Luoghi (non) comuni
Lunedì 04 Febbraio 2019
Se le lancette dell’orologio
della storia tornano indietro
C’è un’immagine che, a noi ragazzi degli anni Sessanta, è rimasta indelebile. Reykjavik, 1986, vertice tra Reagan e Gorbaciov. Il presidente sovietico arriva all’appuntamento addirittura in anticipo. Reagan glielo fa notare. Il russo consulta l’orologio. Quando ci si incammina davvero per la via della pace, non si indugia.
La nostra generazione ha trascorso gli anni fino all’inizio dell’età adulta sotto l’incubo della guerra nucleare, che, nello stesso tempo e paradossalmente, neutralizzò l’eventualità di un conflitto globale tra le due superpotenze. Una possibilità assolutamente catastrofica per l’intero genere umano, tale da cancellare, con le immediate, devastanti, distruzioni e le indelebili conseguenze di lungo periodo, qualsiasi distinzione tra vincitori e vinti. Del tutto insensata e impraticabile, tranne che per un ineffabile Dottor Stranamore (ricordate il capolavoro di Stanley Kubrick? Oggi ancora, quanto mai, attuale). In Europa vivevamo l’era della cortina di ferro, da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico, come la descrisse, efficacemente, Winston Churchill nel 1946.
Una tappa fondamentale della distensione tra Usa e Urss fu, nel 1987, l’intesa di Washington tra Reagan e Gorbaciov, in cui fu decisa la distruzione di 2.700 dei rispettivi missili a medio e a corto raggio, con una gittata tra i 500 e i cinquemila chilometri. L’accordo riguardava solo una piccola parte degli arsenali nucleari statunitensi e sovietici, ma rappresentava il primo passo sulla via del disarmo. Nel dicembre 1989 Gorbaciov e il nuovo presidente americano Bush (senior) misero a punto una strategia per trasferire preziosissime risorse dall’economia militare a quella civile. Nel luglio 1991, a Mosca, firmarono il trattato Start 1 (Strategic Arms Reduction Talks), con cui si stabiliva una concorde riduzione del 40 per cento circa degli armamenti nucleari e la contemporanea distruzione di quelli chimici.
Il 2 febbraio scorso, purtroppo, è ufficialmente terminata l’era dei grandi accordi sul disarmo nucleare. Dopo gli Stati Uniti di Trump, anche la Russia ha annunciato di voler uscire dal trattato del 1987, l’Inf, che proibì di schierare a terra missili di portata intermedia, appunto quelli tra 500 e cinquemila chilometri. Potrebbe essere l’inizio – Dio non voglia – di una nuova folle corsa agli armamenti se, nei prossimi mesi, le due superpotenze non troveranno un’intesa in extremis.
Washington sostiene che la Russia avrebbe già violato il trattato dell’87, schierando un centinaio di missili in grado di colpire l’Europa in una decina di minuti. Il Vecchio Continente, tra l’altro, potrebbe essere già raggiunto, in ogni momento, dalle armi intermedie, schierate su aerei, sottomarini e navi, non proibite dall’Inf. La Casa Bianca ha annunciato che, entro sei mesi, uscirà dal trattato. Se in questo periodo non si negozierà, è probabile che non sia prorogata nemmeno la fondamentale intesa sui missili intercontinentali, in scadenza nel 2021. Ci ritroveremmo in una nuova, inimmaginabile, guerra fredda.
Oggi il mondo di tutto ha bisogno fuorché di una nuova guerra fredda, ancor più insensata della prima, perché non ha nessuna motivazione ideologica, ma è mossa soltanto dalla bieca e, diciamolo, primitiva volontà di mostrare i muscoli. Tutto questo accade proprio nel momento in cui le nazioni più potenti dovrebbero, invece, unire gli sforzi per affrontare le vere sfide globali, a partire dal contrasto agli inarrestabili cambiamenti climatici e dalle connesse migrazioni di massa. Sorprende, poi, la pressoché totale assenza di un dibattito pubblico generale su questi temi. L’uomo della società contemporanea, ripiegato sul proprio smartphone, sembra chiuso nei propri mediocri interessi individuali. Quando sentirà suonare la sveglia?
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