A New York studia le campagne pubblicitarie per grandi brand

LA STORIA. Maria Chiara Cuppone, 36 anni, è direttrice creativa in un’agenzia con clienti come Apple, Nike e Coca-Cola. «Mi manca tanto Bergamo, ma qui opportunità uniche».

La prima trasferta all’estero a 19 anni, poi Maria Chiara Cuppone non si è più fermata. Originaria di Fino del Monte, 36 anni, da nove vive negli Stati Uniti insieme al compagno, precisamente a New York, dove lavora come direttore creativo per un’agenzia pubblicitaria.

«Sono partita la prima volta per ragioni di studio – confessa –, avevo solo 19 anni. Dopo un anno e mezzo di Università allo Ied (Istituto europeo di design) a Milano, sono riuscita a organizzare uno scambio nella sede di Barcellona, frequentavo il corso di Art direction. Alla fine ho deciso di rimanere lì e laurearmi in Spagna. Ho poi avuto l’occasione di entrare in una delle migliori agenzie pubblicitarie di Barcellona dove mi sono formata per i successivi due anni prima di trasferirmi a Madrid».

Vita impossibile a Milano

All’età di 25 anni decide di rientrare in Italia per lavorare a Milano. «Dopo più di un anno in Italia però, nonostante fossi felice di essermi riavvicinata alla famiglia, agli amici e di aver iniziato a vivere con il mio partner dopo sette anni di relazione a distanza, mi sono resa conto che la mia carriera non aveva futuro. La mia vita da giovane professionista in patria era molto difficile: dovevo lottare per coprire le spese quotidiane, come l’affitto e i trasporti. Così ho capito che l’unica soluzione era rifare le valigie e cercare una nuova opportunità all’estero. Questa volta mi sono concentrata su Paesi anglofoni, sia per migliorare il mio inglese sia per le maggiori opportunità lavorative e di crescita economica. Inizialmente avevo puntato su Londra ma alla fine ho ricevuto un’offerta per San Francisco».

La partenza per San Francisco

Così la partenza insieme al compagno che ha deciso di seguirla. «San Francisco è stata una casualità. Avevo ricevuto un’offerta di lavoro a Londra – prosegue –, ma proprio in quel momento si è aperta un’altra porta e, dopo aver fatto sei colloqui, con un inglese tentennante, ho ottenuto un lavoro a San Francisco. È stato un bel regalo di Natale per me, un po’ meno per la mia famiglia: non dimenticherò mai quella sera in cui ho dato loro la notizia. Adesso, ovviamente, sono tutti molto orgogliosi della mia scelta e del mio coraggio, ma so che la distanza non è facile né per me né per loro. E come figlia unica lo dico con il cuore in mano».

«Usa, la meritocrazia esiste»

«Io e il mio compagno (che ha lasciato un lavoro molto più stabile e remunerativo per seguirmi in questa pazza avventura) ci eravamo dati un paio di anni per fare esperienza, arricchire il nostro curriculum e cercare di fare il salto di qualità che sembrava impossibile in Italia – ricorda –. Da quel momento abbiamo passato sette anni a San Francisco, un anno da nomadi digitali e, da un anno invece ci siamo trasferiti a New York. Le mie aspettative riguardavano soprattutto una cosa: la meritocrazia. Negli Stati Uniti non hai un contratto stabile e sei spinto a dare il massimo ogni giorno. E la verità è che questo impegno viene ripagato: aumenti di stipendio e promozioni vengono assegnati in base ai risultati raggiunti. Qui c’è una vera e propria struttura di carriera basata sulla meritocrazia. In cinque anni ho cambiato quattro posizioni, da Mid-Level a Director, sempre nella stessa agenzia, senza nemmeno dover cambiare lavoro per fare il salto di posizione o di stipendio. Ho anche avuto la fortuna di lavorare con un team internazionale, con persone provenienti da tutto il mondo. È stata (ed è ancora) un’esperienza di arricchimento culturale che mi ha permesso di conoscere persone incredibilmente umili ma di talento straordinario, tutte lì per lo stesso motivo: cercare un posto che riconoscesse il loro talento e fosse disposto a investire su di loro, invece di cercare di schiacciarli per due lire».

Tra i clienti Apple e Coca-Cola

«L’agenzia per cui lavoro ha come focus l’innovazione – spiega –. Ci occupiamo di progetti e lavoriamo con brand che cercano di creare un futuro migliore attraverso l’uso del design e della tecnologia. Ci occupiamo di progetti che spaziano da campagne integrate, brand activations, social, branding/rebranding e altro. Alcuni dei clienti per cui ho lavorato negli ultimi anni includono: Apple, Meta, Oculus, Nike, Levi’s, Coca-Cola e altri ancora».

«New York è unica: arte, teatro, jazz, concerti, dj set, spettacoli, ristoranti, bar, moda, eventi di ogni tipo. Esci di casa e le cose ti succedono»

Gli Stati Uniti, un altro mondo. «Qui ti senti di essere al centro del mondo – confessa – ed avere accesso a tutto a qualsiasi ora: sembra folle. New York è decisamente diversa da San Francisco. C’è sempre questa diatriba tra la West Coast e la East Coast. La verità è che entrambe le città offrono il mondo. San Francisco è più orientata alla natura e alle attività all’aperto, mentre New York... Beh, New York è unica: arte, teatro, jazz, concerti, dj set, spettacoli, ristoranti, bar, moda, eventi di ogni tipo. Esci di casa e le cose ti succedono, mentre a San Francisco puoi fare surf, nuotare nella baia, fare un’escursione a Napa Valley nel weekend, sciare a Lake Tahoe, fare passeggiate in montagna, picnic nei parchi. Ma la vita notturna a San Francisco è decisamente meno effervescente. Spero comunque di tornare in Italia – racconta –. Il sogno c’è e ne parliamo spesso, sempre più di frequente».

«Gli amici ci dicono: non tornate»

«Le agevolazioni per il rientro dei “cervelli in fuga” sono una possibilità allettante, che ci fa considerare il ritorno con un po’ più di speranza, ma la verità è che la maggior parte dei nostri amici che sono tornati ci dice di rimanere qui. Il problema è che quando sono negli Stati Uniti, sento il desiderio di tornare in Italia, e quando sono in Italia, sento di non poterci vivere e voglio tornare negli Stati Uniti. Le differenze sono abissali, sia nel bene che nel male, per entrambi i Paesi. Ovviamente abbiamo rinunciato a tanto: gli amici di un tempo, le relazioni che per forza di cose si sono perse, abbiamo un senso di colpa costante per la nostra famiglia lontana e per quella che purtroppo non c’è più. Per questo, ci siamo trasferiti a New York, per essere più vicini all’Italia (un volo diretto e solo sei ore di fuso orario, invece di nove)».

La mancanza della famiglia

«Sento la mancanza della famiglia, gli amici, il vino e il cibo buono, non processato o con aggiunta di ingredienti impronunciabili. E ultima, ma non ultima “La Grande Bellezza”, l’arte, la cultura, l’architettura, la storia, il bello».

«E di Fino del Monte nello specifico, la natura, e la “semplicità” (apparente) della vita. Le lunghe passeggiate in montagna. Avere gli amici che vanno a funghi, quelli che cacciano la lepre, quelli che hanno le galline, i pomodori e i fiori di zucchina dell’orto».

Bergamo senza confini

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della comunità bergamasca onlus. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per un anno l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].

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