«L’aquilone e la bambina»Ecco come nascono I Pinco Pallino

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Con una Renault rossa 29 anni fa hanno percorso tutta l’Italia per far conoscere il «loro bambino», raccontando un nuovo modo di intendere il binomio moda-infanzia. I Pinco Pallino, marchio di Entratico, nasce dall’estro creativo di Stefano Cavalleri e dalla capacità progettuale di Imelde Bronzieri. Loro che si conoscono da una vita e che solo dopo molti anni hanno creato un’azienda di moda presente in tutto il mondo con 35 monomarca e oltre 400 multibrand.
Il successo de I Pinco Pallino ha un filo conduttore: creare un modo diverso di intendere l’abbigliamento per l’infanzia «dove i bambini sono vestiti, ma soprattutto pensati come tali» sottolinea Imelde Bronzieri, mentre Stefano Cavalleri racconta il loro percorso professionale e di vita in cui elementi fortuiti, incontri quasi accidentali, ci hanno messo lo zampino.
«Nel 1970 ho aperto a 18 anni un negozio nelle vicinanze dell’Accademia Carrara di Bergamo che si chiamava Arcobaleno - racconta lo stilista -. Assemblavo abiti e accessori vintage da donna e creavo nuovi look che richiamarono l’attenzione». Tanto che nel 1975 il mondo della moda bussa alla sua porta: «Mi chiesero modelli da replicare in serie. Da qui la decisione di entrare nella realtà della produzione industriale». Cavalleri lascia nel 1976 il piccolo borgo bergamasco e finisce in un’azienda di moda di Trescore: «Scoprii così il mondo della produzione seriale dove l’estro creativo è sottomesso alle leggi del mercato». Ed è qui che Stefano incontra per la prima volta Imelde: «Abbiamo lavorato due anni a stretto contatto e ci siamo sempre dati del "lei" – sorride –. Ricordo i suoi rigorosi tailleur grigi e blu con solo due tocchi di colore: un foulard arancio di Hermes e un altro turchese di Yves Saint Laurent».
Poi i due si perdono di vista fino al 1979: «Entrambi lavoravamo per altre aziende e ci incontrammo per caso alla reception dell’Hotel Baglioni». A cena l’idea di fondere estro e progettualità per creare una collezione dedicata ai bambini. La prima linea arriva così nel 1980, disegnata e cucita «sulla terrazza di casa, a San Paolo d’Argon». Poi la prima sede in via Borfuro, a Bergamo: «Ma noi non ci stavamo mai, sempre in giro per l’Italia a bussare alle porte delle principali boutique». A Sirmione, Milano, a Firenze fino a Napoli, per «far conoscere il nostro entusiasmo e spiegare che questi abiti, che traevano spunto dall’arte e dai nostri viaggi in giro per il mondo, per noi rendevano i bambini belli nella loro semplicità». Ecco il colore e le fantasie vissute in America Latina, la passione per i fiori di Stefano Cavalleri che impreziosiva gli abiti delle bimbe con ricami in pannolenci e creava tagli da marinaretto per un maschio dallo stile classico e lineare.
Una collezione che ancora non aveva un nome: «Mentre guidavo per le strade della Toscana proposi a Imelde "Popof", in onore della canzone dello Zecchino d’Oro, e altri buffi nomi con la "p". Lei fu molto categorica: "L’importante è che sia un buon prodotto, mi disse, con buona vestibilità e che si sappia ben presentare. A quel punto potremmo chiamarlo anche Pinco Pallino che avrebbe successo"». Ecco allora il nome: «All’inizio ci creò non pochi problemi: non ci dava credibilità e c’è chi ci sbattè al porta in faccia» continua Cavalleri. Poi un altro incontro fortuito: «Nell’81 Pitti rifiutò il nostro allestimento e quindi scegliemmo di presentare la collezione all’Hotel Baglioni con i marchi minori: ci dettero l’ultima stanza dell’ultimo piano, ma il caso volle che Carla Sozzani finì per sbaglio proprio davanti ai nostri abiti e ne fu entusiasta».
Le voci girano e il successo arriva di conseguenza: nell’82 il primo articolo sul Daily News, nel ’99 la consacrazione sul Wall Street Journal, nel 2002 la sfilata in piazza di Spagna: «Era la prima volta che partecipava un marchio di moda per bambini: cento bambini dai capelli rossi prima della sfilata di Chanel». E già, la peculiarità dei capelli rossi, un colore amatissimo da Stefano Cavalleri che da sempre usa il pennarello di questa tinta per disegnare le chiome dei bimbi dei suoi bozzetti. «Imelde per amore si è tinta di rosso per non so quanti anni» sorride lo stilista che a raccontare gli aneddoti del marchio non può non che ricordare i tanti anni a fianco della sua compagna. Lui inventa e disegna, lei si occupa delle stoffe, supervisiona il laboratorio e si siede su uno sgabello mignon per le prove di vestibilità con i «suoi bambini», come li chiama Imelde. Quando ne parla si illumina: «Proviamo la comodità dei capi, sentiamo il parere di questi piccoli che mi portano i loro disegni e raccontano i nostri abiti attraverso la loro immaginazione – spiega –. In fondo è proprio quello che vogliamo: dare libertà alla fantasia dei bambini, educare anche attraverso la moda al buon gusto». Da qui anche le indagini compiute sull’infanzia dall’Osservatorio sull’immagine dei minori nato quattro anni fa dalla volontà di Imelde, mentre proseguono anche i progetti aziendali legati allo sviluppo del marchio: oltre alle recenti aperture a Cannes e Odessa e quella prevista nel 2009 a Sochi, sede dei Giochi olimpici del 2014, si fa sempre più concreta l’idea di estendere l’uso del marchio per linee dedicate all’infanzia ma non solo legate all’abbigliamento. E intanto Stefano Cavalleri continua a raccontare: «Sa come ci immaginiamo? Io sono l’aquilone che vola sempre più in alto e Imelde è la bambina che tiene il suo filo, con i piedi ben piantati per terra». Per trasformare i sogni in nuovi progetti.
Fabiana Tinaglia(01/11/2008)

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