Anche d'inverno
è t-shirt mania

Nata nel 1920, quando l'esercito Usa la adottò per la divisa, negli anni si è rinnovata e trasformata diventando capo simbolo, sempre più sfruttato dal mondo della moda. E ora sempre più le t-shirt sono un successo.

Le t-shirt sono un successo. E da quando James Dean la trasformò in simbolo della ribellione ne è passata di acqua sotto i ponti. A pensarci bene la t-shirt porta a dei collegamenti mentali, a delle immagini flash che scorrono veloci nella mente. Le bianche girocollo del mitico brand Fruit of the Loom? La immortale «I love New York», quelle con i faccioni di Che Guevara e Bob Marley, quelle indossate in piena bufera politica dalla Minetti la scorsa estate... E poi quelle tanto anni '70 che le mamme facevano stampare con i nomi dei propri bambini, quelle di adolescenti al concerto rock, sogno di una vita, e soprattutto, e qui si fa storia, la celebre copertina di Life che nel 1942 pubblicò un soldato in t-shirt, immagine che fece il giro del mondo.

Nata nel 1920, quando l'esercito Usa la adottò per la divisa, negli anni si è rinnovata e trasformata diventando capo simbolo, sempre più sfruttato dal mondo della moda. Ma non solo: nel 1948, il «New York Times» raccontò di magliette con la scritta «Dew it for Dewey» (Dewey era il governatore di New York, in lista per la carica presidenziale), primo esempio di maglietta «pubblicitaria». La consacrazione arrivò col mondo del cinema, tra James Dean, Marlon Brando e John Wayne e man mano che gli anni passano la t-shirt è sempre stata interprete dei cambiamenti, strumento di comunicazione e sperimentazione. Pensiamo alle bellissime di Lanvin o Katherine Hamnett, très chic sotto la giacca da smoking.

Perchè ora la t-shirt è capo moda in tutti i sensi: tinta, stampata, reinventata, fatta a brandelli, invecchiata. Senza tempo, né stagioni. Se negli anni '80 era soprattutto bianca, negli anni '90 è stata la vetrina dei loghi delle griffe, sempre più grandi e imponenti. Ora è soprattutto scritta e disegnata: si parla attraverso la t-shirt, tra messaggi modaioli, frasi storiche e celebri, commenti irriverenti. Un foglio bianco, insomma, sul quale scrivere. Lo ha capito bene Fabio Fabbri, 39enne di Riccione e ideatore del brand «My T-shirt». È lui il papà dei nasi rossi e delle t-shirt «Life is a circus» che hanno spopolato nell'ultima stagione, tra Karl Lagerfeld trasformato in Joker, la Regina Elisabetta rappresentata come in una foto segnaletica e Coco Chanel con il naso da clown. Perché per Fabbri la vita, spesso e volentieri, appare come un circo. «Ho imparato a prendere le occasioni al volo e a trasformare momenti della vita, anche difficili, in opportunità». Prendiamo la sua storia: avvocato, in fase di preparazione all'esame per diventare notaio, si ritrova catapultato nell'azienda di famiglia che a Riccione si occupa di gadget e stampa di magliette per eventi e iniziative di tutti i tipi. «Poi l'idea - dice -: ho capito che attraverso le magliette si facevano strada le emozioni e ho iniziato a inventarne di nuove, tra grafiche divertenti, puntando al mondo della moda ma anche a quello della musica». Nasi rossi che furoreggiano e che hanno portato il marchio al successo, con 120 grafiche rinnovate 4 volte l'anno, un migliaio di negozi in Italia che vendono il suo brand e due monomarca, a Riccione e Londra. «La t-shirt resta un capo cult, giovane e capace di adattarsi facilmente: è sempre originale pur avendo quasi un secolo di storia». Il motto di Fabbri è quello di «continuare a osare, a creare come un bambino su un foglio bianco». Una sua maglietta lo spiega bene, basta una scritta rossa in stampatello: «Si salvi chi può».

Fabiana Tinaglia

© RIPRODUZIONE RISERVATA