Ogni vita autentica ha il potere di ispirare

Le storie di Abele Marinelli, Angelo Gallo, i fratelli Perico e la loro banda di Prezzate, Giuseppe Zanotti, Severino Zendra e Francesca Delfina Visinoni ci raccontano che solo una vita vissuta con bontà, dedizione e autenticità può lasciare dietro di sé un sentiero fiorito, un cammino segnato da speranza che porterà un futuro migliore a chi verrà.

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E se il segreto della vita si trovasse nella semplicità di una scelta, come quella di trascorrere i propri giorni in una capanna tra le pecore e un cane fedele, amati e benvoluti dalla gente del paese? O forse nel donare agli altri la magia della musica, insegnando a suonare uno strumento della banda ai propri compaesani, trovando modi creativi per superare la mancanza di risorse, come trasformare i coperchi delle pentole in strumenti? Sono solo due storie, quelle di Josef e dei fratelli Perico, eppure hanno il potere di gettare luce sui nostri giorni, ricordandoci che ogni vita autentica ha il potenziale di ispirare.

Ma non ci fermiamo qui. Anche altre vite, apparentemente ordinarie, custodiscono preziose lezioni: la passione per la montagna di Abele Marinelli e il suo entusiasmo che molti potrebbero chiamare imprudenza; la centenaria Francesca Delfina Visinoni che ci insegna il valore dell’equilibrio; il medico ostetrico Angelo Gallo e l’imprenditore Severino Zendra che ha saputo trasformare il suo amore per il territorio in un lascito duraturo per la comunità.

Abele Marinelli: un ricordo perenne sul Monte Rena

A Comenduno di Albino è ancora vivo il ricordo di Abele Marinelli.
Prima che la montagna sportiva diventasse un fenomeno di massa, Abele la frequentava con entusiasmo e rispetto ed è ad essa che ha sacrificato anche la sua vita. Abbiamo trovato sulle pagine del giornale del 2 giugno 2008 un ricordo di Abele a 55 anni dalla morte e il programma di una gita sul Monte Rena alla lapide a lui dedicata. La partenza era prevista alle 8.30, dalla Villa Regina Pacis, sede del Gruppo sportivo «Abele Marinelli». Poi, la salita verso la lapide lungo il sentiero numero 1, contrassegnato come «Lapide Abele Marinelli-Madonnina del Narciso». Alle 10.30 c’è stata la Messa, celebrata dal parroco don Diego Mario Berzi e al termine, c’è stato un buffet offerto dal gruppo sportivo. Oggi, dopo ulteriori 16 anni da quella gita, sono ancora numerosi gli sportivi albinesi e, più in generale, della Valle Seriana che si riconoscono nei colori giallo-blu-rossi del Gs Marinelli e per i quali il Monte Rena, la montagna che sovrasta la frazione di Comenduno, è familiare.

La storia locale narra che già nei primi anni ’50, in oratorio e in frazione, si praticava la palla elastica, il calcio e la corsa in montagna. E proprio la montagna era la passione di Abele Marinelli, uno dei tanti giovani di Comenduno che era solito fare escursioni sulle montagne che fanno corona ad Albino, passeggiando e correndo.

Purtroppo, il 24 maggio del 1953, in un’escursione sul Monte Rena, il giovane Abele Marinelli periva tragicamente. Così leggiamo sulla cronaca del tempo: «E di lui non restava che il dolore dei suoi, il ricordo perenne negli amici, un nome inciso sul marmo ai piedi di una parete sconosciuta, sulle pendici di un monte ignoto a chi non sia del luogo. Della sua passione per la montagna, del suo entusiasmo per le inebrianti distese di neve, dell’ebbrezza provata nell’ascendere sulla ripida parete di roccia infida, e dello spasimo atroce degli ultimi istanti, nulla». «Questo – continua ancora il ricordo dell’epoca di Abele Marinelli – doveva essere consegnato agli amici della montagna, che chiameranno entusiasmo quello che per i più poteva sembrare imprudenza, e definiranno sacrificio il suo accidente, e rivivranno nelle loro esperienze le ansie e le gioie che sarebbero state sue. E penseranno a lui quando calzeranno gli sci o ascenderanno la roccia; perché essi, gli amici della montagna, conoscono il suo entusiasmo e la sua passione e rimpiangono il suo avvenire, come essi e lui lo sognavano».

Tiziano Piazza (Archivio de L’Eco di Bergamo)

Angelo Gallo: stimato specialista in Ostetricia e Ginecologia

Un grave lutto colpiva nel novembre 2008 gli allora Ospedali Riuniti. Dopo aver combattuto una dura battaglia contro un male incurabile manifestatosi otto mesi prima, Angelo Gallo – uno dei più stretti collaboratori del direttore dell’Unità operativa di Ostetricia e Ginecologia, Luigi Frigerio – se ne andava a soli 45 anni.

Gallo, arrivato otto anni prima ai Riuniti, era diventato uno dei più stretti collaboratori di Frigerio in poco tempo grazie alla preparazione e all’abnegazione con cui interpretava la professione di medico.

Laureatosi con lode all’Università Cattolica di Roma in Medicina e Chirurgia, aveva poi scelto di specializzarsi in Ostetricia e Ginecologia e successivamente anche in Oncologia e in Chirurgia generale. Dopo una parentesi romana al Policlinico Gemelli, all’Istituto dei Tumori di Aviano aveva lavorato al fianco del professor Scarabelli, uno dei maestri dell’Oncologia ginecologica, per poi arrivare ai Riuniti, dove si era subito fatto apprezzare sia per le doti professionali sia per quelle umane.

La sua scomparsa colpiva dolorosamente tutto il personale dei Riuniti (in particolare l’Unità di Ostetricia e Ginecologia, dove lavora anche la moglie di Gallo, stimata ginecologa) e i docenti e gli studenti del corso di laurea. Gallo infatti affiancava all’attività clinica anche quella di docente al corso di laurea in Ostetricia che si teneva ai Riuniti.

Archivio de L’Eco di Bergamo

La banda di Prezzate e i suoi musicisti

Nel ricordo delle persone significative che ci hanno lasciato, è doveroso il ricordo di tutte quelle persone che hanno fatto parte del Corpo Musicale di Prezzate.

Padre Genio Perico Ci racconta la storia di questo apprezzato gruppo: appena finita la seconda guerra mondiale Giovanni Gandolfi e Guido Alborghetti riunirono un gruppo di giovani del paese e cominciarono ad istruirli prima nella teoria e poi nella pratica con gli strumenti. Nasceva così il Corpo Musicale di Prezzate che faceva il suo esordio nell’aprile del 1946 con un numero limitato di 14 musicanti. Un numero ridotto poiché, a causa di scarse disponibilità finanziarie, gli strumenti acquistati di seconda mano non erano sufficienti per tutti i giovani che frequentavano le lezioni.

Le prime lezioni venivano effettuate in casa di Guido Alborghetti, poi successivamente nel cortile dei Perico, da sempre la famiglia più numerosa nel Corpo Musicale, ora «Via dei Musicanti». Ricordiamo la prima uscita del Corpo Musicale: durante una festa paesana si presentò alla popolazione suonando brani popolari sopperendo con utensili da cucina e attrezzi da lavoro. L’esibizione fu accolta con stupore, ma anche con applausi. La divisa era costituita dal solo cappello.

La foto ritrae i quattro fratelli Perico, deceduti in questi anni. La prematura scomparsa nel 1948, a soli 28 anni, di Giovanni Gandolfi, portò a Prezzate il nuovo maestro Pietro Malvestiti di Mapello che rimase fino al 1953. Poi seguirono altri maestri. Nel 1959 il Corpo Musicale fu affidato al maestro Carlo Mariani di Mapello che rimase alla guida del Corpo Musicale fino al 1993 e per questo è davvero meritevole di un ricordo grato e particolare. Dal 1994 la direzione venne affidata a Tarcisio Perico, già maestro degli allievi. In quegli anni i dirigenti erano Tarcisio Perico e Onorio Donizetti e negli anni seguenti la direzione del Corpo Musicale fu affidata ad altri maestri, tuttora viventi, che hanno saputo creare nuovo interesse e entusiasmo fra i musicanti rinnovando il repertorio.

Per garantire un futuro al Corpo Musicale, il nuovo direttivo decise di concentrare parte delle energie e risorse alla scuola allievi, affidata prima a Tarcisio Perico e poi al figlio Simone Perico, ancora oggi responsabile. La speranza è, che negli anni, il Corpo Musicale continui ad allietare con le iniziative e attività la comunità Prezzatese, che sempre ha nella mente e nel cuore i propri fondatori e musicanti.

P. Genio Perico

Giuseppe Zanotti: il pastore Josef che scelse di vivere in solitudine

«Era una persona molto buona, solitaria, mite e pacifica». A parlare era Olindo Danesi, assessore comunale all’Ambiente e ai Lavori pubblici di Parzanica, che conosceva molto bene Giuseppe Zanotti, da tutti chiamato Josef, il pastore di 78 anni morto una sera di dicembre del 2008 nell’incendio del capanno in cui viveva.

La tragica fine di Giuseppe Zanotti rimbalzò in tutte le case dei parzanichesi, colpiti dalla triste fine del pastore di Gorno che una ventina d’anni prima aveva fatto la scelta drastica di vivere in solitudine con il suo piccolo gregge nel paese montano del Basso Sebino. «La sua casupola ha preso fuoco e lui era dentro: poveretto», ripetevano i compaesani di Josef. Tra le 18,30 e le 19 di martedì la precaria casetta di campagna in cui abitava prendeva fuoco mentre il pastore settantottenne era all’interno, probabilmente alle prese con il fornello da cui sarebbe partito l’incendio, che non gli ha dato scampo: che il rogo fosse di natura accidentale lo si è capito fin dai primi accertamenti.

Josef era un uomo solitario. Un pastore dalla folta barba, che aveva scelto di vivere lontano dalla gente. A Parzanica era molto legato, in particolare, a due persone, che gli sono state vicine e che lo hanno aiutato quando aveva qualche esigenza. Tra queste, l’assessore Danesi: «Parlavo spesso con Josef perché ci conoscevamo e anche perché alcune mie proprietà confinano con la sua. Era un uomo davvero pacifico e tranquillo». L’assessore ricordava un episodio particolare, che delineava anche il legame che l’anziano pastore aveva con gli animali. «Recentemente – ricordava Danesi – ho visto Josef che piangeva come un bambino. Gli ho chiesto cosa era successo e mi spiegò che gli era morto il suo cagnolino, che aveva chiamato Topolino. Quell’animale viveva con lui, erano inseparabili ed era la sua compagnia».

Ma tutti a Parzanica hanno un buon ricordo del pastore solitario arrivato molti anni fa dalla Valle del Riso. «Era mite e buono come il pane», diceva la gente che ha pregato in silenzio nella camera mortuaria del cimitero dove era stata composta la salma. Per volontà dei familiari che abitavano a Ponte Nossa, il pastore settantottenne è stato sepolto nel cimitero del paese della Valle Seriana.

Margary Frassi (Archivio de L’Eco di Bergamo)

Severino Zendra: l’imprenditore che «scavò» l’Alto Sebino

Nell’Alto Sebino è stato uno dei primi, forse il primo in assoluto, a usare camion e scavatori per lanciarsi nel settore degli scavi e della movimentazione terra . Un’attività che fino all’inizio degli Anni ’70 non era una vera e propria professione, ma veniva svolta in maniera autonoma da chiunque volesse costruirsi la propria casa. Lui, Severino Zendra di Costa Volpino, intuì che questo tipo di servizio poteva dargli parecchie soddisfazioni e così, nel 1971, fondò l’impresa di escavazioni dandole il proprio nome. Alla sua attività ha dedicato tutta la propria vita fino a quando, nel febbraio 2015, a 73 anni, si è spento dopo una lunga malattia all’ospedale di Lovere.

Pioniere del settore lo ricordano a Costa Volpino, dove viveva in via Roma (al confine con Rogno). Fu uno dei primi imprenditori ad acquistare i macchinari per il movimento terra, allora assolutamente innovativi. Con tenacia e dedizione, insieme alla moglie Maria, investì tutte le proprie risorse ed energie per lo sviluppo della propria azienda che, in pochi anni, assunse un ruolo di primo piano nel settore, sia nell’Alto Sebino che nell’intera provincia bergamasca. La dedizione al proprio lavoro è stata tramandata ai figli.

Severino Zendra era conosciuto e benvoluto, oltre che per la sua giovialità e il suo essere sempre «di compagnia», anche per la sua passione per il calcio amatoriale: ha sponsorizzato tante società di calcio attive nel promuovere lo sport giovanile e non c’è torneo di calcio estivo (Branico, Solto Collina, Corti...) in cui non abbia fatto da sponsor per contribuire ai vari montepremi finali.

Giuseppe Arrighetti (Archivio de L’Eco di Bergamo)

Francesca Delfina Visinoni: la saggia decana con il dono della lungimiranza

Saliva al cielo negli ultimi giorni del mese di aprile del 2017 Francesca Delfina Visinoni: la decana di Clusone aveva 102 anni.

Una donna che aveva dedicato tutta sé stessa alla famiglia. Francesca Delfina aveva avuto otto figli (un numero enorme paragonato al tasso di natalità dei nostri giorni): cinque le erano sopravvissuti, Carmen, Anna Maria, Marino, Claudia e Gian Mario, che l’avevano resa nonna e i tanti nipoti bisnonna.

Ne aveva viste di cose cambiare Francesca. Aveva visto le guerre, la ricostruzione, il boom economico e ora l’arrivo di quegli strani aggeggi che tutti tenevano in mano: i telefonini. Sarebbe stato bello chiederle cosa pensasse della noia che ci assale o dell’angoscia per il domani. Di certo, per chi ha visto tanti scenari cambiare, siamo tutti un po’ matti oggi a rincorrere l’ultima moda o a fare il viaggio più avventuroso. Lei, che è uscita dal suo paese poche volte, di certo ci tranquillizzerebbe che tanto tutto passa e domani esce ancora il sole. Avremmo tanto bisogno di parole così.

Antonella Savoldelli (Archivio de L’Eco di Bergamo)

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