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Ogni vita un racconto / Bergamo Città
Giovedì 13 Febbraio 2025
La pietà in una croce e in alcuni lumini
Camminare in città significa scoprire segni silenziosi di dolore: edicole spontanee piccoli monumenti votivi nati dall’affetto. Un memento mori che ci interroga, ci scuote e ci ricorda il prezzo della fretta e della distrazione.
Adoro camminare, è un’attività che trovo estremamente rilassante. Gli esperti, del resto, dicono che prevenga alcune patologie, rinforzi le difese immunitarie e, soprattutto, giovi all’umore: un vero e proprio toccasana per il benessere psicofisico, totalmente gratuito. E così, nonostante il freddo (a tratti tagliente), circa due settimane fa, durante gli ultimi giorni di gennaio, vado a camminare: una bella passeggiata per lavare via il ricordo dei pranzi natalizi, con vago senso di nausea (e di colpa) annesso. A passo spedito, percorro via Pizzo Redorta, per poi imboccare via Giulio Verne e, infine, tramite via Pietro Rovelli e via Pizzo Recastello, giungere in via Gabriele Rosa, nel quartiere di Boccaleone. Man mano che procedo verso una meta indefinita, nella mia mente, fanno capolino diversi pensieri. Anche per questo, a un certo punto, non mi accorgo di essere arrivato davanti al parco pubblico «Pollack», quello che sorge in via Vittorio Gasparini.
Indeciso se addentrarmi nel parco o se fare dietrofront, il mio interesse viene catturato da una piccola stele posta nei pressi dell’ingresso. Incuriosito, mi avvicino. La stele, circondata da lumini e da piantine sempreverdi, è in realtà una croce di marmo, avvolta da un rosario: un cippo in memoria di Matase Stefano e di Ganea Paraschiva. I nomi non mi dicono nulla, non li ricollego a nessun fatto di cronaca, eppure non riesco a staccare il mio sguardo dalla foto sulla croce: l’immagine di una donna che tiene in braccio un neonato. Gli occhi del bimbo paiono sognanti, come rapiti dall’incanto della vita; la signora, al contrario, sembra molto anziana e rivela un’espressione austera. Il suo viso è attraversato da rughe e il suo capo è avvolto in una specie di foulard che assomiglia un po’ a quello che indossava mia nonna quando andava nell’orto e a quello che portavano, un tempo, le contadine come lei, intente a prendersi cura dei frutti della terra. Nonostante una certa compostezza, la foto emana un’impalpabile dolcezza.
Il ricordo di Paraschiva e Stefano
Leggo la data di nascita e la data di morte di Paraschiva e di Stefano e, contrariamente a quel che mi ero detto, noto che la prima non è così attempata come immaginavo: è scomparsa a 61 anni. Il secondo, invece, aveva soli tre mesi quando è deceduto. Mi decido: estraggo lo smartphone e digito i loro nomi. Scopro che, nel 2007, Paraschiva, originaria della Romania, mentre stava attraversando la strada con il nipote, era stata travolta sulle strisce pedonali da un’auto. L’incidente si era consumato proprio in via Gasparini. Sia lei che il bambino erano morti dopo l’arrivo in ambulanza al Pronto soccorso. Il mio cuore si riempie allora di amarezza e di malinconia e la mia testa di nuovi pensieri: penso alla tenera intesa fra passato e futuro, incarnata da Stefano e da sua nonna, spazzata via dal caso, in un attimo; penso a quanto possa essere assurda e crudele, a volte, la realtà e se ci sia del senso nell’esser rimasti su questa terra per neanche 365 giorni. Ma mi vengono in mente anche le parole dello psicoterapeuta Claudio Agosti: «Muoversi a piedi permette di notare dettagli importanti; fra questi, anche lapidi commemorative che spesso parlano di morti premature, a volte ingiuste. Un “memento mori” che interroga le nostre scelte, le nostre abitudini e le nostre coscienze. Lapidi che, purtroppo, possono incarnare il prezzo della nostra fretta e della nostra superficialità».
![Il cippo posto all'ingresso del parco pubblico «Pollack» a Boccaleone Il cippo posto all'ingresso del parco pubblico «Pollack» a Boccaleone](https://storage.ecodibergamo.it/media/photologue/2025/2/13/photos/cache/la-pieta-in-una-croce-e-in-alcuni-lumini_19b4b812-e9f0-11ef-9032-03330b513a87_1920_1278_v3_large_libera.webp)
Dopo aver recitato una breve preghiera, decido di tornare indietro. Il freddo pare essere più tagliente di prima e la strada più lunga. Mi lascio alle spalle il quartiere di Boccaleone e quel che rimane della vecchia passerella pedonale e raggiungo via Pietro Rovelli, dove, all’improvviso, alla mia sinistra, compare l’ingresso arrugginito della ex Fervet. Trovarmi di fronte alla carcassa abbandonata dell’Una Hotel di via Borgo Palazzo, mi persuade a riflettere sulla caducità delle cose, su come tutto, ineluttabilmente, si trasformi e su come il paesaggio urbano, anch’esso soggetto al cambiamento, influisca sul nostro vissuto e sulle nostre emozioni, andando a generare una sorta di geografia della memoria e del cuore. Prima di entrare a casa, esprimo la speranza che Paraschiva e Stefano non vengano dimenticati e che la loro storia non venga scordata dalla comunità dei viventi. Solo così la loro morte precoce non sarà stata vana.
Anna Maria Filippini: insegnante e politica nella sua Calolzio
Nel giugno 2010 moriva a Calolziocorte, a 88 anni, la professoressa Anna Maria Filippini. Per tutti era Mima e la sua mente è stata vivace e brillante fino alla fine. Due anni prima di morire aveva partecipato ad un concorso letterario nazionale e andava orgogliosa dell’attestato ricevuto. Non solo, tra i suoi ricordi spicca anche il piccolo diario che Mima ha tenuto aggiornato in cui dava conto della sua vita, con considerazioni anche di carattere filosofico. Figlia unica, dopo le scuole magistrali a Bergamo, Anna Maria aveva conseguito la laurea in Lingue e Letterature straniere presso l’Università Cattolica. Ne è seguito l’impegno nella scuola come insegnante di lingue al Liceo di Lecco e la militanza nella politica nelle fila della Democrazia cristiana, come consigliere e assessore alla Pubblica istruzione.
Gerardo Iannunzio: il medico di Clusone
Da vent’anni si era trasferito in Val Seriana con la famiglia e aveva aperto lo studio in piazza Manzù, a Clusone. Il dottor Gerardo Iannunzio godeva della stima di colleghi e pazienti e la sua morte, a soli 55 anni nel maggio 2019 li ha molto addolorati. Medico di medicina generale per dieci anni, il dottor Iannunzio era malato da tempo, ma nonostante la sofferenza non aveva abbandonato il lavoro anche se le ricadute lo allontanavano spesso dallo studio che condivideva con i colleghi Esposito e Panarese.
«Ci ha dato una grande lezione di vita – lo ricordavano i colleghi – era una persona intelligente, un uomo arguto e buono, sempre molto informato». Ha vissuto la malattia con grande dignità e capacità di relazione. Prima di arrivare a Clusone aveva lavorato anche come medico di guardia e in case di riposo del territorio, tra queste Schilpario e Clusone.
Pietro Carissimi: tra note e corde
Nell’aprile 1978 moriva a 65 anni l’accordatore di pianoforti Pietro Carissimi. A cento anni dalla nascita, la figlia Giusi organizzò un intrattenimento musicale seguito da dimostrazioni di accordature eseguite dal nipote di Pietro, Mario Rocco, che lo aveva seguito nello stesso mestiere. «Mentre ai nostri giorni si usano degli appositi strumenti – sottolineava Giusi – lui accordava a orecchio, e quindi a maggior ragione mostrava di possedere un’abilità non comune. Da giovane aveva studiato musica in Conservatorio, senza però riuscire a proseguire per problemi economici. Si era limitato a suonare in un’orchestrina. Comunque ce l’aveva fatta a farsi un nome come accordatore, anche fuori dall’Italia». Pietro Carissimi visse in via Borgo Palazzo, continuando a svolgere, fino all’ultimo con passione quell’attività da lui iniziata a soli 11 anni.
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