Alice, in sala operatoria a Guildford durante il Covid. Il cuore a Bergamo

LA STORIA. Alice Bonacina, 32 anni, infermiera specializzata per un grande «healthcare provider» del Regno Unito: «Straziante vedere in tv la nostra città nella pandemia».

Dieci anni fa, appena laureata in Scienze infermieristiche, Alice Bonacina è partita per Londra insieme ad alcune amiche. Doveva essere una breve esperienza, giusto qualche mese, con l’obiettivo principale di migliorare l’inglese. Oggi, a 32 anni, l’Inghilterra è diventata la sua casa e Alice lavora stabilmente come infermiera specializzata (senior theatre practitioner).

«Sono nata e cresciuta a Torre Boldone – dice Alice –. Ho fatto le scuole superiori ad Alzano, allo scientifico “Amaldi”. Penso che l’idea di partire sia nata proprio lì: i miei professori avevano una mentalità molto aperta e, insieme ai miei genitori, mi hanno cresciuto negli anni cruciali dell’adolescenza con questa idea di conoscere il mondo». Inizialmente, Alice avrebbe voluto fare Medicina all’università. Non avendo passato il test, decide di optare per Infermieristica all’Università Milano-Bicocca. «Poi mi sono innamorata – afferma –. Infermieristica, rispetto ad altre facoltà, ti dà la possibilità di fare internship e tirocini abbastanza presto. Questo secondo me è essenziale. Mi sono laureata nel 2014 alla Bicocca, nella sede di Bergamo al “Matteo Rota”: ci andavo in Vespa».

La partenza per Londra

Poi, il viaggio di sola andata, direzione Londra. «Il primo impatto con la città, per me che venivo da Torre Boldone, è stato uno shock piacevole: sono cresciuta di più nei primi sei mesi che in tutta l’adolescenza. Insieme alle mie amiche, abbiamo lavorato come cameriere e bariste. Ricordo che ho lavorato per un ristorante al Covent Garden, una zona bellissima. Londra rimarrà per sempre nel mio cuore. Nel frattempo – racconta Alice – una delle mie amiche ha cominciato a informarsi su come diventare infermiera in Inghilterra. Abbiamo quindi cominciato tutto l’iter, molto lungo a livello burocratico: ci abbiamo messo sei mesi, quando finalmente è arrivata la lettera di applicazione all’albo degli infermieri inglesi ci siamo messe a piangere».

Le difficoltà iniziali

Alice comincia così la sua carriera da infermiera: il primo step è nel 2016, a Guildford, a poca distanza da Londra. «Ho iniziato nel reparto di Chirurgia maxillo facciale e otorinolaringoiatria. Il mio inglese ai tempi non era per nulla adeguato, all’inizio è stato difficile soprattutto per quello, ma ho ricevuto molto supporto da una ragazza irlandese. L’Inghilterra è un Paese molto aperto rispetto all’Italia, non ci sono paragoni da tutti i punti di vista, anche se la Brexit ha mostrato anche un lato più sospettoso nei confronti dei migranti». Proprio gli immigrati, però, rappresentano una risorsa fondamentale per il sistema sanitario nazionale inglese. «Qui dicono sempre che l’Nhs (National health service) crollerebbe senza gli immigrati».

Il lavoro in terapia intensiva

«Dopo qualche anno, sono entrata in terapia intensiva, senza esperienze precedenti o concorsi o bandi – ricorda –. L’ambiente di lavoro era molto più impegnativo e richiedeva una grande preparazione, ho avuto una formazione di quasi un anno. È un lavoro che dà tante soddisfazioni ma anche tante tante lacrime. Poco tempo dopo, nel 2019, al Mount Alvernia Hospital di Guildford (compagnia Circle Health Group), ho cominciato a lavorare anche in sala operatoria. Nel frattempo, continuavo a fare qualche turno “bank” in terapia intensiva, sostituendo altri infermieri». E mentre Alice si ambientava ai nuovi ritmi della sala operatoria, il Covid si stava abbattendo sulla sua Bergamo.

Mi ricordo che all’inizio, vedendo le immagini e sentendo quello che stava succedendo a Bergamo, sembravo l’unica che si allarmava per niente qui. Guardare le immagini della mia città su Sky News, vedere Bergamo diventare il simbolo di una tragedia mondiale, è stato straziante

I sacchi di plastica e il Covid

«È stato uno dei periodi più difficili della mia carriera. Quando ci penso ho ancora i brividi, ho visto cose che non mi dimenticherò mai. Il mio ospedale lo avevano trasformato in un ospedale per pazienti Covid palliativi. Mi ricordo che all’inizio, vedendo le immagini e sentendo quello che stava succedendo a Bergamo, sembravo l’unica che si allarmava per niente qui. Guardare le immagini della mia città su Sky News, vedere Bergamo diventare il simbolo di una tragedia mondiale, è stato straziante. Non poter tornare a casa per stare vicino alla mia famiglia o dare una mano nella mia terra è stato emotivamente devastante. Quando ci hanno mandato i primi pazienti Covid ci hanno dato il grembiulino di plastica smanicato, i guanti e la mascherina ffp2. Io e le mie colleghe di notte prendevamo i sacchi di plastica e ci facevamo noi le uniformi le prime settimane, non ci davano nessun tipo di protezione. Poi la botta è arrivata anche qui ed è durato un anno».

Adoro quello che faccio, penso di essere molto fortunata a poterlo dire. Il mio lavoro è vario, come infermiere puoi fare tanto e qui ho avuto la possibilità di provare dal reparto, alla terapia intensiva, fino alla sala operatoria. Ho capito che questo è il mio posto»

In sala con i chirurghi

Nel 2021 Alice si trasferisce a Worthing, città poco lontana da Brighton, per stare vicina alla famiglia del suo fidanzato. Qui lavora attualmente al Goring Hall Hospital, sempre del Circle Health Group, uno dei più grandi healthcare providers del Regno Unito, con più di 50 ospedali tra Inghilterra, Scozia e Galles, e specializzato soprattutto in Ortopedia. Qui è «senior theatre practitioner», assiste cioè i chirurghi durante le operazioni. «Sto imparando tante nuove tecniche e adesso introdurranno i robot: dovremo imparare a lavorare con quelli. Rappresentano un aiuto importante: so cosa vuol dire stancarsi in sala operatoria, quanta concentrazione ci voglia e quanto qualsiasi cosa ti passi nella mente quel giorno possa influenzarti. Penso che questo sarà il futuro. Adoro quello che faccio, penso di essere molto fortunata a poterlo dire. Il mio lavoro è vario, come infermiere puoi fare tanto e qui ho avuto la possibilità di provare dal reparto, alla terapia intensiva, fino alla sala operatoria. Ho capito che questo è il mio posto».

A mezz’ora dalla spiaggia

I suoi colleghi, a dimostrazione della multiculturalità che si respira in sala operatoria, vengono dal Portogallo, dalle Filippine, dall’Irlanda, dal Pakistan, dall’India, dalla Lituania, dal Sudafrica e dal Congo. «Adesso che mi sono spostata sulla costa, mi piace dove vivo, sono a circa mezz’ora a piedi dalla spiaggia. Con l’inglese sono decisamente migliorata, anche perché il mio fidanzato è di qui: l’ho conosciuto in ospedale, lui ci dava i materiali della sala operatoria. Addirittura, una volta, parlando con mia mamma al telefono, mi sono messa a risponderle in inglese. Anche se mi manca la Maresana e le mie montagne, devo dire che anche qui ho vicino delle bellissime scogliere bianche, le “Seven sisters”. Chiaramente la mancanza, soprattutto di famigliari e amici, si sente, ma ho la fortuna di tornare a Bergamo davvero molto spesso, quasi una volta al mese.

Bergamo senza confini

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