«Emigrato nel ’67 in Brasile, che gioia conoscere Alto Bergamo»

LA STORIA. Perito elettrotecnico, oggi ha 77 anni. Ha visitato di recente la comunità orobica nata nello Stato di Espirito Santo alla fine dell’800.

Ezio Angioletti vive e lavora in Brasile da più di 55 anni. L’Italia, e soprattutto Bergamo, però, sono sempre nella sua mente e – letteralmente – sulla sua strada. La sua potrebbe essere la storia di tanti altri bergamaschi emigrati per lavoro e che si sono costruiti una vita altrove, mantenendo l’Italia nel cuore. Ma è anche una storia ricca di particolarità e strane, ma belle, coincidenze. «Sono l’ultimo di quattro figli e sono nato nel marzo del ‘46, quindi 9 mesi dopo la fine della guerra. Mia sorella Silvia è del ‘30, Cecilia del ‘35 e mio fratello Giandomenico del ‘38. Mia mamma, Maria Zanchi di Redona, era una donna coraggiosa che ci ha amato fino alla fine e ci ha insegnato a essere indipendenti, onesti e sinceri. Mio papà, Nunzio Angioletti, nato a Bottanuco, lavorava alla banca diocesana, adesso Banca Popolare, in via Arena e abitavamo in Città alta, con vista sulle mura, spettacolare. Ricordo che dalla finestra della camera aspettavo la sera per vedere accendersi le luci in città bassa».

Ezio – come le sue sorelle e la sua intera famiglia – ha affrontato varie vicissitudini durante la propria vita, cambiando Paesi e lavori ed emigrando alla fine in Brasile nel 1967, dove ha formato la propria famiglia. «Mio papà morì nel ‘50, a 47 anni. Ho pochissimi ricordi di lui, le caramelle al miele che tirava fuori dalla tasca, le monete che mi dava da dare a chi chiedeva l’elemosina davanti la chiesa di Santa Maria Maggiore e una sberla quando mi vide con una pietra in mano pronto a lanciarla su un amico. Ricordo però che lui e mia mamma mi insegnarono l’amore, la generosità e la pace. Nel ‘53 andammo ad abitare a Roma. Mia sorella Silvia, in quel periodo, ritornò dall’India (dove si era trasferita, com mio cognato Angelo, per lavoro) e poco dopo partì con la sua famiglia per il Brasile per lavorare in una miniera d’oro inglese. Nonostante le cose non andassero bene, mia mamma infatti tirava avanti con la piccola pensione del papà e vendendo poco a poco le proprietà che aveva, tutti gli anni mi mandava in vacanza in una colonia a Zambla Alta». Il secondo, della famiglia di Ezio, a trasferirsi in Brasile, è stato suo fratello Giandomenico, che accolse l’invito del cognato Angelo ad andare in Brasile, trasferendosi nel ‘59. «Mia sorella Cecilia rimase a Roma e mia mamma decise di tornare a Bergamo con me, andando a vivere nella nostra casa di Bottanuco, dove divenni amico dei figli dei miei cugini (molto più grandi di me), tra cui Giovanni Spada, che per me è come un fratello». Proprio a Bottanuco, Ezio scoprì per la prima volta l’esistenza di un’altra Bergamo: dove? In Brasile. «Quando avevo 15 o 16 anni, una domenica mattina un prete, dopo la messa delle 10 a Bottanuco, chiese aiuto per fare dei lavori in una chiesetta in un posto in Brasile, chiamato Alto Bergamo, dove, diceva, abitavano famiglie di origine bergamasca. Avendo già un fratello e una sorella in Brasile, mia mamma, incuriosita dal fatto, scrisse loro chiedendo informazioni rispetto questo posto. Quando arrivò la risposta, quasi un mese dopo, la sorpresa fu che non trovarono nessun riferimento a questo paese».

Dalla Svizzera al Brasile

Nel 1964 Ezio si diploma come perito elettrotecnico e dopo due mesi al cotonificio a Gazzaniga, «ricevetti l’offerta per lavorare alla Brown Boveri in Svizzera e così decisi di andare. Il posto era nel laboratorio di metalli e si trattava di esaminare con ultrasuoni pezzi forgiati e saldature. Un anno e otto mesi dopo mi chiesero di accogliere un ingegnere della Brown Boveri del Brasile per spiegargli e far vedere come era la prova di ultrasuoni: mi spiegò che stavano comprando un apparecchio di ultrasuoni per iniziare prove anche in Brasile. Quando gli dissi che avevo un fratello e una sorella in Brasile, egli mi invitò a lavorare nella filiale che si trovava lì. Non ci fu bisogno di pensarci molto. Accettai l’offerta e a gennaio del 1967, dopo 14 giorni di viaggio, sbarcai a Santos. Il contratto era per due anni, ma mi trovai bene ed ero vicino a mio fratello e mia sorella, quindi sono rimasto fino ad ora, sebbene oggi siamo rimasti vivi solo io e Cecilia, che è a Roma».

Grande ospitalità

In Brasile, Ezio ha potuto creare anche la propria famiglia. «Il Brasile è uno dei pochi paesi al mondo che ha accolto con benevolenza e ospitalità immigrati di tutti i Paesi. Nello stato di São Paulo e nel sud del Brasile, più del 25% delle persone sono di origine italiana ed è quasi come stare a casa. Qui ho conosciuto Rossi di Pradalunga, Ghisleni, Brambilla e Rota, ma di sicuro ce ne sono molti altri della bergamasca. Tre anni dopo l’arrivo qui mi sono sposato con Christina Malinowski (della Polonia, anche lei arrivata qui dopo la guerra) con cui ho avuto tre figli: Renato, Daniela e Leonardo. Alla fine sono diventato un consulente e da 35 anni con mio cognato lavoriamo per varie ditte». Un lavoro, quello di Ezio, che recente lo ha portato alla Bergamo del Brasile.

«Otto mesi fa circa, ho preso un lavoro in una ditta nella città di Aracruz, Stato di Espirito Santo. Guardando su Google Maps la mia sorpresa è stata vedere il nome di Alto Bergamo nelle vicinanze. Quel prete non aveva raccontato una bugia. Sul lavoro ho chiesto se qualcuno conosceva questo posto e proprio un ispettore di ultrasuoni, Adriano Zatta, mi ha detto che lo conosceva e anche alcune famiglie locali. Così mi ha portato a visitare la località e a parlare con qualche cittadino di origine bergamasca. Parlando con Guilherme (del 1938) Milani – nipote di Giovanni Battista Milani che a 29 anni e con moglie e figlia arrivarono nel 1891 in questo posto – e sua moglie Carmen sono sorti altri cognomi del posto: Ambrosini, Barbieri, Belotti, Bisi, Bergamin, Carrara, Giacomini, Facchetti, Facchinetti, Gatti, Imberti, Pandolfi e Zatti. Questi, emigrati alla fine dell’‘800, hanno formato questa comunità dandole il nome Alto Bergamo e costruendo la chiesetta. In questa regione collinosa piantavano il caffè e granoturco, oltre all’allevamento di bestiame. Oggi continua il caffè e hanno introdotto cacao ed eucalipti».

«Io, Silvia e Giando, emigrati in Brasile, non abbiamo sofferto come è successo con altri milioni di italiani, lasciando tutti i ricordi e parenti nel paese, senza o con mezzi di comunicazione difficili: quanta sofferenza per i genitori che vedevano i figli andare via sapendo che difficilmente li avrebbero rivisti. Periodi tristi. Adesso fa piacere vedere che per tutta quella sofferenza ne è valsa la pena, che le famiglie si sono formate e sono cresciute con prosperità. Quando io sono arrivato in Brasile le lettere ci mettevano una settimana e, sebbene fosse caro, si poteva telefonare. Oggi mia figlia Daniela in Olanda può parlarmi e vedermi quando e quanto vuole a nessun costo. I biglietti aerei non costano più così tanto e non è così difficile viaggiare per trovarci. Triste è vedere i profughi delle guerre e delle carestie che migrano in paesi dove non sono accolti bene come gli italiani sono stati accolti qui più di cento anni fa. Alto Bergamo dovrebbe insegnarci qualcosa».

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