I giovani sono lontani dalla politica?

La partecipazione politica e il senso civico stanno vivendo una crisi che coinvolge in primo luogo il rapporto tra generazioni. I giovani sembrano sempre più lontani dalla politica, è davvero così? Quali sono le cause? Ecco i risultati dell’indagine sociologica, voluta da «L’Eco» e Università di Bergamo, incentrata su numerose interviste realizzate su tutto il nostro territorio.

La politica oggi non sa più dare un’idea di futuro. La partecipazione dei giovani alla politica sembra essere in costante diminuzione, come evidenziano le interviste che abbiamo raccolto.

Oggi i giovani bergamaschi si ritrovano tra politica, disaffezione e nuovo civismo. Questo fenomeno sembra rispecchiare una crisi più profonda nella trasmissione intergenerazionale dei valori civici e politici, che un tempo venivano condivisi all’interno di famiglie e comunità e che oggi raggiungono i giovani con sempre meno incisività, alimentando il loro disinteresse verso la politica.

Come emerge da una delle testimonianze raccolte: «La parte più debole della nostra società sono i giovani, perché non c’è futuro e se non si riesce a dare loro un’idea di futuro, è proprio lì che bisogna lavorare».

Le ragioni di questo disincanto sono molteplici. Quando la politica si riduce ad una gestione di interessi personali o a un groviglio burocratico, come può risultare attraente per le nuove generazioni? «Che cosa avvicina i giovani alla politica? Mi verrebbe da dire tre parole: la naturale predisposizione, la cultura di famiglia, l’abitudine. È una predisposizione naturale che si fortifica e si sviluppa, secondo me, con la storia personale di ognuno di noi».

Un’altra voce dell’indagine ricorda: «Mio padre mi diceva sempre: “Se tu non ti interessi di politica, la politica si interessa di te”. È una verità assoluta». La politica, infatti, non è solo tecnica amministrativa: è, soprattutto, il canale che tramanda valori civici e senso di comunità.

«La politica trasferisce il senso di civiltà tra generazioni. Non basta la competenza; servono passione e la capacità di trasmetterla». Inoltre, anche quando i giovani scelgono di impegnarsi, incontrano spesso difficoltà a trovare spazio nella politica attiva, relegati a ruoli di secondo piano dove le loro idee rimangono inascoltate.

A questo proposito, un’altra intervista sottolinea: «I giovani non devono solo eseguire; devono portare le loro idee. Hanno prospettive moderne che io ho perso. Dobbiamo dare loro spazio».

Affinché i giovani possano contribuire davvero alla società, le istituzioni dovrebbero adattarsi ai cambiamenti generazionali e dare loro un ruolo di protagonisti.

«I giovani hanno solo bisogno di qualcuno che gli dia dei reali spazi da protagonisti. E quindi smetterla di pensare che il giovane debba venirti affiancato per fare quello che tu hai in testa e quindi fare un po’ il tuo galoppino, assecondando la falsa idea che deve fare comunque prima la gavetta o chissà che cosa per poter intervenire. Se sente che non è strumentalizzato, non è usato, ma gli dai un reale spazio di protagonismo il giovane c’è in tutto e per tutto».

Ricreare legami di solidarietà in una società divisa

Il sociologo americano Talcott Parsons, docente ad Harvard dal 1920 al 1970, offre una chiave di lettura utile a interpretare questo fenomeno. Secondo la sua teoria, una società funziona come un sistema che trova il proprio equilibrio nella condivisione e nel passaggio di valori da una generazione all’altra. Questo processo avviene attraverso le principali istituzioni sociali – famiglia, scuola, stato, comunità religiose.

«Ecco, io credo molto in questa concretezza che è quello che uno poi vede e trasmette. Io credo in questa catena di trasmissione del bene. (...) Per me è una motivazione quel senso di responsabilità che magari ti è stato inculcato anche in ambito familiare o scolastico e che ti porti. E poi anche la convinzione di poter essere di aiuto a qualcuno».

Tuttavia, quando questa trasmissione si indebolisce, l’intero sistema sociale si trova in crisi e la partecipazione politica ne risente. Tra i fattori che influenzano maggiormente questo processo vi è il ruolo della famiglia, storicamente centrale nel trasmettere non solo valori, ma anche un’idea di partecipazione civica. Una testimonianza raccolta spiega: «Il mio interesse per la politica è forse una questione di famiglia; a casa non si è mai ritenuto accettabile stare con le mani in mano nel tempo libero, per me è stato naturale mettersi in gioco».

Oggi le famiglie faticano a dedicare spazi e tempi sufficienti alla politica, prese come sono tra lavoro, scuola, impegni sportivi e code per il traffico. Non solo, è la mancanza di ambienti che favoriscano dialogo e partecipazione ad incidere profondamente sulla formazione civica e politica dei giovani.

«Spesso si pensa che per fare qualcosa di buono si debba necessariamente essere spinti da grandi ed elevatissimi ideali, essere quasi dei superuomini; in verità basta molto poco e spesso è il contatto umano. Spesso chi fa volontariato o impegno politico lo fa perché ha incontrato qualcuno che lo ha ispirato, coinvolto in qualche progetto e da lì, tramite il contatto umano, nasce la volontà di continuare su quella strada e di dare una mano. Anche perché, diciamo, i valori derivano dall’educazione, certamente, ma l’educazione si fa durante tutta la vita e si forma su quella che è la rete di contatti e di dialogo umano».

Scuola e università, pur avendo il potenziale per educare alla partecipazione, spesso dedicano scarso spazio a queste tematiche, soffocate da programmi accademici rigidi e da una cronica mancanza di fondi per iniziative formative specifiche. Anche le istituzioni pubbliche e i partiti politici faticano a offrire opportunità concrete di coinvolgimento: le prime spesso non riescono a promuovere efficacemente percorsi di cittadinanza attiva, mentre i secondi, talvolta percepiti come distanti, non riescono a integrarsi con il linguaggio e le esigenze delle nuove generazioni. In assenza di una trasmissione intergenerazionale, operata dai familiari o da altri adulti, come insegnanti, parroci, membri di associazioni o di partiti, i giovani rischiano di sviluppare un rapporto distaccato e passivo nei confronti della politica.

A conclusione dell’indagine condotta sul territorio di Bergamo, possiamo affermare che il futuro della partecipazione politica dipenderà dalla nostra capacità di ristabilire un dialogo tra le generazioni e di creare spazi concreti per i giovani, in cui possano sentirsi attori centrali e portatori di idee innovative per il rinnovamento della democrazia. È una sfida cruciale, che non riguarda solo Bergamo ma ogni realtà sociale: costruire una società capace di ispirare i giovani e renderli consapevoli del loro potere di trasformazione.

Parola a Lorenzo Viviani

Dall’indagine condotta sul territorio di Bergamo emerge come la diminuzione della partecipazione dei giovani alla politica sia in relazione con l’interruzione del dialogo intergenerazionale. Chiediamo a Lorenzo Viviani, professore ordinario di Sociologia dei fenomeni politici all’Università di Pisa, come possiamo interpretare questa dinamica.

«Quando le identità politiche non sono capaci di generare appartenenza e processi di identificazioni, a risentirne è la stessa legittimazione del potere degli attori politici chiamati ad aggregare e articolare le domande sociali. Tuttavia, questo non implica la crisi della politica o della democrazia in sé, quanto la crisi di un particolare modello di rappresentanza politica: la democrazia rappresentativa sperimentata nella seconda metà del secolo scorso. La sfida dei populismi nasce su questo terreno, come manipolazione del disincanto e della sfiducia. Non come soluzione alle crisi, bensì come politica della crisi permanente. Al tempo stesso il declino della politica non è un destino immutabile. Se per molto tempo si è pensato che fossero gli attori della politica, i partiti, a essere obsoleti, in chiave sociologica è invece la capacità di riorganizzare il legame tra società e istituzioni che chiede nuova capacità rappresentativa. Non si tratta di archiviare le forme organizzate della politica, destituendole di qualsiasi utilità di intermediazione. Al contrario, il tema è costruire nuove identità e generare nuove appartenenze, in grado di sostenere l’azione collettiva e ricreare processi di legittimazione delle istituzioni».

In diverse occasioni i nostri intervistati hanno espresso l’idea che la politica si limiti al tecnicismo, alle lungaggini burocratiche e che invece i grandi cambiamenti sociali ed economici, di cui i giovani sono i protagonisti, non siano guidati dalla politica, ma anzi subiti. Hanno ragione?

«Talvolta si ha la sensazione che la politica sia una specie di prodotto opaco e ininfluente: la lenta e inconcludente politica al cospetto del rapido e performante mercato. Il manager della democrazia al cospetto dello statista. Pensi che il mondo di oggi e di domani abbiano ancora spazio per la dignità della politica? E come? Si arriva qui a un tema di estrema rilevanza e attualità. La politica non è il mercato (e non è un mercato). Se l’ideologia neoliberale ha via via fatto credere che la tecnica, i tecnici, i manager, possono (devono?) sostituire liturgie e attori della politica, questa più che la soluzione è l’involuzione della democrazia».

Quali ricadute ha determinato la corrente di pensiero che voleva sostituire l’efficienza tecnicista all’amministrazione politica?

«È seguito il ritiro della politica, la depoliticizzazione, l’anti-politica, il risveglio di nuovi populismi. Non solo. Il mito della scorciatoia della tecnica. La conoscenza è importante: serve a mettere chi fa politica nelle condizioni di decidere. Ma la conoscenza, la tecnica, l’episteme, non risolvono la politica. Il manager amministra. Il politico governa e prefigura. Su questo si gioca la differenza fra manager e leader. Il leader si deve confrontare e circondare dei “The Best and the Brightest” (per dirla come ai tempi di Kennedy), che non sono i più fedeli e i più docili, al contrario. Tuttavia, lo sguardo d’insieme, la responsabilità, la capacità di comprendere e orientare il contesto sociale e politico spetta alla politica, ai suoi leader e alla classe dirigente politica. La politica recupera dignità se torna a porsi l’obiettivo di un progetto di società e di democrazia, non se si piega alla depoliticizzazione del conflitto nella opacità di istituzioni fredde, non maggioritarie, distanti. La politica si forgia nel conflitto democratico (parola non dannata), in cui emergono visioni contrapposte. Con leader che non esauriscono nei propri nomi e cognomi la proposta politica. I leader sono attori di un gioco plurale e radicato nella società. Non sono solitudini mediaticamente emergenti che bastano a sé stesse. Magari legittimandosi per il carisma contraffatto della parola (o dei social network di propaganda)».

Come definire la “leadership politica” e quali le sue funzioni insostituibili?

«La leadership è una relazione sociale e politica, in cui certo hanno valore i leader, ma a patto che siano nella interazione con i cittadini e nella trama del contesto in cui operano. I leader servono, ma i leader senza radici sono come le piante sradicate : basta una folata di vento e cadono. Certo, i leader di oggi si confrontano con una complessità fatta di fenomeni non più confinati nel perimetro dello Stato-nazione. Per questo serve la politica, altrimenti rimane lo show quotidiano. E alla fine i cittadini, ridotti a spettatori, cambiano rapidamente canale. Lo svuotamento della democrazia del telecomando. O dello scorrere compulsivo dei reels. In conclusione, non solo la politica è importante, ma nella società di oggi servirebbe ancora più politica. Non quella del piccolo cabotaggio degli interessi corporativi, né la fiammate di contestazione della società civile-incivile (la finzione del popolo populista), ma la politica in grado di ricreare legami di solidarietà in una società divisa, ma affatto condannata all’atomizzazione, al conformismo o al ribellismo intermittente».

Il contributo di Lorenzo Migliorati: la politica tra passione e professione

C’è un filo rosso che lega la riflessione che abbiamo proposto nelle scorse settimane ed oggi in relazione alla politica e alle testimonianze raccolte da Missione Bergamo. Questo filo può essere riassunto nell’idea che la politica possa essere intesa come un lavoro.

Qualche giorno fa, da queste pagine, opponevamo l’idea di civismo alla politica come azione che richiede professionismo e professionalità. Oggi, discutiamo delle difficoltà delle generazioni più giovani di farsi spazio e immaginare che la politica possa essere non soltanto un passatempo, ma una vera e propria attività a cui dedicare la propria vita.

Mi esprimerei volentieri dicendo che questa è forse la questione più importante, legata a doppio filo anche alla quotidianità delle molte persone che, nelle nostre comunità, dedicano tempo ed energie alle vicende politiche locali. Basterebbe una chiacchierata al bar per sentire che, a qualsiasi candidato o candidata che si affacci all’attività amministrativa locale, viene sempre opposto qualche cosa del tipo: «ormai, fare il sindaco è un lavoro…».

E allora, cosa significa fare della politica una professione? Ci viene in soccorso uno dei padri fondatori della sociologia, Max Weber (1864-1920). Nel gennaio del 1919 – si badi, eravamo nella Germania appena sconfitta nella Prima Guerra Mondiale e in cui già albergavano quelle pulsioni autoritarie che avrebbero portato alla catastrofe di lì a pochi anni – Weber tenne una conferenza agli studenti dell’Università di Monaco di Baviera dal titolo «La politica come professione», giocando sull’ambiguità semantica del termine beruf che in tedesco significa sia “professione” intesa come lavoro, sia “vocazione” come ciò a cui si adempie perché ci si sente chiamati.

Il politico di professione, dunque, svolge la propria attività in questa duplicità simbolica: vive contemporaneamente “di” politica, traendone una fonte di sostentamento economico e “per” la politica, mosso dalla propria passione per le cose che la riguardano. I luoghi comuni che inondano le rarefatte discussioni politiche al famoso bar di cui sopra, deplorano la prima (vivere di politica) ed elogiano la seconda (vivere per la politica). In realtà, Max Weber ci invitava a considerare che la passione, intesa come demone che tiene uniti i fili dell’esistenza e spinge ad agire le persone, è soltanto una delle qualità dell’uomo politico.

Non c’è buona politica senza il senso di responsabilità e la lungimiranza.

«Fare il Presidente di un’associazione può servire a un ragazzo per capire e rendersi conto della propria passione per il territorio. E può essere il trampolino di lancio poi a una sua candidatura nell’amministrazione pubblica. (…) Secondo me dobbiamo dire ai giovani: interessatevi al vostro territorio, fate quello che vi piace sul vostro territorio. Poi probabilmente le cose verranno un po’ da sé, nel senso che uno si appassiona, si impegna».

Vorrei concludere invitando il lettore ad osservare che, se la passione può essere intesa come una qualità tutta personale, il senso di responsabilità e la lungimiranza sono qualità che richiedono, necessariamente, la presenza e l’attenzione all’altro. E richiedono tempo e pazienza. Tutti aspetti che, non a caso, costituiscono il senso profondo della proposta di Missione Bergamo: (ri)pensare il Noi collettivo.

Non limitarti a leggere

Sui temi del lavoro come della famiglia, della vita religiosa e della partecipazione politica in queste settimane è in corso in Bergamasca una grande indagine sociologica, voluta da L’Eco di Bergamo e in collaborazione con i sociologi dell’Università di Bergamo. Per capire come e quanto siamo cambiati negli ultimi anni. Per questo i collaboratori de L’Eco stanno realizzando tante interviste, incontrando testimoni della vita delle nostre comunità. Accompagniamo l’indagine con diversi contributi, ospitando sulle pagine e sul sito de L’Eco pareri, domande e riflessioni. Insieme al contributo di chi, bergamasco, oggi vive e lavora all’estero.

Ma soprattutto chiediamo anche a te di comunicarci il tuo pensiero. Vogliamo conoscere le tue idee, per costruire insieme a te una “missione” per il territorio bergamasco.
Puoi scrivere a: [email protected]

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