«A Dortmund
lavoro per rendere
le città più vivibili»

«Bergamo è una città bellissima, dalle potenzialità enormi». Lo ha sempre pensato quando ci viveva, lo ribadisce ora a 900 chilometri di distanza: del resto è lì, a Boccaleone, che Stefano Cozzolino ha cominciato a covare il suo interesse per gli ambiti urbani, l’ha coltivato e gli ha dato una forma e un futuro. Oggi, a Dortmund, quella passione sorregge una professione, un’esistenza intrecciata con lo studio dei territori: nel cuore della Renania (il land più popoloso di tutta la Germania), Stefano vive, lavora, insegna.

Classe 1988, una laurea in pianificazione territoriale al Politecnico di Milano conseguita nel 2012, il dottorato in urbanistica concluso nel 2017: «Già in quel periodo – racconta – ho avuto modo di trascorrere parecchio tempo all’estero: in Olanda per brevi periodi e a New York per tre mesi, lavorando per l’economista Sanford Ikeda. Stiamo parlando di uno dei massimi esperti di economia delle città, collaborare con lui è stato elettrizzante».

Da lì si è dipanata una carriera professionale che oggi vede Stefano abitare ed esercitare a Dortmund, tenere corsi universitari nella vicina Aquisgrana, girare il mondo per meeting internazionali. «E pensare che ero una capra in inglese – ridacchia –: mi rifiutavo persino di studiarlo. Poi l’Erasmus a Bristol mi ha spalancato gli occhi: ho capito quanto fosse bello e fondamentale poter parlare con gente di ogni parte del mondo».

Piccolo passo indietro, agli anni del liceo artistico. L’indirizzo architettonico è una strada lineare percorsa senza troppo entusiasmo, poi l’imbocco di una via alternativa porta a spalancarsi un mondo: «Mentre studiavo architettura i miei interessi si sono orientati in altre direzioni. E ho cominciato a pormi delle domande, nel tentativo di capire, ad esempio, perché alcuni ambiti urbani rimangono indietro rispetto ad altri che risultano molto più vivaci e attrattivi. Vivevo a Boccaleone, mi sono messo ad approfondirne la storia: com’era nato il quartiere, com’era stato pensato, quali prospettive avesse in origine. Un percorso che ho fatto da autodidatta perché gli schemi scolastici non prevedevano lo studio dell’urbanistica».

Un cammino poi ulteriormente sviluppato negli anni dell’università e del dottorato, trovando e accostando piccoli tasselli: «Quando si fa ricerca, si pongono delle domande. Che aumentano man mano trovi le prime risposte, perché poi nascono in continuazione nuovi spunti, nuovi quesiti da sviscerare». E chissà quante questioni, quanti punti interrogativi possono sgorgare da un Paese immensamente ricco di territori variegati qual è l’Italia. «Certo, ma purtroppo da noi non si ragiona sul lungo termine. Gli assegni di ricerca durano un anno, dunque qualsiasi progetto non può essere sviluppato in maniera sufficientemente esaustiva. Per indagare, per pubblicare ci devi sbattere la testa, impiegare tempo che qua non viene dato. All’estero invece è tutta un’altra storia».

Così, dopo aver lavorato per diversi mesi con il professor Stefano Moroni, esperto di etica e regolazione del territorio, Stefano ha cominciato a guardare oltre confine prospettandosi un futuro da cervello più o meno in fuga. «La condizione lavorativa ottimale l’ho trovata in questo istituto di ricerca di Dortmund: l’Ils mi garantiva un contratto di cinque anni con prospettive di tempo indeterminato, accettare è diventato inevitabile».

Nel 2018, dunque, la «Metropoli verde della Ruhr» (potenza dei numerosi parchi cittadini e dei boschi del circondario) ha accolto fra le sue braccia il ricercatore targato Bg. «Ci sono arrivato a 30 anni, sapendo che nel Nord Europa hanno a cuore la crescita dei giovani: gli danno spazio, li responsabilizzano investendo sulle loro qualità, ne accrescono la dignità. A me è capitato di fare conferenze a New York, Tel Aviv, Vancouver: non credo che in Italia avrei avuto le stesse possibilità».

Nel dettaglio, gli urbanisti come Cozzolino si adoperano attorno alle dinamiche cittadine, analizzano gli sviluppi dei comuni, scavano nelle origini per prospettare un futuro. «Per essere assunto alla Ils ho presentato una mia ricerca sulle città storiche, sul modo in cui si sono evolute; sulle regole che hanno permesso il sorgere di luoghi bellissimi e sulle lezioni che possiamo trarne». Il tutto affinché quegli insegnamenti non vadano perduti: «Nel ventesimo secolo abbiamo costruito ambienti urbani alquanto discutibili: si pensi a certe periferie e al loro degrado, ai sobborghi dormitorio e monofunzionali che non riescono a farsi vitali e dinamici».

Pare di capire che il da farsi non manchi. Neppure a Bergamo: «Prima ci tornavo spesso, poi la vita da pendolare è diventata molto impegnativa e quindi ho ridotto le visite. Ma le mie radici sono sempre lì». Lì, al centro di una comunità che dal punto di vista attrattivo si è rilanciata parecchio negli ultimi anni: «Con la sua bellezza si ripaga da sola: penso a Città Alta e ai suoi borghi, ai colli, alla parte storica e a quel loro fascino persino disarmante, sostenuto da un potenziale stratosferico». La sfida potrebbe impegnare ogni angolo del perimetro cittadino: «Attorno a questi contesti ruotano tanti quartieri che meritano di essere aperti a nuove trasformazioni, sogni, idee. Non serve, anzi credo sia proprio sbagliato, stendere mega progetti tesi a grandi alterazioni urbane: sarebbe più opportuno procedere con processi incrementali, prodotti in maniera graduale e organica».

Un esempio concreto? Le piste ciclabili. «Quando torno a Bergamo mi muovo solo in bicicletta, e non perché sia diventato un fricchettone alternativo: semplicemente mi sono reso conto che in pochi minuti la giri tutta. Questa è la direzione da prendere, con un coraggio sempre più marcato: ogni cittadino deve essere messo nella condizione di potersi tranquillamente muovere in bici, come a piedi o in monopattino. Scegliere il mezzo di trasporto, anche l’auto, è un suo diritto: e dunque gli deve essere permesso di farlo nella maniera più sicura possibile».

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della comunità bergamasca onlus. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per un anno l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected] .

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