«Miserere», l’inno alla vita che si canta(va)

Tiziano Incani, intervistato da Bergamo Tv, rievoca il «Miserere»: canto spirituale che, nelle valli, accompagnava i defunti. Ispirato al salmo 50, evoca perdono, colpa e solennità della morte.

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Quando Tiziano Incani, che tutti conosciamo come il «Bepi», era piccolo, dal suo balcone di casa a Rovetta vedeva il portone della chiesa di Fino del Monte, paese confinante. E con il portone vedeva i cortei funebri che entravano e uscivano con la processione dei fedeli e il morto. In un’intervista raccolta da Bergamo Tv e mandata in onda a marzo, l’artista ricorda la potenza evocativa del «Miserere» che sentiva, un canto dal grande spessore spirituale e capace di accompagnare con la giusta solennità «il» momento più importante della vita: la morte. Nulla a che vedere con il ritratto del fine vita di Almodovar, dove i ruoli del morente e della comunità non sono codificati e ne esce un quadro dai finti colori pastello poco consoni alla serietà dell’«atto finale». Pochi di noi conoscono questo canto liturgico che si cantava in valle la cui melodia ha origini incerte «Si tratta di un canto della tradizione orale e popolare di Bergamo – racconta Incani - So per certo che si cantasse a Olera di Alzano, a Locate e a Semonte».

«Non si sa chi l’abbia scritto - chiosa Roberto Colleoni, direttore del “Coro amici della musica sacra”. - Deriva probabilmente da una melodia gregoriana. Qualcuno la attribuisce a Perosi. Nelle nostre valli la stessa melodia è comunque trasmessa in modi diversi, sebbene l’impianto rimanga invariato». Sono tre le voci «virili» da cui è composto il brano: i tenori, i baritoni e i bassi. Era questa la formazione che si esibiva nel canto del «Miserere» in epoca preconciliare integrata, solo in caso di mancanza di voci maschili, da qualche voce femminile, che però penalizza l’esibizione sfumando il timbro «tetro» caratteristico. «Non si tratta di escludere le donne dal coro - prosegue Incani - ma di assecondare una tradizione che vuole rappresentare la “Signora” in modo così greve. In questo contesto, la voce maschile è di certo più efficace».

Cantando il «Miserere» ci si sente trasportati nella condizione del defunto. E ci si prefigura anche la nostra morte, un esercizio raccomandato dai santi. «La scelta del latino per questo canto - dice don Marco Caldara, solista del coro - è più efficace, ma si può cantare anche in italiano».

«Ho voluto riunire il “Coro amici della musica sacra”, il suo direttore Roberto Colleoni e il solista don Marco Caldara per registrare e fissare il canto la cui memoria si sta perdendo. Quando non ci saranno più i coristi che lo sapranno interpretare, avremo perso un grande dono. La registrazione effettuata ad Alzano (Studio 1901) in questi mesi è probabilmente l’unica disponibile e sono fiero di aver contribuito a registrarla».

Conclude Incani: «Avrei voluto arricchire la registrazione con due suoni che, a mio parere, marciano indissolubilmente legati al “Miserere”: il lento incedere dei passi dei fedeli del corteo funebre sulla ghiaia e il sibilo del motore del carro funebre che procede a marce ridotte. Sarebbe stato perfetto. Così come lo sentivo dal balcone di casa da bambino». E forse, aggiungiamo, non sarebbero fuori luogo i lamenti di una comunità che, tutta quanta, unita, partecipava della vita che arrivava e della morte che portava via. Si moriva tanto, perché si nasceva anche tanto. Ma si moriva meglio e il dolore conosceva le sue parole e la sua musica. Il «Miserere» ne è l’espressione perfetta. Grazie Tiziano Incani.

La storia di «Miserere»

Il «Miserere» è stato scritto dal re Davide come pentimento per una colpa di natura erotica commessa con Betsabea, la moglie di un ufficiale dell’esercito.

Era già re, il pastore Davide, l’unto da Dio, quando si innamorò di Betsabea e ne mandò a morte il ligio marito. Fino all’arrivo del profeta Natan, Davide non realizzò quanto fosse grave il sopruso commesso. Quando poi il senso di colpa si è manifestato, il re ha sentito il bisogno di chiedere perdono con un Salmo, in pratica una moderna canzone, il «Miserere» che è tra gli inni più recitati della storia del Cristianesimo. A dispetto del contesto in cui viene recitato, è un vero e proprio “dire sì alla vita”, secondo l’espressione di Nietzsche. Ovvero Davide affronta il senso di colpa in modo sano, si pente per quello che ha fatto per inseguire la vita. Ben diverso dall’atteggiamento di chi, oppresso da una colpa di cui non si pente, smette di vivere e resta immobilizzato in essa.

Con il «Miserere» dunque facciamo tesoro di una conquista: comprendiamo che la trasgressione è la via maestra dell’eroe per raggiungere se stesso e Dio. L’unica vera colpa sarebbe non rendersene conto. Davide prega di essere lavato dalle scorie del propellente che è servito a compiere l’indegno gesto, ma non lo rinnega, poiché talvolta si deve essere indegni, per riuscire a vivere pienamente. Dal proseguimento dell’amore di Davide per Betsabea nascerà il futuro re d’Israele, Salomone, colui che, paradossalmente, diventerà l’emblema del retto agire e del giusto decidere. La preghiera di Davide è, in definitiva, la nostra richiesta, dolorosamente colpevole, di essere accettati con comprensione.

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