Loreto, la freschezza di un’anima antica
Le colonne portanti del quartiere sono figure di grande valore, tra cui un corista premiato con la benemerenza dell’Arena di Verona per il suo impegno artistico, donne coraggiose che hanno fatto da ponte tra i partigiani prigionieri e le loro famiglie, e la catechista instancabile che per oltre 60 anni ha educato intere generazioni di giovani.
Attraversato da via Broseta e dalla Roggia Serio Grande, il quartiere di Loreto, che prende il nome dalla chiesa della Beata Vergine Maria di Loreto, ha un’anima giovane, ma ricca di storie da raccontare . Il quartiere, che fino al secolo scorso era riuscito a conservare il suo aspetto medievale, è infatti diventato con il tempo una delle zone residenziali più ambite di tutta la città, con molti abitanti che hanno lasciato un segno indelebile nella comunità. Tutti ricordi che possiamo ripercorrere e rivivere oggi grazie a «Ogni vita un racconto», il progetto de L’Eco di Bergamo che permette di riscoprire le necrologie – e quindi i racconti di migliaia di bergamaschi – pubblicate sul nostro quotidiano dagli anni Cinquanta ad oggi.
Francesco Colombo, residente in via Bonomini, è scomparso all’età di 65 anni per un male incurabile il 31 maggio 1971. Ritratto come una simpatica figura di artista, Colombo, che iniziò a cantare nelle chiese a soli tredici anni, fu un corista dalla brillante carriera internazionale. Il 65enne ebbe infatti il privilegio di esibirsi nei maggiori teatri lirici del mondo, partecipando a manifestazione di alto prestigio come il centenario della Fenice di Venezia. Colombo, si può leggere nell’archivio storico de L’Eco di Bergamo, fu anche «premiato con una medaglia di benemerenza dall’ente dell’Arena di Verona. Artista sensibile ed appassionato, aveva dedicato il meglio di sé stesso al bene della famiglia senza mai risparmiarsi in sacrifici».
Il 30 agosto 1973 le pagine del nostro quotidiano hanno riportato anche il ricordo di Giuseppe Ferrante, scomparso a 92 anni il 28 agosto 1973 dopo esser stato investito da un’auto in via Loreto. «Con la scomparsa del signor Giuseppe – scrissero al tempo – viene meno una di quelle figure della Bergamo antica che hanno collaborato a fare la Bergamo di oggi».
Senza dimenticare poi la signora Antonia Brena, vedova Sangalli, familiarmente chiamata e conosciuta da tutti con il soprannome di «Togna». Antonia, che si spense a 94 anni, abitò per oltre cinquant’anni nel quartiere. «Donna di fortissimi principi morali e religiosi, aveva trovato nella fede la forza di continuare a vivere cristianamente, dopo le numerose disgrazie che l’avevano colpita», vale a dire la morte di ben otto figli e del marito. «Con lei – confermarono al tempo – scompare una delle ultime figure di donne coraggiose bergamasche».
Una storia straziante come quella delle sorelle Maria ed Elena Mostarda, scomparse nel ottobre 1979 a distanza di soli cinque giorni. Le due sorelle, molto conosciute nella zona di via Broseta, vennero ricordate con grande affetto dalle persone «rinchiuse in S. Agata, o nel collegio delle Industriali, o nel monastero del Matris Domini durante la Resistenza, per ragioni politiche dell’epoca che le ebbero come coraggiose, discrete intermediarie fra loro e i familiari». Maria svolse il suo ruolo di insegnante prima a Milano e poi a Longuelo con rettitudine, serietà e intelligenza, mentre Elena, che «condusse con competenza e genialità un piccolo atelier di pellicceria», venne ricordata come «fedele nell’amicizia» e lavoratrice geniale. Elena assistette fino alla fine la sorella Maria, colpita da una malattia e infine da un malore.
All’età di 92 anni ci lasciò, il 12 agosto 1981, Romilda Bonomi, protagonista per molti anni della vita parrocchiale del quartiere, in modo particolare come catechista per i più piccoli. «Quante generazioni di fanciulli – si interrogarono al tempo – furono preparati da lei alla Prima Comunione? Quando, per motivi d’età, si decise a lasciare l’incarico, furono loro, ormai uomini fatti, che la festeggiarono dopo sessant’anni, forse più, d’ininterrotto servizio». Romilda, oltre al catechismo, curò svariate attività parrocchiali, rivenendo un riferimento anche fuori quartiere. «Accanto all’attività del catechismo, ogni altra iniziativa – confermarono in un articolo pubblicato qualche giorno dopo la morte – trovò in Romilda piena disponibilità: per cui si ricorse a lei per le attività più umili e quelle più impegnative, per quelle ristrette al solo ambito parrocchiale e quelle con riferimento extra- parrocchiale, quali l’Opera Barbarigo per il Seminario, le missioni in giro per il mondo e l’Università Cattolica per la formazione».
Marcello Castelli: sacrista del quartiere per mezzo secolo
Cugino del musicista don Andrea Castelli e dipinto come un uomo molto perspicace, Marcello Castelli – scomparso il 16 maggio 1985 – «esplicò la sua abilità nell’ufficio di sacrista della parrocchia di Loreto, per oltre mezzo secolo, con la sola eccezione del servizio militare». Un lavoro, il suo, che è stato apprezzato da tutti, a tal punto che la Parrocchia gli conferì, al 50° anno di servizio, la medaglia d’oro. «Marcello amava il suo servizio e lo svolgeva con orgoglio, animandolo con spirito vivo di preghiera», ricordarono le cronache del tempo.
Ai funerali parteciparono «tutti i vecchi abitanti di Loreto che, dimenticando talune asperità di temperamento, hanno omaggiato il sacrista che generazioni di parrocchiani avevano conosciuto». Accanto alla bara c’erano i suoi undici figli che ha cresciuto con amore anche dopo aver perso l’amata moglie.
Pierangelo Ceribelli: giocatore, allenatore e dirigente Uisp
Il quartiere di Loreto ha saluto il 3 novembre 2017 per l’ultima volta, a soli 36 anni, Pierangelo Ceribelli, conosciuto da tutti come «il Pieri». Grande appassionato di calcio e di Atalanta in particolare, Pierangelo aveva portato il suo contributo negli ultimi tre anni di vita all’Unione Italiana Sport per Tutti (Uisp), prima come giocatore, poi come allenatore e infine come dirigente.
Colpito da un malore in casa, il 36enne abitava in via Pietri e Maria Curie insieme ai genitori. «Era una persona di buon cuore, disponibile con tutti ed aveva un carattere forte. Aveva moltissimi amici, si faceva amare da tutti ed è stato molto bello vedere così tante persone che erano legate a lui», ha commentato al tempo lo zio Attilio Donadoni. «Per me – commentava Milvo Ferrandi, nel 2017 presidente della Uisp – è stato un vero amico, con un grande cuore, la sua scomparsa ci ha sconvolto tutti».
Ambrogio Frigerio: non ha mai perso il sorriso
Dopo una vita di sofferenze ma vissuta come una grazia, il 18 febbraio 2004 si è spento a 61 anni Ambrogio Frigerio, per tutti «Gino».
Colpito da emiparesi spastica a sette anni, il cammino di Gino fu pieno di «privazioni», come amava definirle. Nel 1957, per una visita di controllo, ritornò a casa fra le braccia dei familiari senza l’uso delle gambe. Nel 1961, a soli 18 anni, dopo un intervento chirurgico cui subentrò un’improvvisa emorragia, rimase cieco. E poi qualche anno dopo una nuova tragedia. Una rovinosa caduta provocò la frattura di due vertebre cervicali. Gino, con una tetraplegia irreversibile, perse così completamente l’autonomia. E infine a 55 anni un ictus cerebrale gli tolse la parola. A fatica lasciò il suo ultimo messaggio alla sorella Rina: «Quello che il Signore vuole, non è mai troppo!».
Una vita incredibile che lasciò un segno indelebile nel quartiere di Loreto.
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