La moda sartoriale di Moki
Dieci anni, partendo da un bracciale

Sali per via Nullo e Città Alta già ti osserva imponente. Poi entri nei colori dell’atelier di Monica Silva e vieni catapultato in un mondo che racconta viaggi, prati in fiore, sapori intensi, avvolgenti abbracci.

Dieci anni fa tutto è partito da un braccialetto lavorato all’uncinetto e ora Moki, soprannome della 41enne e sua etichetta da sempre, parla di sartoria a 360 gradi, con il vezzo di essere «stilista, ma anche sarta», «di avere una collezione tutta mia, ma di non disdegnare il confronto con la cliente che ha ritagliato un modello da un giornale e lo vuole reinterpretare sulla sua figura».

Monica è come la musica suonata sabato sera alla festa per i suoi 10 anni di attività: un concerto di accordi disaccordi, per una moda che ricorda le estati a Gromo, nella casa di famiglia «dove la nonna cuciva e ricamava e la mamma lavorava a maglia». E l’imprinting non si perde per strada, neanche tra le leggi e i numeri di una laurea in Giurisprudenza «e il lavoro da gallerista avviato a Milano, durante il quale sferruzzavo all’uncinetto». E proprio da un braccialetto di ricami e charms parte l’avventura: «Col passaparola, inizio a produrli e venderli in alcuni negozi di Milano - ricorda -. Dai bracciali passo alle borse: ho partecipato al Mipel per quattro stagioni per Savini Bettina e il tanto lavoro mi ha portato a pensare a una collezione più estesa che mi riportasse al cucito e a quella sartorialità che è nelle mie radici».

L’inizio con l’amica Alessandra Palmerio, con Monica il sostegno di un sarto professionista, «che mi ha riempito le lacune e da cui ho imparato moltissimo». E inizia così il 7 luglio 2006 un’attività prima su misura e poi evoluta in una collezione a mio nome, «che si alimenta anche con le idee e i desideri di chi nel mio atelier entra alla ricerca di ispirazioni».

E Moki è così: c’è la sua passione per il cinema, per gli anni Venti e Trenta, per la moda di Elsa Schiapparelli. «Ogni stagione un mood - spiega -. In questi anni ricordo i tanti capispalla data la mia passione per le giacche, ma penso anche alla collezione all’insegna dei pois: ispirata a Yayoi Kusama, ha segnato un passaggio molto importante della mia attività». Intanto ci sono gli abiti da sposa, quelli da cerimonia, «e una collezione che sempre e comunque vuole raccontare un sogno, non omologante e omologato, partendo dalla mia filosofia originaria del su misura, vivendo i miei spazi come un atelier che possa raccontare chi ci entra e ha voglia di esprimersi». Tanto che alcuni capi prendono il nome di alcune sue storiche clienti:«Credo molto nella collaborazione e nel confronto e in questi dieci anni non ho mai abbandonato la sartorialità, la voglia di continuare con il pezzo unico, con la personalizzazione e trasformazione anche di capi dimenticati nell’armadio - spiega Moki -. Penso ai maglioni coloratissimi che mi sono inventata con le vecchie coperte tricottate e gli abiti patchwork da capi dismessi».

Perché c’è la voglia di una vita fatta di gonne a ruota, di sfumature di colore, di ispirazioni anche estemporanee: «Non sono mai stata una da bianco o nero, mi piace mixare: è un po’ come mettersi in gioco. Nella vita e nella moda». E nella vita lo ha fatto: «Con tenacia, determinazione. Con coraggio anche». Lo ammette: «Ci sono stati momenti molto faticosi: Bergamo è una piazza che richiede tenacia, ma ora, guardandomi indietro sono soddisfatta di quello che vedo e mi viene subito voglia di girare lo sguardo in avanti». Con lei ci sono già due persone che lavorano al suo progetto: «Al mio fianco da 8 anni Oriana Mazzoleni e il sogno è ingrandirmi ancora di più, creare capsule con la mia etichetta per concept nazionali ed europei, ma senza mai mollare questo atelier e tutte le donne che rendono speciale il mio lavoro». Il segreto? «Crederci veramente tanto, senza mai smettere di sferruzzare idee».

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