«L’ho ucciso per difendermi»
L’agricoltore di Cologno resta in carcere
Arresto convalidato, Sebastiano Arnoldi resta in carcere. L’imprenditore agricolo di Cologno al Serio venerdì scorso aveva confessato di essere l’autore dell’omicidio di Ibrahim Basam, il siriano di 51 anni ucciso con 20 colpi di roncola lo scorso 4 agosto in località Fornasette.
Sebastiano Arnoldi, 45 anni, sposato e padre di tre figli, è stato interrogato nella mattinata di lunedì 23 novembre dal gip Raffaella Mascarino per la convalida del fermo: un interrogatorio di un’ora e mezzo durante il quale l’uomo ha ammesso di aver ucciso il 51enne, riconfermando la versione data ai carabinieri quando fu convocato in caserma con la scusa di un’indagine sui furti.
Arnoldi, in quell’occasione, ha detto d’aver colpito l’uomo per difendersi dall’aggressione dell’immigrato, che aveva sorpreso mentre rubava dentro un’auto. «L’ha colpito con una roncola che poi ha buttato via. Sono stato io - ha detto ai militari - mi sono tolto un peso, non riuscivo a dormire».
Il gip ha così convalidato l’arresto: la decisione di confermare il carcere per Arnoldi è stata stabilita per il rischio che l’uomo possa reiterare il reato, fuggire o inquinare le prove.
Arnoldi, nessun problema con la legge prima di questo fatto,ha raccontato nei giorni scorsi ai carabinieri del nucleo investigativo di Bergamo i concitati momenti che hanno preceduto l’uccisione di Ibrahim, già noto alle forze dell’ordine per dei furti, senza fissa dimora, disoccupato e celibe. Pochi minuti prima delle 13,30 del 4 agosto scorso, un caldo martedì pomeriggio, mentre camminava lungo una strada sterrata nell’area campestre vicino al Serio – una zona frequentata, in estate, da persone intente a fare jogging o a prendere il sole –, Arnoldi aveva visto Ibrahim rubare da una Fiat Panda in sosta sotto alcuni alberi (e di proprietà di un’altra persona, non presente in quel momento). «Cosa stai facendo?», gli avrebbe chiesto, mentre il siriano si era già impossessato di una borsa da donna, dopo aver forzato la serratura della vettura.
Nella zona erano già frequenti, da qualche tempo, i furti su auto, tanto che la stessa famiglia di Arnoldi – che vive in un cascinale a trecento metri dal luogo del delitto, nello stabile dove ha sede l’azienda agricola «Fratelli Arnoldi» della quale Sebastiano è titolare – ne aveva subìto almeno uno, denunciato tre giorni prima del delitto, il 1° agosto, ai carabinieri di Urgnano. Forse anche per questo – benché agli inquirenti abbia giurato che quel giorno non era né esasperato né intenzionato a scovare a tutti i costi il ladro – al quarantacinquenne non era sfuggito il furto ed era intervenuto. A quel punto – stando sempre al suo racconto fornito agli inquirenti, ma che viene ritenuto assolutamente verosimile – Ibrahim lo avrebbe minacciato e avrebbe anche cercato di colpirlo con un paio di forbici, le stesse che sono poi state trovate accanto al suo cadavere.
Arnoldi era riuscito a schivare i colpi senza restare ferito, ma aveva reagito: afferrata la roncola che aveva con sé – pare la portasse regolarmente proprio per la sua attività agricola, essendo proprietario di alcuni fondi terrieri in quella zona – ha inferto, come una furia, una ventina di colpi a Ibrahim, all’addome e al collo, fino a ucciderlo. Dopodiché si è allontanato in tutta fretta, ha percorso la strada che porta alla sua azienda agricola, ma ha proseguito fino a raggiungere la cava al Tiro, a meno di un chilometro dal punto dell’aggressione, e ha gettato nel laghetto la roncola, che infatti non era stata ritrovata. La Scientifica dei carabinieri e poi il medico legale incaricato dell’autopsia dal sostituto procuratore Fabio Pelosi, titolare dell’indagine, avevano comunque subito definito la tipologia dell’arma appunto in una roncola, per via delle ferite causate con una lama ricurva.
La scintilla che avrebbe scatenato la violenta reazione di Arnoldi sarebbero state le minacce che Ibrahim avrebbe rivolto a lui e alle sue figlie: i due, infatti, si conoscevano di vista, poiché anche il siriano bazzicava nella zona, dove – italianizzando il suo nome – si faceva chiamare «Bassano» e dove si era fatto ospitare prima da una famiglia di giostrai e poi da una cinquantenne italiana di Cologno, della quale il siriano si era innamorato, pur non essendo corrisposto. Alla donna aveva tra l’altro inviato l’ultimo sms prima di essere ucciso: ora si sa anche da chi.
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