Giovani e Bergamo, il futuro è oggi

«Missione Bergamo», il nuovo progetto di approfondimento voluto da Sesaab, vuole raccogliere, dar voce e ascoltare le “tante Bergamo” che contribuiscono a comporre la nostra identità. In questo articolo ci concentriamo sul futuro dei nostri giovani con due testimonianze legate all’Istituto scolastico di Villa D’Almè e alla Fondazione Serughetti La Porta

Il futuro delle nostre giovani generazioni rappresenta una ricchezza da valorizzare e promuovere. Ne abbiamo parlato con la dirigente scolastica Marta Beatrice Rota e con la presidente della Fondazione Serughetti La Porta Gabriella Cremaschi: ecco i progetti «Service learning» e «Non darci la (tua) voce».

Crescere mettendosi al servizio della comunità

«Apprendere serve, servire insegna»: la formula riassume bene lo spirito del «Service learning», un’originale esperienza che – partita con le prime esperienze negli anni ’70 dagli Stati Uniti e in Argentina – cresce ora anche nel nostro Paese. Nel sito dell’Indire (punto di riferimento per la ricerca educativa) emerge che in Italia è adottato in 227 scuole. Tre di queste sono nella nostra provincia: il Caniana, scuola superiore, e poi gli istituti di Almenno S.B. e di Villa d’Almè.

Ma di cosa si tratta esattamente? «È un approccio pedagogico – dice Marta Beatrice Rota, dirigente all’IC di Villa d’Almè che coinvolge gli studenti in un’esperienza in cui si combinano e integrano sia gli apprendimenti disciplinari che un servizio alla comunità, che può essere quella scolastica o territoriale. C’è quindi un’azione solidale, ideata, organizzata, gestita direttamente dagli studenti, e strettamente legata agli apprendimenti curriculari». Non si tratta di volontariato, o di qualche forma di assistenzialismo. L’azione solidale non è estranea a quanto i ragazzi imparano a scuola, ma entra in tutto e per tutto nel curricolo e nell’attività scolastica.

Ad Almè-Villa d’Almè, ad esempio, la prima esperienza fu un percorso di alfabetizzazione informatica, con gli alunni di prima media «che pensarono di aiutare i nonni, e poi anche i genitori, che ancora non avevano dimestichezza con il computer. Hanno creato un mini-corso e ogni ragazzo è così diventato tutor di una mamma, un papà, un nonno, migliorando le competenze informatiche degli adulti, ma nello stesso tempo potenziando le proprie». Oppure, altro esempio, il lavoro svolto l’anno scorso dalle quinte elementari di Villa d’Almè, dove i ragazzi erano rimasti colpiti dal fatto che in paese c’erano famiglie in difficoltà nel fare la spesa. Da qui il contatto con una realtà del territorio (Centro Caritas), l’ideazione e realizzazione di due azioni solidali: una raccolta alimentare organizzata dai ragazzi e poi un’indagine antispreco, perché nel corso del progetto gli stessi alunni erano colpiti dalla notevole quantità di cibo sprecata in mensa.

«L’idea è semplice, ma allo stesso tempo impegnativa. Perché il “cosa fare” non nasce dall’esterno (docenti o realtà del territorio) ma dagli stessi ragazzi. Il protagonismo degli studenti deve essere reale, dall’analisi alla fase conclusiva; se non scelgono loro, se non sono in prima persona a progettare il servizio, la motivazione cade, e il progetto non regge».

Tanti i benefici in questa unione tra apprendimento e servizio: si lavora tantissimo sulle competenze trasversali, di organizzazione, progettazione, lavoro di gruppo; la scuola si apre al territorio e si sviluppa una ricca rete di rapporti; si avviano processi di trasformazione degli spazi e dei tempi, come della didattica (scardinando l’impostazione tradizionale della lezione frontale). E, non ultimo, l’impegno in un servizio solidale sviluppa nel concreto percorsi di educazione civica: «dal cortile scolastico allo spazio del quartiere fino ad orizzonti anche più vasti: con il “Service learning” si sviluppano competenze che riguardano la partecipazione civica e sociale, il nostro modo di essere parte attiva per il miglioramento del mondo».

I giovani ci parlano, ma non sappiamo ascoltarli

«Siamo partiti da un dato che ci colpisce: quasi il 20% della popolazione di Bergamo ha origine straniera e nella fascia tra 0 e 18 anni il background migratorio ha picchi del 40%, tra prima, seconda, terza e quarta generazione . Un dato enorme eppure poco visibile». Così Gabriella Cremaschi, presidente della Fondazione Serughetti La Porta motiva il progetto «Non darci la (tua) voce. Ascoltaci!», realizzato nei mesi scorsi in due scuole cittadine, Pesenti e Mamoli, dove la presenza di studenti di origine straniera è molto alta.

Obiettivo: dar loro la possibilità di prendere la parola e raccontarsi. Detto, fatto. Tramite sei laboratori di scrittura e musica, i ragazzi hanno prodotto scritti, canzoni, video che ora sono disponibili sul sito della Fondazione: uno spaccato vivo e interessante di questi ragazzi figli di migranti che troppo spesso sono percepiti come “altro” da noi bergamaschi. «Ma per loro è una domanda che non si pone. Sono bergamaschi. Sono bergamaschi a tutti gli effetti. E vivono la città come tutti i loro coetanei, con i bisogni e le domande di tutti gli altri adolescenti. Però a differenza dei “bergamaschi” si possono sentir dire alla fermata dell’autobus (soprattutto se ragazze) “Torna a casa tua...”, nonostante siano nate qui e vivano qui da sempre».

L’intento è aprire momenti di confronto sul territorio. Perchè è certo importante che questi ragazzi abbiano spazi di voce per esprimersi. Ma ancora più importante è che ci sia qualcuno disposto ad ascoltarli. Per non rischiare di vivere, noi, con un quadro falsato della realtà. Per non camminare «nella nostra città – prosegue Cremaschi - sfiorando un mondo che cambia senza riuscire a vederlo, senza incontrarlo. Questo progetto, oltre che da una consapevolezza politica, è nato anche da motivazioni più personali, che potremmo definire di curiosità, di attenzione, di necessità di provare a cambiare il punto di vista da osservatori a persone che si mettono in ascolto». Perchè nelle aule di alcune nostre scuole il futuro è adesso, è già qui. E porta con sé non solo problemi, fatiche e disagi (molto spesso enfatizzati e generalizzati), ma una ricchezza e una bellezza che siamo noi a rischiare di perdere e di non vedere.

È proprio questa la sfida che «Missione Bergamo», il progetto Sesaab cui si collegano queste pagine, vuole raccogliere: dar voce e ascoltare le “tante Bergamo” che – ne siamo già consapevoli o no – contribuiscono a comporre la nostra identità, oggi. Per capire meglio chi siamo e dove stiamo andando, per noi e per i nostri figli. Gli scritti degli studenti del Pesenti e del Mamoli si concludono con un testo collettivo, che contiene un forte invito, che facciamo nostro, e rilanciamo a tutti i bergamaschi: «Guardati dentro, sei cambiata. Noi siamo cambiati, te ne sei accorta? Abbiamo nomi dai suoni difficili, pelli ambrate, portiamo con noi nuovi desideri. (…) Guardati dentro, Bergamo. Il tuo ombelico ti dice chi sei davvero. Sii fiera di quello che sei diventata. Mantieni le tue tradizioni, sono bellissime, ma creane delle altre. Non avere paura, noi siamo con te. Crediamo in te. Il tuo futuro ti guarda ».

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