Ogni vita un racconto / Bergamo Città
Mercoledì 31 Luglio 2024
La cucina che ristora e cura la vita
La preparazione del cibo è una forma di amore, così come lo è servirlo a tavola, raccontarlo e condividerlo. Dalle necrologie ce lo ricordano le storie di Pino Capozzi, Melania Giovita e Luigi Esposito Jorio
La cucina è amore per il prossimo. Quando un genitore prepara per i suoi bambini dei pasti nutrienti, lo fa per garantire loro il piacere di una vita sana. Quando una nonna trascorre la domenica mattina a friggere le melanzane per cucinare la parmigiana più saporita al mondo, lo fa per stampare un sorriso sul volto dei nipotini. La cucina, però, è anche e soprattutto amore per la vita. Per sopravvivere, si deve mangiare. Preparandoci il pranzo, stiamo scegliendo di continuare a vivere. Ingegnandoci per renderlo delizioso, stiamo dando un buon sapore e un buon gusto a questa sopravvivenza.
Nelle necrologie dello scorso decennio ci sono numerose persone che operavano in campo gastronomico e che omaggiavano ed enfatizzavano, con le loro attività, il gusto della vita.
Racconterò le storie di tre personaggi che hanno lasciato un tocco della loro essenza e dell’amore che li caratterizzava nei piatti che preparavano.
Melania Giovita ha dato dolcezza alle giornate di molti sarnicesi e ai turisti. Gestiva, insieme al marito Augusto Savoldi, la gelateria «Mej», a Sarnico. Augusto aveva ereditato la «Mej» da sua mamma Bartolomea, la quale a propria volta aveva iniziato a gestire la gelateria dopo la sua mamma Maria. Melania, per quarant’anni, è stata dietro il banco colorato della «Mej», che è famosa in tutta la bergamasca. Ai passanti accaldati che si fermavano davanti al chiostro per rinfrescarsi gustando un bel gelato, rivolgeva sempre radiosi sorrisi. Aveva una parola buona per tutti ed addolciva le giornate dei turisti e dei locali che passeggiavano sul lungolago con i deliziosi gelati preparati nel laboratorio in via Tresanda.
Luigi Esposito Jorio era il titolare delle pizzerie «Il galletto d’oro» di Mozzo e «Il galletto d’oro 2» di Martinengo. Le pizze che preparava rappresentavano un omaggio pieno di amore a Napoli, la sua città di origine, ma anche a Bergamo, la città che lo aveva accolto. L’impasto era quello tradizionale napoletano, con il cornicione soffice e alto. Al tempo stesso, però, molti degli ingredienti utilizzati erano tipici della bergamasca. Basti pensare alla pizza con polenta morbida, funghi porcini e cotechino. Le sue pizze sono state riconosciute dall’ente certificatore della pizza napoletana «a regola d’arte», da cui Luigi Esposito ha anche ricevuto «Il cornicione d’oro» per la migliore professionalità. Il «maestro della pizza» è stato presidente dell’Accademia italiana della pizza e consigliere dell’Associazione cuochi bergamaschi.
Pino Capozzi ha goduto di un grande successo per l’«Agnello d’Oro», il «Città dei Mille» e il «GuglielMotel», i locali da lui aperti. Non bisogna dimenticare, però i riconoscimenti che Capozzi ha ricevuto in ambito gastronomico. Per due anni, infatti, ha vinto il concorso «Alfiere della gastronomia». Poi, è anche diventato presidente dell’Unione italiana ristoratori. Viaggiava il mondo per far conoscere la sua cucina e per imparare da quella degli altri. Per 25 anni, ad esempio, ha partecipato al «Concurso internacional de fideuà» nella città di Gandìa. Ha rappresentato la tradizione gastronomica italiana in manifestazioni internazionali in Brasile, in Ecuador, in Messico, negli Stati Uniti, in Francia e in Germania. Dimostrazione della sua gran passione per la diffusione della buona cucina è anche il libro «Il Riso». Il volume, scritto da Pino Capozzi insieme ad Ave Ninchi, è colmo di ricette per la preparazione del risotto, di cui Capozzi era un vero maestro.
Le storie di questi tre individui sono diverse tra di loro. Ciascuna di queste persone, però, ha dimostrato, a modo proprio, che la preparazione del cibo è una forma di amore. L’amore è allegria. Melania donava, con i gelati che distribuiva sorridente, allegria a chi passeggiava per Sarnico. L’amore è unione. Luigi Esposito univa le tradizioni di città diverse nei suoi piatti. L’amore è condivisione. Pino viaggiava per il mondo e scriveva libri per far assaporare agli altri ciò che preparava.
LAURA GRIMALDI
Rese tutta la sua vita un romanzo autentico
Laura Grimaldi fu un’autrice dal grande successo a livello internazionale. Nacque il Toscana nel 1938. Era la penultima di dodici figli. Presto, si trasferì a Bergamo con la famiglia, in piazza Mercato del Fieno. Dopo la guerra, conobbe il partigiano Franco Grimaldi. Si sposarono, ed ebbero due figli. Alla fine degli anni Quaranta, presentò per la prima volta una sua opera all’Arnoldo Mondadori Editore. Il dattiloscritto fu apprezzato , ma non pubblicato.
Successivamente Laura crebbe nelle redazioni di Mondadori e divenne responsabile prima di Segretissimo, poi del Giallo Mondadori e di Urania. Molto successo ebbe, tra opere che scrisse, una trilogia composta dai libri «Il Sospetto», «La Colpa», «La Paura». Le tre opere furono pubblicate in nove Paesi, e a «La Colpa» vinse «Prix Le Point» per il «miglior noir europeo dell’anno». Degni di nota sono stati anche «Monsieur Bovary», il manuale di scrittura «Il giallo e il nero, scrivere di suspense», il libro di satira giallo-politica «Elementare, signor presidente», scritto con Marco Tropea. Un mese prima della sua morte, pubblicò un libro intitolato «Faccia un bel respiro», in cui raccontava, con umorismo e dando ai suoi personaggi nomi falsi e ispirati alle loro caratteristiche, l’esperienza della malattia e della permanenza in ospedale. Laura Grimaldi non era credente, ma nell’ultimo periodo la sua visione della fede cambiò aprendosi al dubbio. Sentì, quando era in ospedale, in un letto vicino al suo, una persona parlare di Dio in maniera profondamente commovente. Su questa esperienza scrisse il suo ultimo libro. Morì il 3 luglio 2012.
LUCIA WENDLING
Dal lavoro in fonderia al calzificio di Leffe
Lucia Wendling Bresciani era originaria dell’Alsazia tedesca, ma per anni abitò a Gandino, dove era conosciuta da tutti. Viene ricordata come una donna dai tratti e dall’animo nobile. Era piccola quando abbandonò la sua terra d’origine per trasferirsi in Lorena dove conobbe Luigi
Bresciani, che era reduce della seconda guerra mondiale e che era emigrato oltralpe da Spirano. Bresciani lavorava in fonderia con Lucia. I due si sposarono. Nel 1950, subito dopo la nascita della piccola Denise, la loro primogenita, Lucia e Luigi si trasferirono in Italia. Una volta che furono arrivati, Gianni acquisì le capacità necessarie per diventare tecnico per la produzione di calze e nel 1954 avviò un’attività autonoma a Pognano. Proprio allora, nacque il secondogenito della coppia, divenuto poi un importante manager di musica folk in Italia. Lucia lavorò sempre al fianco di suo marito, mostrando, proprio come lui, grande competenza e precisione. I due nel 1961 si trasferirono in Val Gandino, perché il cavalier Pietro Radici li aveva invitati ad avviare un calzificio di nuova concezione lì. A Leffe, aprirono un negozio al dettaglio. Lucia si dedicava non solo al lavoro, ma anche ad aiutare il prossimo, facendo quello che poteva con gli strumenti che aveva a disposizione. Utilizzava infatti le sue abilità nel parlare l’inglese e il francese per tradurre lettere e documenti agli emigranti che presentavano istanze di pensione all’estero. Andava anche spesso a trovare gli anziani della Casa Serena di Leffe, che era vicina al loro negozio.
Un anno prima della morte di Lucia, avvenuta il 1 agosto 2013, la coppia aveva festeggiato i 65 anni insieme.
PIETRO RAFFAELLI
Si dedicò alla politica e ai Compagni Reduci
Pietro Raffaelli è stato per trent’anni presidente dell’associazione dei Combattenti e reduci. Era il quinto degli otto figli del pediatra Giovanni Raffaelli e di Maria Pia dei Conti Passi. Si è diplomato al liceo classico Sarpi di Bergamo nel 1939. Poi, si è laureato in Lettere all’Università Cattolica di Milano. Ha anche ottenuto una seconda laurea in Geografia nel 1942. Nel 1939 è stato chiamato alle armi e ha ricoperto il ruolo di sottotenente di complemento e inquadrato nella Divisione Acqui.
Prima ha combattuto sul Fronte occidentale, e poi su quello greco-albanese. Ha prestato servizio a Corfù. Nel 1943, è stato catturato e inviato dai tedeschi in un campo di concentramento. In seguito al suo rifiuto di aderire alla Repubblica sociale italiana, è stato costretto a rimanere nei lager tedeschi e polacchi fino al 23 agosto 1945, quando è riuscito a tornare a casa. Raffaelli ha sempre mantenuto acceso il suo antifascismo e ha lasciato che quest’ultimo guidasse le sue scelte di vita. Altro sistema di valori che lo ha sempre rappresentato e a cui è rimasto, per tutta la sua esistenza, fedele è stato quello fornito dalla religione cattolica. Si è impegnato nella Democrazia cristiana, nel sindacato, e in diverse associazioni, tra cui quella dei Combattenti e reduci, e quella riguardante la divisione Acqui, cui si è dedicato con zelo per tutta la sua vecchiaia. È stato inoltre sindaco di Nembro tra il 1956 e il 1969, e vicepresidente della Provincia di Bergamo tra il 1970 e il 1975. Ha anche ricoperto il ruolo di presidente delle Confraternite della diocesi di Bergamo per quindici anni. Importante è anche ricordare che Pietro Raffaelli ha ricoperto il ruolo di preside e di docente in vari istituti, sia pubblici che privati, della città di Bergamo e della provincia. È morto il 6 gennaio 2007.
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