A Pechino studia
l’aria analizzando
i semi delle nuvole

Da Spirano alle vette più alte del mondo, fino alla Cina: un anno e mezzo fa è stato nominato miglior giovane scienziato d’Europa grazie al suo studio sui «semi delle nuvole», ora Federico Bianchi, brillante chimico e ricercatore per l’Università di Helsinki, racconta come continua «a essere sballottato da un posto all’altro del globo perché trainato da un’ambizione scientifica che considera un vero e proprio hobby».

Diplomatosi all’istituto Natta di Bergamo, a cui sono seguiti una laurea in chimica a Milano e un prestigioso dottorato svizzero svolto al Politecnico Federale e all’Istituto Paul Sherrer di Zurigo, il classe ’84 della Bassa bergamasca, negli ultimi mesi ha fatto principalmente spola tra Finlandia, Bolivia e Cina: «Si può suddividere il mio ultimo lavoro in due aree principali: l’analisi del cambiamento climatico attraverso lo studio delle nuvole ad alta quota e una minuziosa verifica della qualità dell’aria che si respira a Pechino».

Partendo dal primo ambito: a cosa tenta di rispondere?

«Serve a capire meglio gli andamenti climatici, dandoci indicazioni su quanto l’azione umana riscalda o raffredda il clima rispetto a quella naturale. Tutto ciò è possibile studiando la formazione dei semi delle nuvole: sono costituiti da piccole particelle di aerosol prodotte dall’uomo (ad esempio dall’industria) o naturalmente, e il loro confronto ci può dire quanto riscaldiamo e raffreddiamo rispetto all’azione naturale. Attraverso strumentazioni all’avanguardia, ho continuato nell’osservazione delle particelle che si formano a 5000 metri, sulle Ande boliviane».

Come è avvenuto invece il passaggio in Cina?

«Da una collaborazione tra l’Università di Helsinki e quella di Pechino è stata costruita una stazione di misure permanente della qualità dell’aria nella capitale cinese. È un ambito nuovo per me che ha un impatto diretto capace di migliorare la vita delle persone. Usiamo spettrometri di massa molto avanzati per studiare la qualità dell’aria, in particolare quei periodi con alte concentrazioni di polveri sottili che in estremo oriente raggiungono picchi fino a 20 volte il limite che abbiamo noi in Europa. Ho un ruolo da supervisor, quindi sono stato in Cina diverse volte l’anno: coordino un’equipe di 15-20 persone, analizzando e pubblicando i risultati. Qui si inquina molto, ma in proporzione si applicano molto più di noi per migliorare l’ambiente».

Uno studio del genere sarebbe utile anche da noi?

«Certamente. La pianura padana, situata tra le Alpi e gli Appennini, paga il fatto che non c’è un buon ricircolo d’aria risultando così une delle zone più inquinate d’Europa. Un investimento di 10-20 milioni di euro ci aiuterebbe a costruire una stazione di misura all’avanguardia che ci permetterebbe di monitorare l’aria, capirne meglio le sorgenti dell’inquinamento, ma credo che non sia ancora stato fatto perché non porta grandi voti. Proseguendo su questa strada e con l’effetto “tappo” che viene a crearsi in inverno, si continuerà a parlare ogni anno di inquinamento».

Se dovessi ricordare dei momenti entusiasmanti, quali sarebbero?

«Se ne elencherebbero davvero tanti. Per esempio, entrare al Cern di Ginevra da chimico quando ancora ero uno studente a Milano è stato particolare e unico. Oppure l’esser riuscito a creare una linea di ricerca personale prima dei trent’anni durante il dottorato in Svizzera (al Politecnico Federale e all’istituto Paul Sherrer), che mi ha permesso di coronare il mio sogno: fare scienze in alta quota. Adoro le montagne e passare mesi in quasi isolamento sulle Alpi, al Polo Nord, in Sud America o ancora Everest e Himalaya è davvero favoloso».

Ci sono mai stati attimi di smarrimento?

«Quando ho rischiato di vedere il progetto di una vita fallire: sia sullo Jungfraujoch (Alpi Svizzere) che in Nepal la strumentazione, davvero complicata, non funzionava. Sono un chimico puro e ne so poco di elettronica. Ho passato una settimana quasi senza dormire prima di trovare la giusta soluzione».

Diciamo che il campo base dei tuoi spostamenti rimane comunque Helsinki…

«Sì, ho appena comprato casa e penso: chi me l’ha fatto fare? A parte gli scherzi, solo questa università stanzia i fondi necessari per la mia specifica ricerca. E poi vivere in Finlandia è bellissimo: è tutto molto armonioso e ben organizzato. Definirei Helsinki come “la brutta che piace”: non ha l’incanto di altre città nord-europee, ma nonostante il suo apparente grigiore è funzionale, viva e le persone sono molto gentili».

Sai già quali progetti e viaggi ti aspettano nei prossimi mesi?

«Mi dedicherò all’analisi dei dati raccolti durante l’anno e a una serie di conferenze per la loro diffusione nei poli scientifici americani ed europei: è una parte di lavoro che mi aiuta a sviluppare nuove idee. Poi le sponde principali saranno la Cina, il Polo Nord e l’università di Helsinki dove aspiro a ricoprire un ruolo da professore. Presenterò anche il mio studio sulle nuvole al Consiglio Europeo della Ricerca: se fosse premiato, sarebbe come vincere la medaglia d’oro olimpica».

Un pensiero all’Italia a volte lo fai?

«Nel lungo periodo mi piacerebbe tornarci. Anche da noi ci sono dei centri scientifici di prestigio, come il Cnr di Bologna. Vorrei vivere in un posto vicino alle montagne: pur essendo cresciuto in Bassa, mia mamma è originaria di Valbondione e il richiamo delle cime è sempre stata una costante fin da quando sono piccolo».

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