Moda e tendenze / Bergamo Città
Martedì 08 Marzo 2016
Quando la stoffa sostenibile diventa moda
A Bergamo il 20 marzo laboratori sartoriali
Il suo nome racconta di panni sognati, di stoffe annusate e toccate nella loro trama a volte irregolare e bellissima, a volte dai colori profondi che raccontano un progetto fatto con le mani. Domenica il 20 marzo due laboratori per le famiglia per festeggiare la primavera.
Nei Miei Panni è una di quelle storie di nicchia e ricerca di cui Bergamo è costellata. Storie che hanno dietro un credo importante: in questo caso quello di Cristina Gamberoni, architetto 44enne di Bergamo, che 4 anni fa ha investito in un’attività sartoriale di moda per bambini, all’insegna di fibre naturali, abiti sostenibili e con sempre una storia cucita col filo dell’artigianalità.
E della sostenibilità, che per questo marchio bergamasco parte da una considerazione: «Lavorare a km zero, per una produzione locale, che permetta di creare valore dove si abita» spiega. Da qui lavoro, laboratorio di confezione e fornitori di tessuti sono in Val Seriana, con un fornitore d’eccellenza, il Cotonificio Albini: «Con gli anni, dopo i primi esperimenti con abiti realizzati per le mie figlie, ha preso forma l’idea di fare qualcosa di più definito: sono partita dalla passione per le stoffe, ci ho messo la competenza sartoriale acquisita negli anni, e una responsabilità verso il prodotto, che mi garantiscono realtà bergamasche che lavorano in maniera sostenibile».
Perché ci sono sempre delle domande quando si fa ricerca delle materie prime: «Da dove vengono? Dove e come sono prodotte? Difficile è il controllo della filiera: è quindi necessario selezionare fornitori che garantiscano la provenienza e la strada percorsa dalla stoffa, dalla filatura alla tintura, fino alla tessitura» spiega Cristina Gamberoni.
Sostenibilità nelle lavorazioni, ma anche nello stile dell’abito stesso: «L’abito deve essere sostenibile al corpo che lo indossa – spiega -. Poi c’è la sostenibilità economica: il mio è un laboratorio piccolo e locale, con una collezione ma non una produzione in serie. Lavoro ciò che viene richiesto e dalle mie mani il capo passa nelle mani di chi lo indosserà, senza tramiti». Potenza del mondo virtuale, con neimieipanni.it in giro per l’Europa. «Poi c’è anche la passione: cucio perché mi piace, perché è un lavoro manuale che produce qualcosa di concreto. Dell’abito amo la materia, la risposta emotiva alla percezione del tatto e della vista».
Perché l’abito è fatto per essere portato: «Ha una sua vita». Tra fantasie e stoffe, il lino in primis: «Fresco e capace di scaldarti allo stesso tempo, naturale, mai uguale a se stesso. Mi piace perché è più grezzo del cotone, la trama è più evidente, è più vicino alla natura che lo ha generato. Anche quando è perfetto la sua trama è irregolare e la sua resa per il mio stile di abiti è perfetta». Abiti che attraversano gli anni: «Lino sostenibile per una moda sostenibile: che non sia usa e getta ma che sappia allungarsi nel tempo, tramandarsi di bambina in bambina».
Con un pensiero anche agli scarti, seppur minimi: «Avanzi di produzione che utilizzo negli atelier di cucito per bambini che organizzo ogni stagione, o per la realizzazione di dettagli (tasca o fodere interne) o packaging». Corsi e laboratori, come quelli in programma domenica 20 marzo per festeggiare la primavera: allo Spazio Cam, dalle 10 alle 19, in via San Tomaso 84, la presentazione della collezione e due atelier di cucito per bambini e genitori insieme.
Niente viene gettato: «Dai cotoni leggeri ai lini fino alle magline che si incastrano, si sovrappongono, si cuciono e ricuciono. Si trasformano». Nascono Faggio e Como, Scala, Porfido e Minuetto. I nomi dei suoi abiti che fanno piroette al vento, abbracciati da gorgiere di stoffa. «Diciassette anni fa, io e la mia Diane rossa, eravamo davanti al Cotonificio Albini. Non avevo idea di cosa avrei mai fatto, ma uscii da quel posto carica di stoffe. È lì che mi innamorai del lino, con una predilezione particolare per una pezza giallo limone e verde acido, che ancora conservo. Amavo i tessuti, non sapevo che ci avrei cucito i “miei panni”. Ora, con l’esperienza, l’ho capito: ogni tessuto, ogni abito, hanno una storia. Io devo cucirla».
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