Missione Bergamo / Bergamo Città
Venerdì 15 Novembre 2024
Il rapporto con la religione è cambiato?
La comunità bergamasca è profondamente connotata dalla religione cristiana. Un legame che si perde nella notte dei tempi: spirituale, simbolico e pragmatico. Ma oggi è ancora così? C’è ancora quel legame così profondo con le proprie radici cristiane? Lo abbiamo chiesto ai bergamaschi e alle bergamasche durante la nostra indagine sociologica condotta nella nostra provincia e promossa da L’Eco di Bergamo in collaborazione con i sociologi dell’Università di Bergamo. Oggi vi riportiamo i risultati.
Ermanno Olmi ha narrato magistralmente il legame tra la comunità bergamasca e la religione cattolica. «L’albero degli zoccoli», che, con intento documentaristico, ricostruisce quella che era la vita contadina in una cascina di pianura di fine ‘800 a Palosco. Un mondo tradizionale che ruotava attorno alla religione cattolica e che trovava conforto nelle sue credenze, attraverso i suoi riti e affidandosi alla guida dei suoi ministri.
«Chi sceglie la dimensione religiosa lo fa in modo più consapevole e responsabile, con una motivazione di fondo. Forse, negli anni passati, c’erano una religione o una partecipazione religiosa per tradizione, per abitudine. Ora mi sembra di notare in chi frequenta più responsabilità e maturità personale. E questo credo sia, sarà il futuro anche della dimensione religiosa nelle parrocchie. Non è più la tradizione, non è più l’abitudine di frequentare questi luoghi, ma c’è una motivazione nostra, di coppia, marito e moglie, che poi coinvolgono i loro figli» (Sacerdote)
«Non siamo in un’epoca di cambiamento, ma in un cambiamento d’epoca», ricorda spesso il Papa. E anche per Bergamo è così. Riguardare oggi «L’albero degli zoccoli» ci aiuta a cogliere quanto la nostra società è cambiata e si sia trasformata nell’arco di poco più di un secolo. Bergamo è diventata un centro nevralgico economico-industriale, collegato h24 con l’Europa e il resto del pianeta. E di quel mondo contadino restano (forse) i ricordi nelle fasce più anziane della popolazione.
«Secondo me la fede non è sparita nei cristiani. È che forse smette di dare forma alla vita, per cui la tendenza che io leggo è che ognuno vive la fede un po’ a modo suo, nella sua intimità, nel suo percorso interiore e la si condivide sempre di meno. La comunità ha ancora alcuni eventi che sono celebrati ufficialmente da tutti, però non è detto che tutti intendano la stessa cosa nel celebrare questi eventi; anche nella Chiesa c’è un individualismo che porta a rendere meno influente la religione sulla forma strutturale della società» (Sacerdote)
Nel nostro studio abbiamo cercato di comprendere, attraverso la lente dell’indagine sociologica, come questi cambiamenti hanno attraversato il vissuto religioso della popolazione bergamasca.
L’indagine sul legame con le nostre radici
Sono stati così intervistati oltre 50 testimoni che vivono a stretto contatto con il sentire religioso (in senso ampio) della comunità bergamasca: sacerdoti, suore, responsabili e membri di associazioni cattoliche di volontariato, operatrici e operatori di servizi educativi e docenti di scuole cattoliche.
La premessa è stata: la società bergamasca è cambiata, è sotto gli occhi di tutti. E la domanda è sorta spontanea: cosa ne è stato di quel legame così profondo con le proprie radici cristiane?
«Una volta il cattolicesimo era un punto riferimento. La parrocchia faceva un po’ da riferimento per tutti. Oggi ognuno vede la fede a modo suo. Non ci si sposa in Chiesa ma il Battesimo è ritenuto ancora un simbolo importante, come anche la Prima comunione, anche se poi non si va mai a Messa. [...] Sicuramente c’è ancora un po’ di tradizione. Però mi viene anche da dire, rispetto a un passato dove la tradizione poteva essere influente perché in qualche modo c’era un controllo sociale, oggi il controllo non funziona più, per cui uno se c’è, è perché in qualche modo intuisce il suo valore» (Sacerdote)
Una considerazione ricorrente nelle narrazioni raccolte riguarda il dilagare di forme di «disamore», come le ha definite un intervistato, nei confronti della Chiesa.
«Sto notando una cosa che dico sempre anche al parroco: tanta gente si avvicina alla Chiesa nel momento in cui c’è una cosa bella, una comunione o una cresima. Poi queste persone non le vedi più. È un problema che sta coinvolgendo direttamente la Chiesa, forse qui un po’ meno perché Bergamo, dal punto di vista cattolico, è una provincia abbastanza forte. Però sto notando questo “disamore verso la Chiesa”. Non so, sta cambiando il mondo, non so per quale motivo, però in effetti questa cosa c’è. E questo è un fenomeno un po’ preoccupante, almeno da cattolico».
Si tratta di un senso di allontanamento delle persone dalla Chiesa, soprattutto nelle sue manifestazioni più dogmatiche, normative e tradizionali. Allo stesso tempo, si sottolinea il bisogno di riscoprire i veri valori (moralità, solidarietà e rispetto) come nucleo autentico della fede religiosa. Questo fenomeno trova riscontro anche a livello nazionale: infatti nell’arco di un quarto di secolo, il numero dei fedeli è diminuito di 13 punti percentuali mentre crescono coloro che sono dubbiosi e che si dichiarano non credenti. Anche le pratiche rituali, come la preghiera personale, hanno perso valore.
Segnali importanti di un allontanamento delle persone dalle forme più tradizionali di religiosità e di rapporto con il sacro, a cui fa seguito il ripiegamento in una spiritualità più intima e personale, soprattutto tra le nuove generazioni.
Una volontaria ci parla del rapporto che i suoi figli hanno con l’istituzione cristiana. «Ho dei figli adolescenti che, a differenza mia, vanno proprio allo scontro e guai se gli parli della Chiesa, ti parlano di tutti degli scandali, perché ovviamente è la cosa più che balza all’occhio. Però io dico sempre “la Chiesa non è solo quello, anzi”. Primo: è fatta di persone, per cui le persone posso- no anche sbagliare. Secondo: se ho fede è per qualcosa che va al di là dell’istituzione Chiesa, perché credo in qualcosa che va oltre, e al di là di quello, ci sono tanti esempi, anche all’interno della Chiesa, di prossimità e vicinanza».
Sociologi come Elias, Beck e Cassano hanno ampiamente mostrato come il processo di individualizzazione, tipico della società moderna, sia stato accompagnato dalla secolarizzazione delle credenze e dei valori tradizionali, che ci ha donato un grado di libertà individuale mai sperimentato nella nostra storia, ma che ci ha anche privato di quell’orizzonte di senso condiviso che la religione ha sempre contribuito ad alimentare.
L’impegno sociale della Chiesa
Un secondo tema ricorrente riguarda l’impegno sociale della Chiesa, nelle sue diverse articola- zioni territoriali (parrocchie e associazioni in primis).
«Ognuno guarda il suo orticello, però poi quando tu li chiami, non so, penso al Centro di primo ascolto, o per una raccolta di vestiti o di beni alimentari, o altro per le famiglie del paese più disagiate, hai una risposta eccezionale. Quindi: non si propongono in prima persona, non ti danno il loro tempo da investire in queste realtà, ma quando tu chiedi aiuto per sostenerle sono presenti; quindi vuol dire che loro ci credono, hanno questi valori, ma non devono essere più di tanto impegnati a dover dipendere da questi valori» (Volontaria in associazione)
Questa dimensione non è venuta meno con la secolarizzazione. Al contrario, sembra che più le persone si sentono abbandonate in un mondo in cui il sacro è sempre più lontano, più il bisogno di ricostruire legami sociali densi di significato e fiducia diventa urgente.
Il rapporto con i territori passa attraverso il coinvolgimento quotidiano in attività di supporto sociale, di animazione culturale e di intrattenimento di comunità. Raccolte fondi, attività di volontariato e celebrazioni religiose sono attività che ancora riescono ad intercettare la disponibilità delle persone ma con una accortezza: non devono prevedere un impegno permanente.
«Secondo me la Messa, o comunque la presenza in chiesa, sarà sempre meno incisiva e meno forte. Però questo non è necessariamente un male, potrebbe essere anche un bene: io mantengo la mia spiritualità e quindi la Chiesa per me diventa il punto di riferimento dove vado per ritrovare me stessa. Però, nello stesso tempo, vivo la mia fede attraverso i valori del rispetto, di condivisione e attenzione verso l’altro in una forma comunitaria diversa. [...] E sono convinta che tanti si stacchi- no dalla Chiesa per questo: effettivamente non è concreta, non è onesta. Noi abbiamo molte persone che vanno in chiesa, ma poi? Di fatto non hanno onestà alle spalle. E questo non è un buon esempio da dare[...]. Occorre cambiare modo di vedere, serve avere quella capacità di mettere all’interno delle cose un significato: non faccio questa cosa per forza, o tanto per fare, la faccio perché dietro c’è questo significato». (Coordinatrice pedagogica)
Dalle interviste emerge infatti la scarsa propensione al coinvolgimento continuativo delle persone che sono presenti per attività circoscritte e specifiche, conciliabili con le esigenze di vita di ciascuno. Bisogno di legame, ma sempre reversibile e temporaneo, nella società individualizzata.
Parola a Rita Bichi
Abbiamo incontrato Rita Bichi , professoressa ordinaria di Sociologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che nei suoi studi ha indagato in profondità il fenomeno religioso in Italia, in particolare rispetto al vissuto delle nuove generazioni. Le abbiamo chiesto di aiutarci a riflettere sulle trasformazioni in corso.
Qual è la differenza tra religione, religiosità e fede?
«La distinzione tra fede, religione e religiosità è fondamentale. La religione è vista solo dal punto di vista dell’istituzione sociale e del complesso di regole, organizzazioni, tutto quello che concerne la struttura, e quindi è guardata in un certo modo. La fede sta lì dentro, o dovrebbe essere lì dentro, però nella testa delle persone è stata disgiunta dall’istituzione stessa. Può essere vissuta anche al di fuori. La religiosità è una caratteristica insita nell’essere umano, che può essere anche indipendente dall’istituzione e dalla religione. Oggi queste due cose possono vivere in maniera separata, cosa che non era pensabile fino a qualche decennio fa».
Secondo lei, la religione oggi viene vissuta in senso più individualistico?
«Nel nostro tempo al centro c’è sempre l’individuo e il proprio benessere. E questo può dipendere da tante cose. Se io aderisco in toto a un’ideologia, dentro ci trovo anche delle cose che potrebbero non piacermi: l’idea di peccato, l’idea che puoi sbagliare e che devi chiedere perdono. Non è detto che mi piacciano queste idee, per cui prendo solo ciò che mi fa comodo prendere, anche in maniera inconsapevole. Perché comunque l’impostazione è quella di fare le cose in modo che io sia soddisfatto. Anche un certo tipo di spiritualità, la meditazione, lo yoga, le pratiche orientali, hanno tutte questo fine: il proprio benessere. Anche nella relazione con il divino, con la trascendenza, c’è l’idea che in qualche modo sia al mio servizio, che possa rivolgermici quando voglio e quando ne ho bisogno. È un padre buono. L’idea del dio punitivo è sparita, completa- mente, non esiste più ma neanche nelle parole dei sacerdoti, non c’è più l’idea dell’inferno».
Perché è importante studiare i giovani in rapporto alla religione?
«I giovani sono sicuramente la parte emergente di quello che sarà la Chiesa domani. E ovviamente saranno loro poi a decretare che fine farà questa istituzione».
Quali sono le trasformazioni più importanti nella religiosità dei giovani oggi?
«I giovani dicono: “è una scelta”. Viene meno l’idea della tradizione. E se è una scelta vuol dire che te ne devi prendere anche tutte le responsabilità, cosa che non facevi prima perché in qualche modo eri obbligato dalla pressione sociale a fare certe cose. Anche se questo è vero soltanto in parte, perché adesso un’altra delle tendenze è di mescolare vari elementi diversi costruendo mondi valoriali che non sono necessariamente omogenei al loro interno. Ad esempio, sono aumentate moltissimo le coppie che non sono sposate, né in Comune né in Chiesa, che però fan- no battezzare i figli, gli fanno fare la Comunione e la Cresima. Poi ovviamente sono ragazzi che non andranno mai più in Chiesa dopo la Cresima, perché non hanno alle spalle una famiglia che li segue da questo punto di vista. Questi sono visti come riti di passaggio, che segnano la vita dei nuovi nati e che li introducono alla comunità. È rimasta la festa, ma si è perso completamente tutto il resto, come la fede, di cui non si parla, perché è vista come secondaria, non determinante».
Non limitarti a leggere
Sui temi del lavoro come della famiglia, della vita religiosa e della partecipazione politica in queste settimane è in corso in Bergamasca una grande indagine sociologica, voluta da L’Eco di Bergamo e in collaborazione con i sociologi dell’Università di Bergamo. Per capire come e quanto siamo cambiati negli ultimi anni. Per questo i collaboratori de L’Eco stanno realizzando tante interviste, incontrando testimoni della vita delle nostre comunità. Accompagniamo l’indagine con diversi contributi, ospitando sulle pagine e sul sito de L’Eco pareri, domande e riflessioni. Insieme al contributo di chi, bergamasco, oggi vive e lavora all’estero.
Ma soprattutto chiediamo anche a te di comunicarci il tuo pensiero. Vogliamo conoscere le tue idee, per costruire insieme a te una “missione” per il territorio bergamasco. Puoi scrivere a: [email protected]
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