«Grazie prof, ora lavoro al supercomputer di Garching»

LA STORIA. Matteo Foglieni, 27enne originario della Celadina, ha scoperto la passione per la fisica al liceo Mascheroni. Ora è software engineer al Leibniz-Rechenzentrum.

Nella vita capita che arrivi una svolta repentina proprio quando meno ce lo aspetteremmo. Lo stesso è accaduto a Matteo Foglieni, 27 anni, che, dopo una laurea in Fisica e diversi tentativi per ottenere un dottorato, dal suo quartiere di Celadina in città è approdato in Germania, a Garching, dove lavora presso il Leibniz-Rechenzentrum, che ospita un supercomputer.

«Grazie prof»

«Ho sempre voluto occuparmi di argomenti scientifici fin da quando ero bambino, leggevo molti libri divulgativi sulla scienza», spiega Matteo. Così decide di iscriversi al Liceo scientifico Mascheroni, indirizzo classico. Dopo le superiori, l’iscrizione alla facoltà di Fisica alla Statale di Milano, una scelta che «mi convinse a fare la mia professoressa di Fisica del liceo di allora, che ringrazio ancora». Non avendo fatto informatica alle superiori, Matteo in un primo momento fatica a stare al passo con la nuova materia; poi, però, inizia ad apprezzarla, tanto che proprio l’informatica è al centro delle sue tesi triennale e magistrale e della sua attuale esperienza lavorativa. «In magistrale – spiega Matteo – ero molto dubbioso su cosa fare, mi portò verso Astrofisica e cosmologia il professore con cui feci la tesi triennale, un cosmologo. Sono materie molto computazionali. Come tesi magistrale ho creato un codice che calcola quale è la differenza tra la disposizione vera delle galassie e quella invece osservata: le due cose infatti non combaciano, quello che osservi non è quello che davvero è».

Il supercomputer

«La cosa ironica – aggiunge Matteo – è che entrai in università che sapevo gran poco di inglese e informatica, la mia idea era di fare il fisico teorico per tutta la vita. Non avevo idea di cosa fosse un supercomputer prima di fare domanda di lavoro alla fine della mia laurea. Adesso sono all’estero, quindi parlo inglese, e lavoro in un centro di supercomputer». Durante la magistrale l’idea di Matteo era quella di provare a ottenere un dottorato, vista la sua passione per la ricerca. «Verso la fine della magistrale – dice – ho cominciato a mandare una decina di domande di dottorato sia in Italia che all’estero, tra cui Padova, Bologna, Amsterdam, Barcellona e Monaco: tutte rifiutate per i motivi più disparati. Ho deciso quindi di cercare proposte di lavoro in giro, volevo un lavoro che fosse stimolante. Una mia amica mi consigliò un sito web, Euraxess, il quale colleziona varie proposte di dottorato ma anche lavori nell’ambito della ricerca in tutta Europa. E lì trovai questa proposta di lavoro di LRZ: feci domanda senza avere troppe aspettative. Mi fissarono il colloquio il giorno prima della discussione della mia tesi, ero molto più agitato per il colloquio di lavoro che per la laurea».

La vita a Garching

Matteo consegue la magistrale nel luglio del 2022. In ottobre si trasferisce a Garching, a pochi chilometri da Monaco di Baviera, per la nuova avventura. Qui lavora per il centro di ricerca che prende il nome dallo scienziato tedesco, Leibniz, un centro famoso per essere tra i tre in tutta la Germania – insieme a quello di Stoccarda e Juelich – a ospitare un supercomputer di grande potenza, utilizzato da università e centri di ricerca su scala nazionale. Di cosa si tratta? «Per capire cos’è un supercomputer – sottolinea Matteo – dobbiamo immaginarci un campo di calcio a 5, interamente riempito da quasi 100 colonne larghe un metro e mezzo e alte due metri. Ciascuna di queste colonne è un “rack” che contiene circa 72 schede (nodi). Ciascun nodo è un computer e ciascun computer contiene dei processori che a seconda del modello possono costare dai 5.000 ai 15.000 euro l’uno, o anche di più». Sono strumenti con una capacità di calcolo estremamente superiore rispetto ai normali computer e funzionano ininterrottamente tutti i giorni, esclusi i periodi di manutenzione. Per questo, hanno un’organizzazione del lavoro studiata per sfruttare al massimo le risorse.

Un grande portale

In quest’ambiente il compito di Matteo è riassumibile nella formula «software engineer». «Per accedere a un supercomputer – evidenzia – al momento l’unico modo è utilizzare il terminale. Un sistema che esiste dalla fine degli anni ’60 ed è abbastanza scomodo. Un altro metodo che si potrebbe utilizzare è l’Integrated Development Environment (IDE), che consente di avere un’interfaccia grafica con dei comandi. Lavoro in un progetto che ha come obiettivo proprio quello di rendere più facile l’accesso alle risorse del supercomputer, nello specifico si vuole integrare i tre centri di supercomputer e creare un unico portale». In termini di velocità e fluidità di lavoro che deriverebbero dal nuovo sistema a interfaccia grafica, il cambiamento è paragonabile a quello avvenuto nel passaggio dalla cassetta della posta alla casella mail.

No agli straordinari

Matteo descrive l’ambiente lavorativo in cui si trova attualmente come «un parco giochi dal punto di vista della carriera. Qui c’è gente già affermata, che ha lavorato per grandi aziende o passato molti anni in accademia. Ogni giorno impari qualcosa, è estremamente stimolante e impagabile. Poi, qui in Germania, c’è molta considerazione per il tempo privato e non esiste il concetto di straordinari. Adesso, insieme ad altri colleghi, mi occupo anche di testare le prestazioni di nuovi sistemi hardware messi a disposizione da produttori con cui il centro collabora. Considerate che questi supercomputer costano centinaia di milioni di euro».

Il mio sogno è tornare in Italia, vorrei vivere a Bergamo. Ci tengo troppo alla mia famiglia, alle mie relazioni e ai miei amici

«Ho conosciuto altri italiani, non ho socializzato molto con i tedeschi perché sono abbastanza rigidi. Però ho diversi amici russi: tramite una ragazza mi sono iscritto a un corso di ballo e ho fatto parecchie amicizie. La cosa che mi manca qui è sicuramente il cibo: mangio bene quando cucino a casa».

Bergamo, quanto è bella

Per quanto riguarda il futuro «ho voglia di crescere, da buon bergamasco ho tanta voglia di lavorare. Tra un po’ vorrei passare a una delle grandi big tech e fare carriera per un po’ di anni. Quando vorrò stabilizzarmi il mio sogno è tornare in Italia, vorrei vivere a Bergamo. Ci tengo troppo alla mia famiglia, alle mie relazioni e ai miei amici. Quando sei a Bergamo non apprezzi il fatto di essere in una bella città. Adesso, invece, tutte le volte che torno voglio visitare qualcosa. Ho anche portato qualche amico di qui e gli ho fatto da guida turistica: insomma, ho riscoperto la mia città stando all’estero».

Bergamo senza confini

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