«Fuerteventura
e un call center
con vista oceano»

Tutta la vita davanti. Paolo Virzì ci fece un film, raccontando in salsa agrodolce le dinamiche ossessive dei call center e delle loro atmosfere precarie. Alessandra, invece, ne ha tratto il senso della sua nuova esistenza, avviata due anni fa al volante di un camper: destinazione Fuerteventura, isola delle Canarie, dove oggi la 32enne di Piana di Mapello vive, lavora, si bagna i piedi nell’oceano.

La storia di Alessandra Manzoni inizia negli anni 2000 dai banchi dell’istituto alberghiero di San Pellegrino, frequentato coltivando il sogno delle navi da crociera su cui lavorare solcando l’orbe terracqueo. «Un miraggio, rimasto tale: dopo il diploma sono finita a lavorare in una catena di elettronica ed elettrodomestici, divisione computer: anni di apprendistato conclusi senza l’assunzione che mi aspettavo». Un triste classico per chi è costretto al tirocinio senza prospettive sul lungo termine. «Poi mi hanno proposto l’impiego al call center: un mezzo delirio, telefonate da tutta Italia per gestire clientela, ordini e problemi di ogni tipo. Però è stato assolutamente formativo, mi sono fatta una bella esperienza e tolta anche soddisfazioni, salendo di livello e di responsabilità. Tutte cose che mi sono tornate utili dopo».

Il sipario sul «dopo» inizia a sollevarsi nell’estate del 2015, quando la voglia di una vacanza tutta sole spinge Alessandra a Fuerteventura. «Le Canarie le ho conosciute abbastanza, ma né Tenerife né Lanzarote mi hanno mai detto granché. Con Fuerte, invece, è stato amore a prima vista: ho subito sentito nell’aria una magia assoluta, un’atmosfera che ti prende, ti tira e non ti molla più. Potrei raccontare di spazi infiniti, distese di sabbia e colori indescrivibili: ma non riuscirei ugualmente a esprimere l’incredibile sensazione che ho provato, perdendomi nell’immensità del niente».

La scintilla scoccata in quei giorni celesti ha appiccato un fuoco che il ritorno a Mapello non ha certo potuto sopire. «L’idea è stata subito quella di tornarci il prima possibile, magari per sempre. Così sono andata là altre volte, anche in diversi periodi dell’anno: l’ho studiata da vicino e alla fine ho avuto conferma che quello era il mio posto nel mondo».

Certo, spiegarlo a mamma Nadia e al resto della famiglia non è stato facile: «Eh beh, certe cose non si fanno alla leggera. Qualche discussione, a volte pure liti: dicevo “provo sei mesi, e se non va ritorno”, ma in cuor mio avevo ormai fatto una scelta precisa. Io sono una testona, quando mi fisso su una cosa ci metto tutta me stessa: mi è capitato spesso sul lavoro e poi anche in altri campi, ad esempio con l’associazione degli ex-allievi dell’alberghiero».

Quest’ultimo cenno merita l’apertura di una parentesi. Salutata San Pellegrino nel 2007 con la maturità in tasca, Alessandra vi è tornata poi qualche anno dopo: «Una cosa nata in maniera casuale nel 2016, di mezzo il solito Facebook. Mi sono sentita con un po’ di gente, abbiamo rispolverato il ricordo un po’ spento di quest’associazione nata a fine anni ’80 e abbiamo pensato di rilanciarla alla grande: è stato bello, l’ex preside Alberto Giupponi ci ha dato un input fortissimo e un sostegno fondamentale con un patrimonio storico-culturale fatto di ricordi, fotografie, cimeli. Quando, purtroppo, il covid se l’è portato via mi si è stretto il cuore».

Chiusa parentesi, torniamo all’idea fissa di Fuerte, che nel frattempo sedimentava nell’animo e nei progetti. Alessandra ha trovato una compagna di viaggio, Giorgia, altra ex alunna dell’alberghiero tentata dall’avventura («Ci siamo godute insieme i primi mesi, in attesa di capire quali fossero le nostre esatte dimensioni; poi, dopo qualche tempo, lei ha preferito rientrare a Zogno, ma mi ha promesso che tornerà a trovarmi appena possibile»). E ha assolutamente voluto accanto a sè l’affetto e gli occhioni della sua Kira, un labrador di 25 chili adottato in un canile, che non poteva certo rimanere ai margini di questa scelta di vita.

Le valigie sono state caricate su un camper: «Ho deciso di comprarlo per affrontare sia il percorso, sia i primi tempi di soggiorno in attesa di trovare una sistemazione stabile. Un tragitto tosto da Bergamo all’imbarco di Cadice, poi 36 ore di nave, con Kira tenuta in braccio sul ponte per non lasciarla chiusa in qualche container nella stiva».

Infine, l’approdo. E la presa di coscienza. «Una prima impressione, su tutte: qualsiasi persona ci ha sempre aiutato per ogni necessità. Non ci siamo mai sentite sole: abbiamo ricevuto indicazioni, consigli, contatti, tutto con il sorriso e la gentilezza». Anche stabilizzarsi non è stato impossibile: «Dopo qualche mese di camper ho trovato alloggio a Guisguey, alla finca Kikiki House gestita da Luca e Raffaella, due torinesi che sono diventati la mia famiglia canaria e mi hanno fatto scoprire la meraviglia di certe atmosfere, il piacere di aiutarsi reciprocamente in ogni necessità. Ho imparato persino a costruire una yurta mongola, capanna fatta di legno e tende, sotto un cielo che considero un autentico patrimonio della biosfera».

Da pochi mesi Alessandra s’è trasferita a Corralejo, dove è la responsabile di un call center italiano che ha una sede a Milano e questa location decentrata fra le onde: «L’ho scoperta prima di partire dall’Italia, così ho mandato il mio curriculum. Appena arrivata ho fatto il colloquio e sono stata assunta: è stato il mio primo contratto a tempo indeterminato». L’ufficio della Rocket Call è composto da una trentina di italiani, si occupa di e-commerce ed è un altro frutto rigoglioso generato dalla passione per Fuerteventura: «I nostri titolari sono da sempre innamorati del posto, venivano qui per fare kitesurf e gli altri sport che puoi praticare soltanto con questo mare e questo vento. Hanno preso la decisione geniale di trasferire lavoro ed emozioni, perché gestire un call center è abbastanza snervante e se lo fai a Milano arrivi a sera a dir poco stressato: noi usciamo dall’ufficio, ci giriamo a destra e abbiamo l’oceano».

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della comunità bergamasca onlus. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per un anno l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].

© RIPRODUZIONE RISERVATA