«In Canada mi manca la vita di comunità dei nostri paesi»

LA STORIA. Patrizia Brignoli dal 2018 vive e lavora a Toronto. Originaria di Peia, è senior marketing specialist. «Qui si vive molto bene, ma penso ogni giorno all’Italia».

Voglia di mettersi in gioco e fare nuove esperienze. È così che Patrizia Brignoli, 33 anni, di Peia, ha lasciato la Valgandino per trasferirsi in Canada, nella città di Toronto. Giunta lì nel 2018, ha poi conosciuto Adriano, oggi suo marito, e lavora come senior marketing specialist per un gruppo educativo che accoglie studenti stranieri. «Dopo la laurea specialistica (in inglese) ottenuta nel 2017 in Marketing e comunicazione – racconta –, stavo completando il secondo tirocinio in una nota agenzia di comunicazione e pr milanese, e mi ero trasferita a Milano. Ero in un periodo di stallo in cui volevo fare nuove esperienze che mi permettessero di mettermi in gioco. Milano mi stava un po’ stretta e, dopo una vacanza nel 2016 in Canada, proprio a Toronto, mi era sempre rimasta la voglia di tornarci: mi aveva molto colpita l’aspetto multiculturale e dinamico della città. Ero stata lì con un’amica e avevamo avuto modo di scoprire a fondo i diversi quartieri della città: è tra le più multiculturali al mondo, ma anche le vicine Montreal, Kingston e Niagara con le sue meravigliose cascate. Da quel momento ho continuato a nutrire la voglia di approfondire la conoscenza di un Paese così diverso dall’Italia, e ho deciso di far richiesta per un “Working Holiday Visa”, ossia un permesso per lavorare sei mesi e restare poi come turista per altri sei in Canada. Dal momento dell’ottenimento del visto, nell’aprile 2017, ho aspettato un anno prima di partire: volevo essere certa della mia scelta. All’inizio del 2018, alla scadenza del contratto di tirocinio, ho deciso di lanciarmi in questa avventura».

«L’idea era di fermarmi al massimo un anno – ricorda ancora –, il tempo di migliorare il livello di inglese e arricchire il proprio bagaglio di conoscenze. Ma non è stato così. Le cose sono andate diversamente. Fin da subito mi sono sentita a casa – prosegue –, e la mia voglia di rimanere si faceva sempre più forte. Poco dopo il mio arrivo, ho trovato lavoro come receptionist presso lo studio di un chiropratico e allo scadere dei sei mesi, per prolungare il mio soggiorno in Canada, ho deciso di intraprendere un programma di studio-lavoro, come fanno molte persone che arrivano da fuori, e iscrivermi a un college per frequentare un programma serale in “marketing e sales”. Così facendo ho ottenuto il visto da studente e la possibilità di rimanere lì per altri due anni».

A luglio il matrimonio con Adriano

«Nei mesi a venire ho stretto diverse amicizie e conosciuto Adriano, italo-canadese e ora mio marito (ci siamo sposati in Italia lo scorso 26 luglio), con il quale abbiamo adottato una cagnolina di nome Grappa. Qui lavoro come senior marketing specialist per un gruppo educativo di cui fa parte il college in cui ho studiato (sono stata decisamente fortunata). Quando frequentavo il programma serale, il mio contratto da receptionist presso lo studio in cui lavoravo era terminato, e per arrangiarmi ho fatto diversi lavoretti, come la receptionist a chiamata e la cameriera per un’azienda di catering. Per caso un giorno arrivò una mail per conto del college, in cui dicevano di essere alla ricerca di una stagista da inserire nell’area marketing. Ho colto la palla al balzo, mi sono candidata, e dopo qualche colloquio sono stata assunta con un contratto part time. Successivamente, da stagista, sono stata confermata full time. Sono stati mesi intensi quelli: avevo assorbito il ruolo di due persone, ma mi hanno aiutata a sviluppare ulteriormente le mie competenze, e crescere professionalmente».

Gli italiani a Toronto

«Il mio ruolo è molto poliedrico – spiega –. Mi dedico alla gestione dei canali social del gruppo, alla comunicazione interna ed esterna, alla pianificazione di eventi e all’ideazione di campagne on line e non, con l’obiettivo di far crescere la consapevolezza del marchio e il coinvolgimento da parte dei clienti (attuali e potenziali)».

«Le differenze con l’Italia sono tantissime, nel bene e nel male – spiega –. Il cibo qui non è di qualità, è molto più “lavorato” e meno sano. Mangiare salutare può essere una bella sfida, ma non impossibile. Abito in un quartiere italiano (la comunità italiana è la terza più grande di Toronto) quindi trovo parecchi prodotti tipici di casa, anche se, considerata la distanza, è difficile mantenere la qualità. Le persone tendono a essere più fredde ma sono molto più gentili. Non è semplice costruire amicizie oltre l’ambito lavorativo, ma negli anni sono riuscita a legare soprattutto con diversi stranieri, provenienti da tutto il mondo. Rispetto al lavoro, la cultura nord-americana è molto focalizzata su di esso e c’è parecchia frenesia (lo dico da bergamasca): molte aziende offrono un pacchetto base di solo due settimane all’anno di ferie. In Italia credo ci sia più capacità di godersi la vita e staccare dal lavoro».

«Tornare? Ci penso ogni giorno»

Tornare a casa? Mai dire mai, ma senza fare un salto nel vuoto. «Ci penso ogni giorno. L’Italia mi manca sempre di più e a me e Adriano piacerebbe tantissimo tornare, ma a oggi fare un salto nel vuoto sarebbe troppo rischioso. Ci pensiamo sempre e non è detto che non accada in un futuro prossimo. Stiamo solo pensando a un piano “sicuro”, prima di fare il grande passo. In primis mi manca la mia famiglia, che è certamente poco convenzionale: ridendo e scherzando, abitiamo uno per continente. Mia madre, di origine peruviana ma in Italia da 35 anni, si trova a Peia, mentre mio padre, nato e cresciuto a Peia, vive invece in Cina da vent’anni e io mi trovo in Canada da cinque anni. Nonostante la distanza, abbiamo tutti e tre una relazione strettissima, comunichiamo quotidianamente (anche più di una volta al giorno) e mi vengono a trovare spesso».

La mancanza degli amici in Italia

«Un’altra cosa per cui ho parecchia nostalgia sono i miei amici. Essendo andata via dall’Italia a 28 anni, ho costruito la maggior parte delle mie relazioni in Italia. Molti amici li conosco dall’asilo o da quando sono nata, e lasciarli andare è stato molto difficile. Anche in questo caso però sono molto fortunata perché siamo sempre in contatto, e quando torno organizziamo delle bellissime rimpatriate. È come se non me ne fossi mai andata. Infine, una cosa che non avrei mai pensato mi sarebbe mancata è il senso di comunità e appartenenza che si crea nei piccoli paesi, quella sensazione di conoscere tutti e di familiarità che avevo a Peia (un po’ anche a Milano, nel mio ex quartiere). Qui le relazioni sono decisamente più impersonali».

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