Il web assedia
il cinema in sala

Un monumento dei mezzi di comunicazione del Novecento – il cinema – è in agonia, almeno nella forma in cui l’abbiamo conosciuto e amato. Una malattia lunga, lenta, ma inesorabile. Tra le cause, c’è questo strumento multiforme e pervasivo, come mai nessun altro: il web. Impressiona il crollo verticale, da un anno all’altro, della qualità dei film nelle sale. Solo dodici mesi fa scrivevamo che al cinema era stato un gran bell’inverno.

Il miglior film, a nostro giudizio, era stato «Tre manifesti a Ebbing, Missouri», ottimi «L’ora più buia» e «The post». Struggente «Chiamami col tuo nome», ambientato nell’estate del 1983 a Crema e dintorni, con scene anche a Bergamo Alta e ai piedi delle cascate del Serio. Da vedere «Ella & John», il film americano di Virzì; «La forma dell’acqua», che abbiamo ammirato, ma non amato; «Il filo nascosto», forse un po’ sopravvalutato dalla critica. Buoni «A casa tutti bene» di Muccino e l’ultimo di Polanski, «Quello che non so di lei». Quest’anno il bilancio cinematografico dell’inverno è assai più scarno. «Green Book», giustamente vincitore agli Oscar, «Il corriere» di e con Clint Eastwood, «Il verdetto». «La favorita» non ci ha convinto. Tra gli italiani, salviamo solo «La paranza dei bambini», deludente il nuovo di Virzì, «Notti magiche». Tra gli altri europei, molto buono «Le nostre battaglie» di Guillaume Senez: peccato che l’abbiano visto in pochi. Sopravvalutato «Cold War».

Si fa sentire, sempre più forte e implacabile, la concorrenza dei film, non solo americani, prodotti direttamente per la rete – con Netflix che spende più di Hollywood – e delle serie tv, non solo americane, di qualità sempre più alta. Il cinema è in crisi da tempo, ma era sempre riuscito, in qualche modo, a resistere e a risollevarsi. Quest’anno, però, sono ben pochi i titoli davvero memorabili. Il cinema sta vivendo, forse, il momento della massima crisi. Il doppio assedio, nuovo del web e vecchio della tv, rischia di essere davvero fatale per il cinema di qualità. Restano i blockbuster, da vedere nelle multisale all’americana sgranocchiando pop-corn. E una sempre più ridotta produzione di qualità, da inseguire in giorni e orari molto ridotti e spesso disagevoli. Sono diventati film-evento, occasioni rare come un bel concerto o la conferenza di un autore importante. Oggi, al cinema, sono rimasti due tipi di pubblico radicalmente diversi. Così come la società di oggi sempre più polarizzata. L’erosione dell’offerta di sale cinematografiche, la crisi verticale di quelle d’essai e la crescita delle multisale sono fenomeni che hanno almeno vent’anni alle spalle.

La novità, oggi, è Netflix, che, diventata famosa grazie a serie tv come «House of cards», alla fine di settembre contava 137 milioni di abbonati in tutto il mondo, un fatturato di quasi dodici miliardi di dollari e un utile netto, già nel 2017, di quasi seicento milioni. Ora finanzia anche film di qualità, minando un’offerta adeguata nelle sale e confinando, ancora di più, il pubblico davanti ai propri pc, smartphone e tablet. L’ennesima dimostrazione della rivoluzione antropologica provocata da quella digitale. Un modello di visione casalingo e a basso costo, che può assestare il colpo di grazia alle sale italiane che già, tra il 2016 e il 2017, avevano visto crollare presenze e incassi, con una perdita complessiva di quasi 80 milioni di euro, secondo l’annuale rapporto dell’Anec, l’associazione degli esercenti.

Noto è il diverso approccio a Netflix da parte di Francia e Italia. Su «Roma» di Cuarón il direttore artistico del festival di Cannes, Thierry Frémaux, era stato categorico: «Netflix ha un modello economico che non vuole cambiare e la Francia ha una regola che dice che i film devono uscire nei cinema». Se fosse stato proiettato nelle sale, per la legge francese «Roma» sarebbe potuto andare in streaming solo dopo tre anni: alla fine Netflix ha preferito rinunciare.

A Venezia, invece, il direttore artistico, Alberto Barbera, ha spalancato le porte al film: grazie a questa opportunità, Netflix ha riscosso il primo grande successo internazionale come produttore diretto di un’opera d’autore. Mentre «Roma» si è potuto vedere anche nelle sale, «La ballata di Buster Scruggs» dei fratelli Coen, in Italia solo sulla piattaforma on line. «Netflix finanzia e fa film non mainstream: questo è molto importante a prescindere da come vengano distribuiti», ha dichiarato Joel Coen.

Il vero cinema era un’altra storia: sapeva congiungere, nelle sale, qualità, consenso del pubblico, socializzazione. Sta finendo un’epoca.

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