motto ora è: umiltà ma consapevolezza delle mie competenze, basta essere insicura quando non serve».
Negli Stati Uniti aspettative ripagate, e più spazio alle donne. «Le mie aspettative erano quelle di crescere lavorativamente – precisa –, e di diventare una professionista più completa. Ripagate al 100%. Mi piace il mio lavoro, sto imparando tanto e ho acquisito molta più sicurezza in me stessa e consapevolezza nelle mie capacità. La mia precedente esperienza lavorativa è stata molto arricchente, sfidante e devo ringraziare il mio responsabile di allora, perché mi ha fatta crescere molto come lavoratrice. Però come donna è stato anche parecchio difficile, perché il mondo lavorativo nella maggior parte delle aziende italiane, soprattutto in ambito tecnico, è ancora parecchio maschilista, spesso in modo subdolo perché le persone non se ne rendono conto e ciò è ancora più pericoloso. Da quando mi sono trasferita qui, penso influisca molto anche il fatto che ci sono molte manager donne nel mio gruppo, mi sento più serena e sicura di me stessa nel lavoro, non devo dimostrare “doppiamente” di essere in grado per essere ascoltata e presa sul serio, o “lottare” per farmi valere, ma saper fare il mio lavoro bene è abbastanza. Il mio motto ora è: umiltà ma consapevolezza delle mie competenze, basta essere insicura quando non serve».
«Negli Stati Uniti tutto è più grande: le strade, le macchine, le porzioni al ristorante, i supermercati. Il consumismo è sfrenato così come lo spreco, ci sono alcune contee che fanno la differenziata, ma in generale c’è poca consapevolezza dell’ambiente. Le persone comprano e buttano continuamente. La maggioranza delle città non ha un vero centro, ma solo case e negozi. Si usa l’auto per fare tutto. Altro tema che è stato fonte di shock culturale è la sanità, ma ci vorrebbero pagine per spiegarlo. Diciamo che gli Stati Uniti, se sei ricco e sano, sono un bel posto, ma è una società molto diseguale. Un’altra cosa molto diversa, a mio avviso, è la socialità. Le persone qui sono cortesi, ma molto individualiste. Il cibo, soprattutto per noi italiani, è sinonimo di socialità e possiamo stare ore a tavola a parlare e mangiare; per un americano medio invece il cibo è sinonimo di nutrimento, non c’è una vera gioia nel mangiare. I pasti sono molto più corti, è come se avessero una “batteria sociale” molto più piccola, che si scarica velocemente e quindi vogliono tornare a casa il prima possibile. Per alcune persone in realtà questo è un fattore positivo, ma a me piace molto stare con la gente e parlare. Sono comunque tutte generalizzazioni quelle che sto facendo e i miei giudizi sono parziali».
Family, food and friends
«Riassumo quello che mi manca di casa, con le 3F: food, family, friends (cibo, famiglia, amici) – spiega –. Sul cibo non penso ci sia bisogno di fare commenti. A parte il costo dei ristoranti elevato (con mancia del 20%), la qualità è molto più bassa negli Stati Uniti. Non ho parlato molto della mia famiglia, ma il voler tornare in Europa nei prossimi anni è influenzato molto anche dal fatto che voglio essere più vicino a tante persone speciali come loro. Ah, ecco mi mancano anche le montagne (lo stato in cui vivo è completamente piatto), il mare e vedere belle città: siamo fortunati ad avere tutto vicino».
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