«In Kurdistan dopo la guerra
per insegnare ai giovani»

«Per arrivare a Erbil ho affrontato un viaggio assurdo, che non potrò mai dimenticare». A raccontarlo è Giovanni Maria Mascaretti, trentaduenne originario di Sarnico, che da un anno vive a Erbil, nella regione autonoma del Kurdistan iracheno, dove lavora come assistente professore in Scienze politiche presso la University of Kurdistan Hewlêr. «C’erano delle difficoltà in quel periodo ad arrivare a Erbil. La vittoria schiacciante del “sì” al referendum consultativo per l’indipendenza del Kurdistan, tenutosi il 25 settembre del 2017, aveva generato una profonda spaccatura tra il governo regionale e le autorità di Baghdad, con la conseguente imposizione di una serie di sanzioni tra cui la chiusura dell’aeroporto locale».

« L’unico modo per arrivare a Erbil, dunque, era prendere un aereo fino in Turchia, per poi attraversare il confine in auto. Devo ammettere che all’inizio ho pensato fosse un viaggio troppo rischioso. I potenziali imprevisti da dover affrontare durante un tragitto di circa 8 ore in quelle zone del mondo mi rendevano nervoso e insicuro. Ciononostante, dopo aver parlato con persone uscite indenni dall’avventura, mi sono convinto a partire e così ho fatto».

Giovanni parla di cosa ha vissuto e visto in questo viaggio che pareva infinito e che in alcuni tratti sembrava un film. «Ho volato da Milano Malpensa fino a Diyarbakir, dove mi aspettavano due autisti mandati dall’università. Da quel momento è iniziato il vero viaggio indimenticabile. Ho attraversato posti meravigliosi e città arroccate. Tra l’una e l’altra lande desolate. Quando siamo arrivati al confine sembrava di essere alla fine del mondo. Completamente militarizzato, con reticolati, fari spiegati, carri armati, macchine corazzate e militari ovunque. L’ho attraversato all’una di notte, in fila con altri mezzi, in un posto lurido, con persino un divano in mezzo alla strada. Attraversato il primo blocco, quello turco, dopo è andata un po’ più liscia. Sempre in quest’atmosfera surreale mi è stato fatto il visto turistico di 30 giorni e poi siamo ripartiti per arrivare alla prima cittadina curda oltre il confine, dove, salutati i due autisti, sono salito su un’altra auto guidata da un curdo folle amante della musica a tutto volume che viaggiava a una velocità assurda. In due ore sono arrivato a Erbil».

Giovanni si è recato fino in Kurdistan spinto dalla sua grande passione per la filosofia politica, iniziata al liceo scientifico del Collegio Vescovile Sant’ Alessandro di Bergamo, dove si è diplomato nel 2005, e approfondita durante gli studi universitari, durante i quali ha ottenuto una laurea triennale in Filosofia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, nel 2008, e una laurea magistrale, sempre in filosofia, sempre a Bologna, nel 2011. Una passione che lo ha portato a studiare per alcuni mesi all’estero, a Dresda e a Parigi, e che, unita all’altra sua grande passione, quella per la vita accademica, lo ha condotto, dall’ottobre 2012 al dicembre 2016, a svolgere un dottorato in Filosofia politica presso l’University of Essex in Inghilterra.

«Ottenuto il dottorato, ho iniziato a fare domande di lavoro in giro per il mondo. Alla fine ho accettato, non senza una certa vena di follia, il posto offertomi dalla University of Kurdistan Hewlêr». Erbil e il Kurdistan sono un mondo nuovo e affascinante per Giovanni, sotto molti punti di vista. «Questo è un posto bellissimo e la popolazione è fantastica. Sin dal primo giorno ho potuto constatare la meravigliosa accoglienza e la generosità del popolo curdo, che ancora oggi mi stupisce, forse perché noi occidentali non ci siamo più abituati. È un popolo che è stato massacrato, torturato, ucciso, che ha sofferto tantissimo, che si è dovuto allontanare dalla propria terra e che ha lottato per sopravvivere, eppure accoglie un occidentale come fosse un fratello. Qui ho capito quanto possono essere generose e gentili le persone che hanno sofferto e che comprendono cosa vuol dire trovarsi in un Paese che non è il tuo, che non è casa tua».

«Le soddisfazioni maggiori arrivano dagli studenti - racconta Giovanni parlando del suo lavoro –. Lavorando con loro ho capito perché a un certo punto, durante il mio viaggio infinito per arrivare a Erbil, a un checkpoint, il peshmerga (i peshmerga sono le forze armate della regione autonoma del Kurdistan iracheno, ndr) di turno, mentre mi controllava i documenti, mi ha detto: “grazie di essere venuto in Kurdistan”. Qui hanno veramente bisogno di avere qualcuno che dia un’istruzione alla prossima generazione di politici, intellettuali e così via, in modo tale che possano contribuire allo sviluppo del Paese. E io, visto quello che insegno in università qui, sono visto, e sono stato visto da quel peshmerga, come qualcuno che può aiutarli in questo processo. Gli studenti si impegnano per il futuro del loro Paese, ed è ciò che di più bello puoi fare esperienza come professore. Inoltre ho un ottimo stipendio e in città non manca niente».

In futuro vuole continuare il suo percorso di ricerca e chissà, magari, tornare in Italia. «Voglio continuare con la filosofia politica, con una vena critica però, che analizzi i difetti, le patologie e i pericoli che caratterizzano le nostre società, per poi cercare di capire come migliorarla. Ora voglio farlo qui, ma in un futuro lontano, magari, mi piacerebbe tornare in Italia, perché è sempre casa mia e perché lì vive mia madre. Certamente mi manca il mio Paese e credo che sia il posto più bello in cui vivere, ma qui a Erbil, come detto, mi trovo benissimo, soprattutto grazie alle persone del luogo» «È un bel popolo – conclude –, generoso e aperto. In tutte le barzellette popolari i curdi ballano. Loro, qualsiasi cosa accada, ballano, sono un popolo gioioso e allegro, che lotta per essere felice. Questo è veramente bello. Nonostante tutto, loro ballano. E allora mi dico anche io, balliamo».

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