Bergamo l’altra Venezia
Festeggiamo i seicento anni

«Terra che ’l Serio bagna e ’l Brembo inonda» scriveva Torquato Tasso nel sonetto dedicato alla terra natale del padre Bernardo. La provincia di Bergamo conta oltre un milione e centomila abitanti. L’ottava italiana per popolazione e la terza, dopo Torino e Cuneo, per numero di Comuni: ben 243. Custodisce due siti Unesco: l’anno scorso le Mura venete si sono aggiunte al villaggio operaio di Crespi d’Adda, nell’elenco fin dal 1995 per preservarne l’eccezionale stato di conservazione.

«Ho attraversato il paese più bello del mondo», scriveva due secoli fa Stendhal dopo aver raggiunto Bergamo da Milano. Hermann Hesse, futuro premio Nobel per la letteratura, quando, nel 1913, venne a Bergamo, volle, da autentico turista d’Oltralpe, vedere un po’ tutto e si spinse oltre la cerchia delle Mura, salendo con la funicolare fino a San Vigilio. Da lassù Bergamo gli apparve come un osservatorio privilegiato per contemplare la vasta, fertile e popolata Pianura Padana. Anzi, la città arroccata tra il piano e le cime innevate era la sintesi di quel rapporto tra cultura e natura che, percorrendo l’Italia, ricercava. Bernard Berenson, il famoso critico d’arte, amava sostare ai tavolini dei caffè di Piazza Vecchia. Con un solo colpo d’occhio passava dalle atmosfere richiamanti eredità veneziane alle architetture medievali del Palazzo della Ragione e, oltre le profonde ombre dell’antico edificio, alla policroma facciata marmorea della Cappella Colleoni, un capolavoro del Rinascimento lombardo. Questo angolo di Città Alta è una sintesi della terra bergamasca.

Tra dieci anni è il seicentesimo dall’avvento della Repubblica di Venezia nel 1428. Una ricorrenza che città e provincia dovrebbero celebrare degnamente. Il leone in pietra che spicca sulle porte cinquecentesche e in altri luoghi è un omaggio riservato da Bergamo alla Terra di San Marco, in ricordo del periodo più caratterizzante della millenaria storia orobica. La Repubblica governò in modo saggio, assicurando un lungo periodo di tranquillità che favorì lo sviluppo. Insieme all’economia, furono incrementate l’arte e la cultura. Tra la magnifica capitale lagunare e la città situata al limite estremo dei suoi possedimenti di terra, si intrecciò, per secoli, un fitto scambio, di cui entrambe beneficiarono. Artisti e artigiani, mercanti e uomini d’arme, facchini e corrieri, poveri montanari e nobili raggiunsero Venezia per cercare fortuna o, almeno, per sottrarsi alla povertà e alle carestie. Bergamo e il suo territorio conobbero la bellezza dei capolavori del pittore veneziano Lorenzo Lotto, che vi soggiornò a più riprese nell’arco di tredici anni. Venezia deve all’architetto Mauro Codussi, disceso dalla Valle Brembana, insigni palazzi e splendide chiese. A Bartolomeo Colleoni affidò per vent’anni il comando delle forze di terra. Una galea con i colori di Bergamo, armata dalla città a proprie spese, solcò le acque di Lepanto, schierata contro i Turchi che minacciavano le rotte della Serenissima.

La maschera di Arlecchino, assurta a simbolo di Venezia e della Commedia dell’Arte, nacque, secondo la tradizione, a Oneta, in Val Brembana. All’origine del vestito multicolore c’è la leggenda di un bambino così povero che la mamma era costretta ad aggiungere all’abito continui rattoppi, fino a trasformarlo in una casacca variopinta.

Con un territorio per due terzi montuoso e non adatto a produrre cibo in quantità sufficiente per sfamare la popolazione, la Bergamasca è storicamente avara di risorse. Una condizione naturale a cui gli abitanti hanno sempre reagito con una straordinaria capacità di sopportare ogni genere di fatiche e con un’esemplare cultura del lavoro.

D’altra parte le caratteristiche geografiche del territorio, stretto tra Orobie a nord, i fiumi Oglio e Adda a est e a ovest, l’antico confine con il Ducato di Milano a sud, congiunte con l’indole dei residenti, hanno permesso la conservazione di qualità ambientali e storiche tuttora evidenti e il consolidarsi di una cultura dell’identità locale, preziosa quando non indulge al campanilismo.

Dal capoluogo, baricentrico rispetto al territorio, alla confluenza della Valle Seriana a est e della Valle Brembana a ovest, alla provincia, è possibile imbattersi nelle più varie testimonianze artistiche e paesaggistiche. Nel giro di pochi chilometri si passa dalla pianura ai laghi, dalla fascia collinare alle valli prealpine, fino alle montagne, che culminano nei 3050 metri del pizzo Coca.

La nascita delle arterie automobilistiche ha spostato il traffico dagli antichi tracciati compresi nell’area urbana, spezzando un territorio profondamente modificato, nel contempo, dalla crescita dei paesi dell’hinterland, saldatisi alla periferia del capoluogo, fino a costituire una vera e propria città metropolitana, anche se ufficialmente non riconosciuta, con circa il quadruplo dei centoventimila residenti del Comune di Bergamo. Un tempo il maggior polo occupazionale era il complesso industriale della Dalmine. Oggi, nell’era del terziario, si trova attorno all’aeroporto di Orio, il terzo in Italia sia per numero di passeggeri sia per traffico di merci. La Bassa, dopo la costruzione dell’autostrada e dell’alta velocità ferroviaria, vede insidiata l’originaria vocazione agricola. Nonostante queste novità, lo sviluppo moderno è stato, nella Bergamasca, meno irruente rispetto ad altre aree lombarde. Se non siamo stati ancora inghiottiti, però, dall’enorme conurbazione milanese, diventandone un banale satellite come molti altri, lo dobbiamo a un’identità ancora forte, di cui i tre secoli e mezzo di appartenenza alla Repubblica di Venezia costituiscono un elemento essenziale.

«Bergamo. L’altra Venezia» era il titolo di una bella mostra della Carrara dedicata, nel 2001, al Rinascimento negli anni di Lorenzo Lotto, un’attraente carrellata sull’impareggiabile stagione artistica vissuta nel primo quarto del Cinquecento. Nel 2028 saranno seicento anni dall’inizio della felice appartenenza alla Serenissima. Celebriamo la ricorrenza.

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