Un Natale di sobrietà
nel rispetto dei poveri

«Quest’anno abbiamo abbandonato l’idea dell’albero, per rispettare l’invito a non toccarli». Lo scriveva don Andrea Spada, lo storico direttore de «L’Eco di Bergamo», nel 1951, quando, per la prima volta, fu allestita la Capanna di Natale del nostro giornale sul Sentierone. Una profetica sensibilità ambientale. Nel novembre di quell’anno era avvenuta la catastrofica alluvione nel Polesine. Tra le cause del disastro, era stato individuato il rovinoso disboscamento dei decenni precedenti. L’assalto alla natura era già avanzato, quasi settant’anni fa.

All’inizio del novembre scorso, quando in soli tre giorni è scesa la pioggia di cinque mesi, con trombe d’aria come tornado, immense distese di boschi del Cadore – e non solo: anche di altre regioni e delle nostre valli bergamasche – sono cadute come mucchi di fiammiferi. Milioni e milioni di conifere, che solo tra qualche secolo, se Dio vorrà, si potranno rivedere.

L’emergenza ambientale, determinata dai cambiamenti climatici, dovrebbe essere al primo posto dell’agenda politica mondiale. Abbiamo visto, invece, anche in questi giorni alla conferenza di Katowice, come le resistenze siano ancora forti. La quindicenne svedese Greta Thunberg, affetta da sindrome di Asperger, prendendo la parola, in modo coraggioso e commovente, davanti all’intera platea dei negoziatori a Katowice, ha dichiarato: «La nostra biosfera viene sacrificata per far sì che le persone ricche dei Paesi ricchi possano vivere nel lusso».

Urge un’ecologia per la natura ma anche per l’uomo, sempre più oggetto della «mutazione antropologica» provocata dalla rivoluzione digitale. Non si è mai parlato così poco al telefono come in questa epoca del cellulare nelle tasche di ogni persona. Anche gli auguri a voce sono diventati rari. Si ricorre a comodi messaggi con lo smartphone. Purtroppo, per pigrizia o per conformismo, ci caschiamo quasi tutti. È ben più grave, poi, che lo smartphone sia diventato lo strumento per esprimere, perlopiù, come ha giustamente osservato lo storico Alberto Melloni, «un odio infelice». Un rancore profondo, in cui la gente sfoga le proprie frustrazioni sulle tastiere, senza freni inibitori, così che i social finiscono per diventare incubatori di antisemitismo, xenofobia, contumelie e volgarità. Una forma inedita di violenza verbale, osservabile fin troppo frequentemente. A maggior ragione, a Natale ricordiamoci di spegnere gli apparecchi elettronici e di dedicarci, dal vivo, alle persone più care, senza l’interruzione nefasta delle notifiche e dei segnali sonori dei messaggi in arrivo. Guardiamoci in faccia e non sul «libro delle facce», Facebook. Il nostro augurio per un Natale di sobrietà, nel rispetto dei poveri, dell’ambiente e dell’umanità delle persone.

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