Missione Bergamo / Bergamo Città
Venerdì 06 Dicembre 2024
Futuro sostenibile e sfide per la parità di genere
Viviamo un mondo del lavoro che cambia velocemente, radicalmente diverso rispetto a quello che abbiamo conosciuto per decenni. Ci sono nuove dinamiche e nuovi significati. Ma le sfide della transizione digitale ed ecologica aiutano l’inclusione o favoriscono nuove disuguaglianze? La risposta è nei risultati della nostra indagine sociologica.
Negli ultimi anni, in bergamasca il lavoro ha conosciuto un periodo problematico. Nuove disuguaglianze sono emerse accanto a quelle tradizionali. Molte trasformazioni, accelerate dagli effetti della pandemia da Covid-19, hanno portato a un divario sociale più accentuato rispetto al passato. Se da un lato le imprese affrontano le nuove sfide globali dalla transizione ecologica a quella digitale, dall’altro persistono problemi strutturali, che sembrano aggravarsi. Le disuguaglianze di genere, nonostante i progressi fatti, indicano ancora disparità di opportunità tra uomini e donne. E l’integrazione con i migranti è ancora lontana dall’essere pienamente realizzata. Tutto questo mentre la transizione ecologica e digitale, divenuta ormai imprescindibile per garantire competitività, introduce specifiche sfide.
Nuove competenze sono sempre più necessarie, ma non tutte le realtà aziendali possono permettersi di svilupparle con facilità. Il rischio è una transizione solo parziale, che nei vari tra chi ha accesso a opportunità di innovazione e chi rimane ancorato a modelli più tradizionali, meno reattivi al cambiamento.
«Serve assolutamente fare rete : da soli ci proviamo quotidianamente ma è fondamentale avere il supporto di tutti, serve condividere le esperienze per arrivare al risultato in maniera più rapida e avere una transizione più rapida possibile verso situazioni più sostenibili. È fondamentale anche dal punto di vista degli sforzi delle energie che le aziende possono investire in questo genere di transizioni. Per cui sì, fare rete è sicuramente fondamentale». (Amministratore Delegato di una media impresa)
Gli imprenditori intervistati sottolineano spesso che la transizione ecologica non è una semplice questione di buona volontà, ma richiede investimenti considerevoli, che non tutte le aziende, soprattutto le più piccole, sono in grado di sostenere. A queste sfide si aggiunge la complessità della digitalizzazione, che non si limita alla sola introduzione di nuove tecnologie.
«La transizione digitale è una cosa straordinariamente positiva perché ti consente di misurare, perché tu non puoi migliorare se non sai dove sei, non puoi migliorare se non misuri, se non hai i dati necessari che ti consentono di poter gestire l’azienda, ma di farlo in tempo reale, non dopo tre mesi. Cosa significa? Oggi se fai un business e dopo tre mesi ti accorgi che non va bene tu sei fuori dal mercato, non sei competitivo, non riesci a vendere, pensi di essere a posto: invece perdi gli ordini perché non hai contezza di quello che è il tuo costo. E di conseguenza la transizione digitale, sia nell’organizzazione come nella programmazione, diventa un aspetto fondamentale». (Imprenditore manifattura)
Il processo richiede un cambiamento culturale, capace di trasformare le modalità operative e la mentalità stessa delle persone nei luoghi di lavoro. In molti casi, ciò implica rivedere l’organizzazione interna, promuovendo la formazione del personale e il miglioramento continuo.
Parità di genere: sfide e opportunità
Parallelamente, a queste nuove dinamiche si intreccia il tema delle disuguaglianze di genere: il rientro dalla maternità, la conciliazione vita-lavoro, la retribuzione e la carriera sono ancora nodi critici.
«Finalmente trovo un canale per esprimere ciò che da tempo vorrei che diventasse una voce, oltre che una battaglia da affrontare. Ho 57 anni e lavoro ormai da 15 anni in un brand molto attivo in tutto il mondo. Nello specifico ho lavorato dieci anni a Orio Center, poi l’anno del Covid ho cambiato lavoro passando in un negozio privato (esperienza non andata a buon fine) e poi, da quattro anni, sono ritornata a lavorare in un altro centro commerciale. Ho ottenuto dal mio titolare in fase di assunzione di fare 32 ore (rinunciando ovviamente ad uno stipendio più alto), perché volevo assolutamente due giorni di riposo, dopo anni vissuti con un solo giorno di stacco. E da qui voglio iniziare il mio sfogo: nei centri commerciali lavorano principalmente donne, quasi tutti i brand ora propongono contratti assurdi (determinati, a chiamata, ecc.) con 24/30 ore ma sempre su 6 giorni alla settimana. Anche chi ha avuto la fortuna(?) di essere assunta full time ovviamente lavora 6 giorni su 7. Che poi i riposi, per il gioco dei turni, cadono a volte anche dopo 8, 10 o 12 giorni, a seconda delle esigenze del negozio o semplicemente per la poca attenzione da parte di chi fa i turni. Quindi il confronto con un lavoratore normale è che riposiamo 54 giorni in meno in un anno. Inoltre. lavorando nei festivi e nei weekend non possiamo mai fare ponti, quindi i giorni di riposo si riducono ulteriormente rispetto agli altri posti con riposi bisettimanali regolari... Senza inoltrarmi in altre problematiche, direi che già questo rende lampante la vita certamente non facile per chi vive questo lavoro. Immaginiamo poi la conciliazione lavoro/ figli/ famiglia. O il fatto che non siamo tutelate sindacalmente, o che non ho mai sentito in TV o altrove parlare delle nostre problematiche. Poi sento dire che si valutano i 4 giorni lavorativi (modello adottato con successo in varie realtà europee) per aziende metalmeccaniche o siderurgiche... E francamente mi indigno della mancanza di considerazione nei nostri confronti». Questo è il commento di Raffaella, una “commessa arrabbiata”.
Le donne sono penalizzate in termini di salario e ruoli.
«Se andiamo a vedere i livelli apicali di gran parte delle aziende troviamo quasi sempre o spesso persone di sesso maschile, per cui indiscutibilmente dire oggi che ci sia una parità di trattamento e di opportunità non mi sembrerebbe corretto: nel 70, 75% dei casi, quando vado a parlare ad alto livello, vado a parlare con uomini, raramente con donne, quindi c’è ancora una grande differenza». (Presidente di Banca)
Spesso si trovano ad affrontare ulteriori ostacoli nell’accesso al mondo STEM (Science, Technology, Engineering e Mathematics), che indica l’insieme delle discipline scientifiche tecnologiche-ingegneristiche e i correlati sbocchi professionali. Forte è la mancanza di riconoscimento economico e sociale per il lavoro educativo e di cura, svolto in gran parte da donne. In settori come quelli sociali, assistenziali o dell’istruzione dove la presenza femminile nei ruoli di responsabilità è elevata, il contributo lavorativo continua a essere sottovalutato in termini retributivi e di prestigio sociale.
«Partiamo dalla scuola: io penso che ad esempio un sistema scolastico che non porti anche le donne a valutare mansioni di tipo tecnico, quasi che le donne non abbiano la facoltà o la possibilità di svolgere certe mansioni, già lì è un’ingiustizia. Perché dove io vedo le rarissime presenze di donne dentro uffici tecnici, abbiamo riscontri di un’attività molto positiva. Però se andiamo a vedere le scuole tecniche la presenza è quasi tutta maschile». (Imprenditore)
Gli intervistati dichiarano di valutare le singole persone in base al rendimento più che in base a caratteristiche etniche, ma riconoscono anche l’esistenza di criticità, soprattutto dovute a retaggi storici. È chiara la consapevolezza del valore della manodopera migrante ritenuta essenziale per sopperire al calo demografico e alla carenza di offerta in specifiche categorie lavorative. Tuttavia, persistono stereotipi etnici che nei momenti di tensione rischiano di rendere difficile la comprensione reciproca.
Una nota positiva, in quello che appare un quadro a tratti problematico, soprattutto per il rischio di incrementare il divario sociale, arriva dalle persone intervistate. I nostri testimoni privilegiati indicano una strada da percorre per uscire da quel «declinismo» ingenerato dalle disuguaglianze sociali. L’invito è rivolto alle istituzioni pubbliche e alle aziende bergamasche per investire, non solo in competitività, ma anche in formazione del personale e nella promozione di una cultura aperta e rivolta al miglioramento continuo. L’innovazione e la sostenibilità possono andare di pari passo con l’inclusione. Per affrontare le nuove disuguaglianze sociali e le sfide legate alla transizione ecologica e digitale, servirà quindi un impegno collettivo che coinvolga imprese, istituzioni e cittadini. Solo attraverso politiche mirate e un approccio lungimirante sarà possibile, secondo le persone intervistate, superare le barriere che ostacolano l’inclusione e la parità, costruendo una società più equa e resiliente in grado di accogliere il cambiamento senza lasciare nessuno indietro.
Parola a Daniel Mercure
Daniel Mercure, sociologo canadese di grande influenza, sa offrire una panoramica affascinante sull’evoluzione del significato del lavoro nelle società occidentali avanzate. Mercure, membro dell’Accademia delle Scienze Sociali della Royal Society of Canada e professore ordinario presso l’Université Laval, ha dedicato la sua carriera a studiare le dinamiche lavorative.
Professore, quali sono i significati del lavoro e come si sono evoluti?
«Il significato del lavoro è in continua evoluzione. Storicamente, il lavoro è stato a lungo associato (inizio XX secolo) a un significato strumentale, piuttosto che espressivo; era visto come mezzo per acquisire un reddito, al fine di vivere una vita decente e confortevole al di fuori del lavoro piuttosto che come il luogo primario dell’autorealizzazione. Negli anni ’70, con le rivolte di senso che hanno segnato le nostre società occidentali e la crisi petrolifera, si è sviluppata una cultura dell’autorealizzazione e della partecipazione democratica sul posto di lavoro. La pandemia ha accentuato una visione “egoistica’” del lavoro, dove l’io si afferma e si cerca un equilibrio tra lavoro e vita privata. È un cambiamento sostenuto da una nuova forma di individualismo: il lavoro deve adattarsi a ciò che sono e permettermi di vivere bene la mia vita privata. È un vero cambiamento culturale nelle nostre società».
Quali differenze e somiglianze vede tra i significati sociali del lavoro in Nord America e in Europa?
«Le differenze secolari legate all’ethos protestante del lavoro stanno diminuendo a causa della globalizzazione. Il Nord America si sta reindustrializzando rapidamente, mentre l’Europa affronta problemi energetici. Ma credo siano gli strascichi della pandemia ad incidere maggiormente sulle trasformazioni dei significati del lavoro, a mettere in discussione la dicotomia lavoro-vita privata in entrambi i continenti. Tuttavia le differenze rimangono: in Europa c’è una maggiore aspirazione al tempo libero rispetto al Nord America, dove prevale una ricerca materiale».
Il primo articolo della Costituzione italiana stabilisce che “l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”. Come possiamo ancora oggi dare forza a questo valore fondante?
«La Costituzione italiana si sta rivelando all’avanguardia: stabilisce un legame diretto tra democrazia e lavoro. La democrazia sul posto di lavoro è fondamentale per sostenere la democrazia politica e sociale. Non dobbiamo adeguare la Costituzione alla realtà, ma la realtà alla Costituzione italiana».
Come vede l’evoluzione del lavoro nei giovani? Quale sarà l’impatto degli sviluppi tecnologici come l’ascesa dell’intelligenza artificiale?
«Durante la pandemia da Covid-19 abbiamo vissuto il più grande cambiamento nel mondo del lavoro dal secondo dopoguerra. L’intelligenza artificiale cambierà notevolmente i posti di lavoro e la natura dei lavori, soprattutto nei settori terziario e quaternario. Sperimenteremo effetti altrettanti significativi di quelli generati dalla globalizzazione, ovvero un grande cambiamento dei posti di lavoro (almeno il 35% secondo vari studi) e una forte trasformazione delle qualifiche, il tutto in un breve periodo di dieci anni. Questo sarà affiancato da una forte riduzione delle attività standardizzate e da una maggiore individualizzazione dei servizi. Insomma, lo scenario culturale “egoistico” basato sull’autoaffermazione e l’autorealizzazione sul lavoro, così come la ricerca dell’armonia tra vita privata e lavorativa, è in procinto di allinearsi con le forme innovative di individualizzazione dei dati rese possibili dall’intelligenza artificiale in un contesto di forti cambiamenti: stiamo entrando in un nuovo mondo del lavoro abbastanza rapidamente»
Non limitarti a leggere
Sui temi del lavoro come della famiglia, della vita religiosa e della partecipazione politica in queste settimane è in corso in Bergamasca una grande indagine sociologica, voluta da L’Eco di Bergamo e in collaborazione con i sociologi dell’Università di Bergamo. Per capire come e quanto siamo cambiati negli ultimi anni. Per questo i collaboratori de L’Eco stanno realizzando tante interviste, incontrando testimoni della vita delle nostre comunità. Accompagniamo l’indagine con diversi contributi, ospitando sulle pagine e sul sito de L’Eco pareri, domande e riflessioni. Insieme al contributo di chi, bergamasco, oggi vive e lavora all’estero. Ma soprattutto chiediamo anche a te di comunicarci il tuo pensiero. Vogliamo conoscere le tue idee, per costruire insieme a te una “missione” per il territorio bergamasco.
Puoi scrivere a: [email protected]
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