La passione attraverso il lavoro e il volontariato

Nelle storie di Flavio Casaula, medico “forestiero” a Palazzago, Cristian Rossi, cavatore a Cespedosio, Giulia Oprandi, sagrista volontaria a Cerete, Andrea Maffi, animatore in Kenya, Pietro Gandelli, alpino eroe di Gromo e Mariuccia Morbini, maestra di musica di Mozzanica, emerge forte il carattere bergamasco, che vive il lavoro e il servizio volontario con grande dedizione e passione.

Ogni Vita Un Racconto Ogni Vita Un Racconto

Il lavoro è senza dubbio una delle caratteristiche che rende noi bergamaschi noti in tutto il mondo. Bergamo ha una tradizione legata al lavoro, che si tramanda di generazione in generazione e che affonda le sue radici nel nostro territorio. Nelle storie di Flavio, Cristian, Giulia, Andrea, Pietro e Mariuccia ritroviamo questa profonda connessione e che oggi vogliamo raccontarvi.

Flavio Casaula: il medico di Palazzago

Abitava a Curno, ma la sua casa per 35 anni è stata Palazzago. Era il medico di famiglia del paese e delle relative frazioni: Flavio Casaula si è spento a 61 a causa di un male incurabile. Di origine veneta, si era laureato in Medicina all’Università di Padova per poi trasferirsi nella Bergamasca. Negli anni Ottanta era arrivato a Palazzago dove ha cominciato a fare il medico di famiglia, professione che ha svolto con passione ineguagliabile fino a quando si è ammalato, e dove ha stretto relazioni e amicizie solide e sincere. Non solo medico, Flavio Casaula era anche direttore sanitario dell’Avis di Palazzago, che aveva contribuito a far conoscere anche fuori dal paese. Un «palazzaghese» diventato, che conosceva tutte le persone con i loro problemi e le preoccupazioni di Palazzago e delle frazioni.

«Abbiamo perso un punto di riferimento – affermava sulle pagine di cronaca il farmacista Fabio Frosio – ha lasciato un vuoto in tutti noi. Flavio amava la sua professione, era altruista e sempre pronto a dare coraggio agli ammalati. Non era mai stanco, o almeno non lo dimostrava. Era un medico simpatico, ironico e sapeva raccontare le barzellette. Gran parte della sua giornata era dedicata al lavoro e per il resto, oltre a dedicarsi alla famiglia, amava la fotografia e andava in bici».

Roberto Pogna, anche lui medico, conosceva bene Casaula e aggiungeva al nostro cronista: «Nel 2001, con alcuni cittadini del paese, l’abbiamo convinto a fare un’esperienza politica, a candidarsi alla carica di sindaco di Palazzago per la nostra lista civica, ma per pochi voti perdemmo e lui non volle restare in Consiglio comunale. Amava fare il medico, diceva, e il suo impegno maggiore era quello di curare i suoi ammalati».

Archivio L’Eco di Bergamo

Cristian Rossi: la passione per il lavoro in cava

Cristian Rossi aveva solo 21 anni quando un tragico incidente mise fine alla sua vita.
Una giovane vita, ma già così ricca di esperienze. Cristian era un ragazzo vivace, con una passione per la caccia, il suo lavoro e i suoi amici. Così veniva descritto dalle pagine del nostro giornale in quel triste maggio 2015.

Abitava a Santa Brigida – «Santa» come viene abbreviato dai giovani – e tutti i cittadini ne riconoscevano il valore professionale: il suo impegno nel lavoro era esemplare. Cristian lavorava come operaio nelle cave di marmo a Cespedosio, frazione di Camerata Cornello, per l’azienda Gamba di Piazza Brembana, da circa sei anni.

«Lavorava con me e mio padre, insieme ad altri sette operai, a Cespedosio, in una cava di marmo – spiegava ai nostri cronisti il collega Michael Piccoli –. Lui era addetto al taglio del marmo dalla montagna, utilizzava cioè principalmente un macchinario con catena con la quale “ritagliava” i blocchi di marmo da vendere. Lavorava tutti i giorni dalle 7 alle 17: al mattino scendeva fino ai piani di Scalvino con la sua auto, mentre io, mio papà e un altro operaio di Valtorta scendevamo con un’unica auto, ci fermavamo a bere un caffè e poi gli davamo un passaggio fino a Cespedosio. Per la pausa, io ero incaricato di scendere a Lenna a prendere il pranzo per poi portarlo nei locali adibiti a mensa dove pranzavamo tutti insieme».

Cristian era il secondo di due figli. Manuel, di due anni più grande, al tempo si era appena laureato in Ingegneria meccanica. «Era un periodo felice per Cristian – raccontano gli amici della compagnia –, l’8 aprile aveva finalmente fatto l’esame e ottenuto la licenza di caccia. D’inverno andava sempre con il fratello Manuel al capanno che avevano in località Disner, sopra Santa Brigida».

Archivio L’Eco di Bergamo

Giulia Oprandi: l’eredità da sagrista a Cerete Basso

Sulle orme del padre prima e del marito dopo, Giulia Oprandi aveva assunto il ruolo che le spettava di “eredità”: la sagrista a Cerete Basso. Il 6 settembre 2015 si spense all’età di 95 anni.

Giulia Oprandi ha vissuto la sua vita senza mai perdere un minuto. La sua era stata una vita di sacrifici e di tanto lavoro, ma questo non le aveva impedito di dedicarsi con grande passione alla sua numerosa famiglia e alla comunità in cui viveva. Ha lavorato come imbianchina, spostandosi con un carretto sul quale aveva i suoi attrezzi, e ha fatto l’operaia prima in una camiceria di Cerete e poi in una tessitura a Leffe. Nel frattempo, ha sempre messo a disposizione della chiesa tempo ed energie: era lì dalla mattina alla sera, avanti e indietro dalla fontana con i secchi per prendere l’acqua e tenere tutto in ordine.

La benevolenza e l’affetto dei suoi compaesani si è vista durante il corteo funebre che, partendo dall’abitazione in via Piave dove era allestita la camera ardente, l’ha accompagnata per l’ultima volta nella “sua” chiesa di San Vincenzo, la stessa nella quale ha trascorso praticamente una vita intera.

«Prima era stato suo padre Bernardo – ricordavano sulle pagine del nostro giornale i figli Margherita, Marino, Clemente e Pierangelo Giudici (un quinto figlio, Ettore, morì subito dopo la nascita nel 1943) – a svolgere il servizio di sagrista a Cerete Basso. Poi era subentrato nostro padre, Pietro Costante, che faceva il falegname ma appena poteva era lì in chiesa a sistemare e svolgere il servizio liturgico. Quando lui è morto, nel 1987, è stata mamma Giulia a prendere in mano questa “eredità” fino al 2005. La chiesa era la sua seconda casa: era sempre lì, a pulire, sistemare, svolgere il suo servizio in occasione delle celebrazioni».

Un impegno che nel giugno del 2000 le era valsa l’assegnazione del «Premio della bontà» da parte degli alpini dei gruppi Ana dell’altopiano perché «segue con assiduità e amorosa premura la Casa di Dio». E anche la parrocchia l’aveva premiata con una pergamena, nella festa di San Vincenzo del 2006.

Archivio L’Eco di Bergamo

Andrea Maffi: lo spirito di Bergamo in Kenya

Il ricordo di Andrea Maffi è rimasto, insieme a una parte delle sue ceneri, anche in Kenya, la terra che ha amato e dove si era trasferito 15 anni prima.
Con il suo lavoro da animatore turistico e con un entusiasmo travolgente, ha contribuito ad avvicinare un po’ di più questa meravigliosa terra africana alla nostra provincia.

Andrea era nato e cresciuto a Villongo Sant’Alessandro insieme ai genitori Felicina e Antonio e al fratello Marco. Era proprio con il padre che trascorreva diversi mesi a Watamu e tutti i momenti liberi che il suo lavoro gli lasciava. Come tanti ragazzi Andrea aveva scelto di girare il mondo lavorando ed è grazie a questi speciali inviati della nostra terra che Bergamo è conosciuta ben oltre i nostri confini.

Archivio L’Eco di Bergamo

Pietro Gandelli: l’ultimo alpino eroe di Nikolajewka

L’ultimo alpino combattente appartenente al gruppo di Gromo, Pietro Gandelli è salito al “Paradiso di Cantore” a 93 anni.

«Si è spento serenamente, così come ha sempre vissuto – ricordava sulla pagina de L’Eco il capogruppo alpini di Gromo, Marco Pellegrinelli –, lasciando tanto rammarico in chi ha avuto il piacere di conoscerlo e di frequentarlo. Ha condotto una vita appartata, lontana dai fragori del mondo. Colpivano in lui l’onestà, l’arguzia, il suo modo di interpretare la vita, il suo attaccamento al dovere e al corpo degli alpini. Sebbene fosse stato un combattente, era un convinto sostenitore della pace e del diritto di ogni popolo di vivere nella propria libertà».

Ad accompagnarlo in chiesa, e poi al camposanto nella contrada di Boario di Gromo, ci furono tantissime persone anche dei paesi vicini e molte penne nere con i loro gagliardetti e il labaro della sezione Ana di Bergamo.

Pietro era nato a Boario di Gromo, da una famiglia di contadini e di boscaioli e nella vita non si è mai sposato. «Da giovane, dopo aver frequentato le scuole elementari, ha aiutato i suoi familiari nel taglio della legna e nell’accudire gli animali – raccontava un suo nipote –. A seguito dello scoppio della Seconda guerra mondiale, il 9 gennaio del 1941 fu chiamato alle armi nel Quinto Reggimento alpini e, dopo un breve periodo in Piemonte, seguì l’armata italiana in Russia, dove trascorse un lungo periodo nel gelo e nelle difficoltà estreme. Nel corso della ritirata, partecipò, nel 1943, con il generale Reverberi, alla battaglia. E fu proprio durante questa battaglia che si distinse in combattimento, tanto da meritarsi una medaglia di bronzo al valor militare. Nella motivazione per cui gli si assegnava la decorazione, tra l’altro si legge: “Puntatore di una squadra morta, rimasto solo con la sua arma sparava fino all’esaurimento delle munizioni, eliminando una postazione russa di mitragliatrici, che falciava vittime tra i nostri soldati”». Tornato in Italia con i piedi congelati, dopo l’8 settembre fu catturato dai tedeschi che lo deportarono in Germania, dove lavorò come minatore in una miniera di carbone. Liberato dagli anglo – americani, poté finalmente rientrare casa nel 1946.

«Dopo essersi ripreso – continuava il nipote - si recò per un certo periodo in Francia e lavorò come boscaiolo, attività che svolse poi anche in Italia. A Boario, nel tempo libero, Pietro Gandelli costruiva, con maestria, anche gerle e attrezzi agricoli di legno, attività che insegnava anche ai giovani della contrada».

Archivio L’Eco di Bergamo

Mariuccia Morbini: la vita dedicata alla musica

Mariuccia Morbini si spegneva a soli 48 anni nel mese di marzo del 2015 a Mozzanica.
Nata a Caravaggio, Mariuccia aveva compiuto gli studi musicali al Pontificio istituto Ambrosiano di musica sacra di Milano e aveva conseguito il diploma di canto gregoriano, direzione corale e musica sacra con il massimo dei voti. Seguiti gli studi pianistici, si era poi dedicata allo studio dell’organo. Aveva seguito numerosi corsi di vocalità, didattica musicale, organologia e interpretazione musicale e anche la masterclass di canto su testi poetici in lingua inglese con l’insegnante Mary Lindsey. È stata docente di educazione musicale presso la scuola media La Sorgente di Caravaggio per 14 anni ed è stata durante la sua carriera anche maestro preparatore e direttore di diverse formazioni corali fra cui la Schola cantorum di Brignano e la corale Santo Stefano di Mozzanica.

Dal marzo 2010 dirigeva l’ensemble vocale Gian Battista Lingiardi (così chiamata in omaggio all’illustre organaro originario di Mozzanica, vissuto fra la fine del ‘700 e la prima metà dell’800), formazione che ben presto si è fatta conoscere anche al di fuori dei confini bergamaschi per la varietà della sua produzione.

Emblematiche e riassuntive dello stato d’animo di chi l’ha conosciuta, le parole scritte in un post a firma di don Andrea Spreafico, sacerdote brignanese della diocesi di Cremona, ex curato ad Antegnate. «Grazie per la tua testimonianza – scriveva don Andrea rivolgendosi a Mariuccia –. Grazie per averci insegnato che la bellezza è fatica. Grazie per la tua amicizia. Grazie per il concerto della mia prima Messa. Ora è finita la tua fatica. Resta la bellezza. Grazie».

Da fuori provincia, nei giorni del saluto a Mariuccia, erano arrivate anche le condoglianze dello storico e rinomato Collegium Vocale di Crema, che «si univa al dolore della famiglia di Mariuccia e nel grande abbraccio musicale la ricorda come una grande musicista impegnata nella diffusione della musica sacra».

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