«Con i miei ritratti
“catturo” le persone»

«Tutto iniziò con la macchina fotografica a pellicola di mio padre. Le fotografie che lui mi scattò da bambino, tutt’ora appese ai muri di casa, mi hanno decisamente influenzato e ispirato molto e continuano a farlo». Davide Balduzzi, 30 anni, di Gromo, racconta così la nascita della sua passione per la fotografia. Una passione che da 10 anni lo porta a essere un fotografo e da sei a viaggiare e lavorare in diverse parti del mondo. «Il mio primo vero lungo viaggio risale al 2014, in coppia con Stephanie. Dopo aver lavorato 4 anni in una piccola azienda informatica decisi di lasciare tutto e prenotare un volo per Perth, in Australia. Ero eccitato, emozionato, ma anche spaventato dal salto nel vuoto che stavo facendo in un paese straniero, sapendo di non padroneggiare l’inglese. È stata un’esperienza straordinaria».

«Comprai un camper Toyota Hiace del 1989, fornito di cucina, letto e tutto ciò che serve per vivere on the road e partimmo. Mi sentii libero, leggero, sentivo finalmente la vita scorrere nelle vene e stavo facendo quello che veramente volevo». Da lì, Davide non si è più fermato. «Dopo un anno in Australia, viaggiai del Sudest asiatico zaino in spalla e fotocamera alla mano con un budget di 15 euro al giorno. Visitai meraviglie difficili da descrivere. Maestosi templi di civiltà antiche, rovine di città abbandonate, monaci con tuniche arancioni e testa rasata intonanti mantra, laghi vulcanici colorati, animali selvaggi, cibi in condizioni igieniche scadenti ma comunque buonissimi, viaggi di 27 ore in pullman senza aria condizionata fra musicisti e venditori di polli e ancora albe, tramonti, sorrisi, colori, profumi. Le tappe furono Indonesia, Singapore, le due Malesie, Laos, Cambogia, Vietnam, Thailandia. Poi viaggiai 2 mesi in Messico».

Tra il 2018 e il 2019, poi, Davide ha affrontato uno dei viaggi più importanti per la sua crescita personale, spirituale e artistico-fotografica: l’India. «Il programma, in solitaria, era non avere un piano. Ho visto il famoso e maestoso Taj Mahal; Varanasi; il perimetro della regione del Rajasthan, rimanendo a bocca aperta di fronte alle meraviglie che i miei occhi vedevano ogni giorno». In India Davide ha trovato anche la propria firma. «Viaggiando solo, avere una macchina fotografica mi ha spinto a mettermi in gioco, andare vicino alle persone, parlare con loro, sentirmi vicino e testimone della loro storia. In India ho imparato a seguire e rispettare il mio cuore e a utilizzare la mente solo come uno strumento. Lasciare andare ogni giudizio sociale è fondamentale per avere una bella esperienza nel luogo in cui ci si trova. Nei due mesi in India ho scattato fotografie tutti i giorni. Appena vedevo una persona che mi intrigava, mi avvicinavo, scambiavo un sorriso e un cenno con la fotocamera e se accettava, inquadravo e scattavo. Spesso mi avvicino molto ai miei soggetti, 20-30 centimetri. È un’inquadratura che si può vedere in molte delle mie fotografie. Mi piace perché mi aiuta ad abbattere la timidezza e rende l’osservatore partecipe e vicino alla scena quanto me in quel momento. Parte del mio stile sta nel fatto di scattare il ritratto parlando il meno possibile. Ho la sensazione che le parole mi facciano perdere l’attimo, la visione che in quel momento mi ha spinto a fermarmi e a mettermi in gioco».

«Ho capito che mi interessa trasmettere un’emozione e raccontare una storia, ma anche testimoniare, documentare l’esistenza di quello che i miei occhi vedono. Voglio testimoniare e mostrare che c’è davvero molto che non conosciamo ma che esiste, che vive insieme a noi, anche sotto i nostri occhi. E il mio progetto “Street Souls”, iniziato a Brisbane, in Australia, (visibile su www.balduzzicapture.com) si ispira proprio a questo. Dopo aver finito di lavorare come cameriere, giravo per la città fino anche le 2 o le 3 di notte. Mi fermavo a fotografare e ad ascoltare le storie delle anime perdute della notte: senza tetto, giovani con forti dipendenze da droghe, persone uscite dalle carceri».

«Durante i miei viaggi - conclude Davide - ho imparato molto da persone che possedevano poco ma avevano tanto da offrire: mi è parso che fossero più felici, più connesse ai veri valori della vita perché non distratte da cose futili. E ho capito che la vita è semplice e si trova nei piccoli gesti. Al momento mi trovo a Byron Bay, in Australia, dove ho vissuto la quarantena del Covid-19. Penso che tornerò in Italia un giorno, ma al momento seguo il mio cammino concentrandomi nel migliorarmi come persona e come fotografo».

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della comunità bergamasca onlus. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per un anno l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].

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