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Ogni vita un racconto / Bergamo Città
Giovedì 20 Febbraio 2025
Che ne sarà delle nostre cose dopo di noi?
Dopo essere morti, tutto ciò che ci appartiene entra nel regno «dell’inutile». Tuttavia se chi ama lo guarda con gli occhi del cuore, lo «ascolta» e lo «rinomina», diventa un interruttore pronto ad accendere i ricordi
«Come ho svuotato la casa dei miei genitori» è lo straordinario libro di Lydia Flem, psicanalista e fotografa, edito nel 2014 da Archinto e di nuovo in uscita a settembre. Per la scrittrice entrare nella casa dei genitori appena morti, guardare lo spazio e gli oggetti che lo abitano, diventano motivo d’una ricerca che va oltre il presente e si immerge nel passato, nelle origini della propria nascita, nella storia della famiglia. Lydia Flem ci insegna ad affrontare il vuoto di senso che pare investire le case non più abitate da chi amiamo. A scegliere cosa conservare e a separarci da ciò che è ingombrante, e a farlo con gioia, celebrando così la vittoria della vita sulla morte.
Perché gli oggetti hanno molte vite, se noi scegliamo di essere generosi, se li regaliamo alle persone giuste, se scegliamo di non affidare lo “svuotamento” agli operatori di professione definiti dalla Frem «abili predatori» nelle cui mani vecchi telefoni, dischi in vinile, guide turistiche ormai quasi storiche, piatti dal design scandinavo, pouf rotondi, gioielli, abiti, cinturini da orologio senza orologio, tutte le epoche che si mescolano nelle case e nelle soffitte, diventano fonte di reddito, rivenduti a peso d’oro ad acquirenti postmoderni. Assegnare il giusto posto agli oggetti nello spazio, ma soprattutto nel cuore, è un tema che si rifà al concetto giapponese di «grande freschezza» che è stato rielaborato in termini contemporanei da Marie Kondō che su di esso ha scritto il libro «Il magico potere del riordino» (Vallardi, 2014). «Generare freschezza» vuol dire riordinare e fare spazio dentro e fuori di se: significa rifiutare, gettare via e prendere le distanze.
Nella società del comprare oggetti inutili è diventato necessario insegnare ad acquistare, ma insieme anche a buttare, liberandoci dai legacci della merce. Lo zen della tradizione buddhista, insegna all’Occidente sprecone e allo stesso Oriente corrotto nell’accumulazione, cosa è che vale davvero, cosa serve tenere e cosa – tutto quello che necessario non è – lasciare andare. Nelle nostre case e in quelle dei nostri genitori.
Un nome e un senso ad ogni cosa
Svuotare i cassetti, i mobili e le stanze di chi non c’è più si trasforma in un’operazione di memoria. Nel cercare tracce della vita dei propri genitori, le cose iniziano a parlare. Bisogna costringere la mano che si muove veloce tra le cose a fermarsi, bisogna che lo sguardo si deponga su ogni oggetto di esse e dia loro un nome e un senso. Vale la pena farlo talvolta, perché quel che dicono a noi, quelle stesse cose, non lo diranno mai a nessun altro in nostra assenza.
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E poi bisogna lavorare di fantasia per far incontrare le cose e le persone. Bisogna trasformare l’eredità in molteplici doni che passano di mano in mano caricandosi di storia, di gioia e di amicizia. Perché c’è un tempo per tutto: per il pianto, ma anche per la gioia.
Svuotare è liberarsi
Il verbo «svuotare» evoca sentimenti negativi e aumenta il senso di perdita irreversibile. Si accompagna ad una sensazione di violenza che ci chiede di muoverci senza pudore per mettere mano ai cassetti, guardando le lettere e i documenti. Sembra di commettere un sacrilegio, una profanazione. Eppure è ciò che ci viene chiesto: di fare i conti con chi non abbiamo più bisogno di compiacere. Entriamo legittimamente in possesso, di oggetti che in alcuni casi abbiamo tanto desiderato ma non abbiamo mai ricevuto in dono (e forse ora non li vogliamo più perché ci parlano di un’assenza). È il momento per liberare il cuore dalle incomprensioni accettando anche risvolti inaspettati della vita.
In Giappone, e sempre più anche altrove, le case vengono svuotate da società che si occupano dello smaltimento degli oggetti dei defunti. Gli anziani prendono accordi prima di morire, o per evitare che siano i parenti a doversi sobbarcare l’onere dell’operazione, oppure perché una famiglia alle spalle non c’è. In quei casi le cose che a lungo ci hanno accompagnato muoiono perché viene meno il legame con noi ed entrano nel regno dell’inutile acquistando un valore solo economico. Per questo forse vale la pena prendersi del tempo per aprire i cassetti delle case e del cuore.
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