La Storia è indispensabile
L’uomo è ciò che ricorda

Il tema storico non è stato eliminato dall’esame di maturità. Il ministro della Pubblica Istruzione, Marco Bussetti, ha spiegato: «La Storia è una disciplina importantissima, che attraversa tutte le altre. È alla base della cittadinanza. Il riordino del funzionamento dell’Esame di Stato ha evitato di relegare la Storia, come accadeva prima, a un’unica tipologia di prova. Ognuna delle tre tipologie previste potrà interessare, e interesserà, anche l’ambito storico, come previsto dai documenti che regolano la maturità 2019».

Una buona notizia dopo i timori circolati. Il compito istituzionale della scuola è quello di trasmettere alle giovani generazioni il patrimonio spirituale ereditato dal passato. Capiremo dalle tracce del giugno prossimo se le promesse saranno mantenute. Negli ultimi anni lo specifico tema storico era stato scelto da una minoranza, oscillante dal 4 a poco più dell’1 per cento nel 2018. Gli studenti non amano la Storia. All’Università confondono ancora, per esempio, Giolitti con De Gasperi, pensano che Aldo Moro sia stato un giudice impegnato nella lotta al terrorismo, spiegano il significato dell’acronimo Gap con «Giudice per gli appelli preliminari», anziché con i partigiani dei «Gruppi di azione patriottica». Anche i politici di oggi, purtroppo, sbagliano date ed eventi fondamentali. Le carenze in Storia non sono un male solo italiano, perché sono state accertate anche tra gli studenti tedeschi e inglesi. In Italia, però, la Storia è la cenerentola dell’Università: è stata registrata una diminuzione del 30 per cento dei docenti; Storia del Risorgimento è quasi scomparsa, Storia moderna in piena crisi. Nelle scuole superiori, normalmente, insegnano Storia docenti laureati in materie letterarie o in Filosofia, che possono aver sostenuto anche un solo esame specifico.

Insomma, siamo di fronte a un’amnesia collettiva sul nostro passato, aggravata dalla condizione di eterno presente della cultura di Internet, che mette a rischio la memoria e la stessa identità delle persone. La capacità di trattenere le informazioni nella mente, rielaborarle e costruirne una sintesi individuale, infatti, è la base non solo della conoscenza, ma della stessa identità personale. La coscienza di sé si realizza nell’uomo in virtù della memoria.

I grandi storici dell’antichità, Erodoto, Tucidide, Livio, Tacito, scrissero degli avvenimenti del proprio tempo. Altrettanto, nel Rinascimento, Machiavelli, Guicciardini, Sarpi. Sono parte della Storia anche gli accadimenti più vicini a noi, anche se, in questo caso, il compito dello studioso presenta particolari insidie e difficoltà. L’equilibrio del giudizio non significa neutralità nei confronti degli eventi e delle passioni del proprio tempo. L’assoluta imparzialità è un mito. La Storia educa all’uso corretto delle fonti, alla scrupolosa indagine dei fatti, alla meditazione severa sui dati. Un bell’antidoto ai deleteri difetti dei «social» imperanti, come la superficialità dei giudizi al posto dell’approfondimento, la polarizzazione in luogo del confronto dialettico, la deriva verso i pregiudizi, l’intolleranza, l’odio. La Storia insegna a comprendere piuttosto che a giudicare. Stefano Pivato, in «Vuoti di memoria», imputa il declino della Storia al crollo delle ideologie, ma anche alla trasformazione della famiglia, dove sono scomparsi i nonni, e persino al modo diverso in cui sono costruite le case, tutte uguali e non più con materiali del territorio.

Come insegnava Marc Bloch, l’«homo sapiens» è tale in quanto «historicus». Se si sradica dall’uomo la consapevolezza del passato, lo si riduce al primitivo abitatore delle selve. Senza la Storia non c’è vera conoscenza, non c’è né passato né presente consapevole. Un altro storico, Gabriele Pepe, ammoniva che la Storia serve a capire il presente, a offrire una giustificazione razionale alla vita e una speranza per il futuro. E ancora, Jules Michelet: «Colui che vorrà limitarsi al presente, all’attuale, non comprenderà l’attuale medesimo». Geoffrey Barraclough: «La nostra sola speranza di discernere le forze che attualmente operano nel mondo che ci circonda è di confrontarle saldamente al passato». Lucien Febvre: «Solo in funzione della vita la Storia interroga la morte». Walter Barberis spiega: «Se un anatomopatologo indaga su un corpo morto, lo fa non per riportarlo in vita, ma per individuare protocolli utili ai vivi. Così è la Storia, che non è fatta per sapere soltanto chi e quando ha fatto qualcosa, ma soprattutto per capire chi e perché ha preso certe malattie, in modo che noi oggi ci possiamo difendere». Barberis allude a nazionalismo, razzismo, autoritarismo ed è convinto che l’amnesia, il non ricordarsi del passato, sia parente stretto dell’amnistia, l’essere indifferenti verso i grandi crimini della Storia.

Non ci sono solo ombre, ma anche luci. Tra quelle locali, figura, sicuramente, l’apertura, in Città Alta, del Museo della Fotografia, un autentico tempio della memoria, non solo bergamasca. Positivo il recente successo di romanzi storici come «La ragazza con la Leica», dedicato all’amore tra Robert Capa e Gerda Taro, di Helena Janeczek e «Le assaggiatrici» (di Hitler) di Rosella Postorino, vincitrici agli ultimi Strega e Campiello. Generalmente buoni anche gli ascolti dei programmi televisivi dedicati alla Storia; confortante la presenza, nel mare magnum dei canali digitali, di reti come Rai Storia e Focus.

L’indagine del passato non deve limitarsi al nostro Paese. Occorre uscire dall’angustia della propria storia regionale o nazionale e aprire gli occhi alla considerazione di altre civiltà, del maggior numero possibile di genti, perché non c’è vicenda che non abbia risonanza oltre i limiti di spazio e di tempo nei quali si è prodotta. Ciò è tanto più vero in quanto il mondo contemporaneo si contraddistingue per l’interdipendenza globale. Anche dal diverso si accresce la consapevolezza di se stessi.

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