Catherine, a 19 anni vola Amsterdam
Da ragazza alla pari agli studi europei

Catherine Kyarpi Afuure, nata a Clusone, a 23 anni frequenta la facoltà di European Studies in Olanda. Per mantenersi lavora come supervisor da Starbucks. Biglietto sola andata: destinazione Amsterdam. Una valigia colma di tante incertezze, quelle che caratterizzano i 19 anni, e tanta voglia di scoprire. Aveva 19 anni quando nell’agosto 2014 Catherine Kyarpi Afuure, italo ghanese nata e cresciuta a Clusone, decide di lasciare l’Alta Valle Seriana, per raggiungere la capitale dell’Olanda per vivere un’esperienza da ragazza alla pari.

«Non avevo le idee molto chiare riguardo al mio futuro – spiega la giovane –: vedevo le mie compagne di classe già convinte nel voler frequentare l’università e io avevo qualche dubbio in merito al mio futuro. Un giorno, durante un corso di orientamento tenuto presso il mio istituto, l’Isis «Oscar Arnulfo Romero» di Albino, alcuni ex studenti raccontarono di un’esperienza vissuta all’estero come ragazze alla pari. Il progetto consisteva nell’essere accolta in una famiglia, accudire i figli in cambio di vitto, alloggio e un piccolo stipendio. Ricordo che il giorno stesso, una volta giunta a casa, accesi il pc e mi iscrissi al portale AuPair, nel quale si creavano le interazioni tra famiglia e ragazzi alla pari».

Due furono le famiglie che selezionarono Catherine, una di Amsterdam e una di Manchester. La famiglia inglese viveva però in un paese non molto vicino alla città e così la giovane optò per la città dei tulipani e dei canali. «I miei genitori, Elvira e Raphael, non erano molto felici di questa mia scelta – confessa Catherine Kyarpi Afuure, oggi 23enne –: mio padre soprattutto voleva che frequentassi l’università, ma dopo qualche mese dalla mia partenza, accettò la cosa e insieme a mia madre e a mio fratello mi ha sempre supportato, ed è così anche oggi. Sarei dovuta rimanere in Olanda per circa una dozzina di mesi, ma eccomi ancora qui, a distanza di quattro anni».

«L’accoglienza della famiglia fu buona – aggiunge Catherine –: erano molto disponibili, e mi diedero consigli su alcuni siti web dove avrei potuto incontrare altre ragazze alla pari. All’inizio è stata un po’ dura perché ovviamente non conoscevo nessuno, poi nel giro di qualche settimana ho iniziato a conoscere un po’ di persone. Non avevo molte aspettative, forse anche perché ero andata un po’ alla cieca: non avevo mai avuto modo di conoscere la città di Amsterdam. Non sapevo ad esempio che fosse così internazionale, che ci fossero così tanti musei da visitare e tante attività culturali: è molto più dei coffee shop che l’hanno resa famosa tra i giovani. In generale ha superato le poche aspettative che avevo: ci sono moltissime cose da fare, la gente è molto tranquilla e la città offre molte opportunità lavorative e di crescita personale. Se devo trovare un difetto, forse il fatto di essere un po’ costosa per quanto riguarda gli alloggi».

Una volta terminata l’esperienza da ragazza alla pari, una decina di mesi dopo l’arrivo in città, Catherine decide di non tornare in Italia, e proseguire la sua avventura in Olanda. «Dopo aver lasciato la famiglia ospitante – racconta la 23enne di Clusone – mi sono trovata un piccolo appartamento in città, condiviso con altre persone, e ho iniziato a lavorare come cameriera in una steak house. Nel frattempo in testa mi balenava l’idea di iscrivermi all’università, così l’anno successivo mi sono iscritta alla facoltà di European Studies presso l’Università di Amsterdam. Il sistema universitario olandese è un po’ diverso rispetto a quello italiano: i corsi sono molto brevi, durano all’incirca due mesetti e al termine si sostiene subito l’esame che si tiene in un solo giorno, stabilito dall’ateneo, e solo in forma scritta. Se non lo si supera il mese successivo c’è la possibilità di rifarlo. Il voto finale non rispecchia al 100 % l’esito dell’esame: durante il corso bisogna infatti fare delle presentazioni o dei temi, una sorta di compito, la cui valutazione rappresenta circa il 10-40 % del voto finale. A volte questo consente di superare il corso, anche se l’esame non è andato bene, poiché la media è già sufficiente. Ho iniziato da poco il terzo anno e in estate, se tutto va bene, dovrei laurearmi».

Con l’inizio dell’università Catherine non ha però abbandonato il lavoro e da maggio 2016 è dipendente della famosa catena di caffè americana Starbucks. «Dopo l’esperienza della steak house – racconta ancora la giovane –, sono stata assunta con un contratto part-time da Starbucks in uno dei diversi punti vendita presenti in città. Ho avuto anche la possibilità di fare un pochino di “carriera”: da qualche tempo sono stata infatti promossa “supervisor”. Sicuramente sono aumentate le mie responsabilità, ma mi piace il mio lavoro. L’idea non è ovviamente di fare questo per tutta la vita: una volta ottenuta la laurea credo che farò un master, e molto probabilmente lo seguirò qui ad Amsterdam. Per il futuro un po’ più lontano mi piacerebbe provare a vivere in un’altra grande città. Le idee sono ancora un po’ confuse, ma una certezza c’è: preferirei non tornare in Italia. Non perché non mi piaccia vivere nella mia terra natia, ma perché lì ho già trascorso alcuni anni della mia vita e vorrei trascorre gli altri esplorando nuovi posti. Non so ancora dove, il futuro è imprevedibile, ma la mia volontà è di restare all’estero».

Il legame con la famiglia e gli amici lasciati in Valle Seriana è rimasto, nonostante i diversi chilometri di distanza. Una volta all’anno circa Catherine torna a casa e trascorre qualche giorno a Clusone, dove è cresciuta ed è diventata grande. «Come vedo Bergamo da qui? La vedo abbastanza chiusa se devo essere sincera. C’è una forte chiusura mentale, non per forza da imputare ai bergamaschi, ma questa è la situazione che ho lasciato. Il fatto di essere a contatto con diverse etnie e culture, come è qui ad Amsterdam, ti apre notevolmente la mente». La studentessa ci spiega che «è difficile comparare un paesino come Clusone con una grande città come Amsterdam. L’unica somiglianza che ho notato tra Bergamo e qui è che la città è relativamente piccola e molto concentrata, e quindi spesso e volentieri capita di reincontrare le stesse persone».

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della comunità bergamasca onlus. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per un anno l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].

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