«Quanti sacrifici
ma ai ragazzi dico:
non cercate
occasioni, createle»

«Pendolare italo-londinese», scrive di sé Valentina, spiegando in uno dei suoi profili che «quando sono sveglia scrivo, quando dormo sogno». In realtà, fa molto, molto altro: in terra d’Albione dirige un corso di laurea e insegna, mentre nel cuore del Belpaese gestisce, insieme a due soci, una casa di produzione. Il settore, in entrambi i casi, è quello dei media e della comunicazione audiovisiva, che è un po’ come tenere costantemente aperta una telecamera a 360°.

Nata a Gorle nel 1989, Valentina Signorelli vive a Londra dal 2013. Dopo essersi laureata alla Sapienza di Roma venne selezionata per un dottorato in film all’University of Westminster: «Ho fatto ricerca per quattro anni e non sono stati giorni semplici. Colloqui su colloqui, contratti a ore, collaborazioni precarie con più università, anche contemporaneamente. Ogni giorno mi recavo in una facoltà diversa: paesini distribuiti nei sobborghi, raggiunti col treno spendendo cifre esagerate. Oggi dico che ho fatto scelte azzeccate, ma in realtà quelli sono stati tempi duri, in cui piangevo tutti i giorni».

Lacrime amare, versate però su un progetto di vita conficcato nel cemento della tenacia. «Per non farmi mancare proprio nulla mi sono dedicata all’abilitazione scientifica nazionale, con 600 ore di corso e due esami. Intanto provavo sulla mia pelle cosa significhi essere straniero in una terra che non perde occasione per ricordartelo e non certo per questioni di lingua: vivere una quotidianità che non ti appartiene è un banco di prova davvero duro. Un esempio? Fare la dichiarazione dei redditi è complicato da noi, figuriamoci per un italiano in Inghilterra: e queste cose ti fanno capire come possono sentirsi gli stranieri che vengono in Italia e trovano l’accoglienza che ben sappiamo».

Quello della diseguaglianza e dell’integrazione è, come vedremo fra poche righe, un tema caldo su cui Valentina mette di sovente il suo accento accalorato. Ma per completare la sua storia di affermazione professionale va ancora raccontato di come ha trovato cattedra alla University of East London: «Monitoravo ogni giorno il portale dedicato a concorsi e offerte di lavoro in ambito accademico: alla Uel, ho fatto e passato le selezioni previste e da ottobre 2019 ho un posto fisso, con l’incarico di “course leader”, direttrice del corso di laurea di Media and Communication. Contratto a tempo indeterminato, con incarichi di responsabilità e trattamento sicuramente gratificante, ma questo non significa certo che ci si possa rilassare, anzi: qui le condizioni sono ferree, se non sono contenti ti rimuovono senza troppi problemi».

Nel suo ruolo di dirigente, Valentina coordina un team di sei docenti. Tutti inglesi. Tutti bianchi. Invece gli studenti sono in maggioranza neri, diciamo che la rappresentanza black british si può stimare nel 60% e in prevalenza abita nel sud est di Londra. «I loro contesti sono sostanzialmente dimessi, anche perché è inutile girarci intorno: chi nasce nero, nasce svantaggiato. Il movimento Black Lives Matter è servito a spiegare che il razzismo esiste non tanto a livello interpersonale, ma che certe strutture della società sono tendenzialmente razziste, a cominciare dalla evidente distinzione che qui esiste fra scuola pubblica e privata».

Gli alunni di Valentina sono abituati alla diversità, a lavorare sin da piccoli e a cavarsela da soli, a gestire bimbi e anziani: «In questo loro background io vedo però una grandissima ricchezza che oggi è diventata orgoglio profondo, perché la loro è la prima generazione ad andare all’università e ad avere la possibilità di affrancarsi. E trovo molto stimolante sentirmi coinvolta in questo percorso di affermazione». Così diventa persino intrigante studiare sempre nuove soluzioni per venire incontro alle esigenze della classe: «Fra lockdown e lezioni on line, non sempre agevoli per questioni di orari e connessioni, ho finito con il registrare un grande numero di podcast: i file restano sempre disponibili e ognuno può ascoltarli quando vuole, magari mentre è impegnato nelle attività di casa o nella cura di figli e fratellini. Parliamo di famiglie svantaggiate, di tanti giovani già diventati genitori».

Insomma, dinamiche cariche di incognite e motivazioni. Accanto a esse Valentina trova anche il tempo per destreggiarsi in un altro progetto lavorativo, questo sviluppato in Italia insieme a un paio di amici. «Mi è sempre piaciuto guardare film, leggere, affacciarmi su orizzonti immaginari. Lo stesso interesse che coltivano anche Lorenzo Giovenga e Lorenzo Lazzarini, con cui ho provato a dargli una prospettiva: non volevamo far parte della generazione dei precari, dei sacrifici, degli stage non retribuiti». Si sono seduti a un tavolino e si sono detti che, se proprio si doveva lavorare a niente euro, tanto valeva farlo per se stessi: «Così abbiamo creato Daitona, una piccola casa di produzione audiovisiva: ha sede a Roma, le tasse le paghiamo in Italia (ride, ndr). Cerco di conciliare le sue esigenze con i miei impegni londinesi e quando posso volo per raggiungere i set». Anche qui l’inizio è stato sofferto: «Tante spese, ricavi al lumicino. Poi abbiamo ingranato e ora le soddisfazioni non mancano».

Un’esperienza personale da cui Valentina ha tratto un’altra lezione da trasmettere ai suoi allievi: «Nessuno si sarebbe aspettato un tale spirito di iniziativa da parte di tre giovani alle prime armi. Molti ragazzi si limitano a cercare occasioni, io ora spingo i miei studenti a crearsele: è l’unico modo per mettersi alla prova, migliorarsi, confrontarsi con i competitor». Certo, richiede impegno e determinazione: «Ma ti plasma e mette in luce le competenze, perché il libero professionista prova sulla sua pelle cose che da dipendente non scoprirebbe mai. Per questo dico che i giovani imprenditori avrebbero un grande bisogno di essere sostenuti e incentivati dallo Stato». Perché li possiamo chiamare «contributi» o «sgravi fiscali», ma in realtà sono investimenti sul futuro.

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