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In un anno ho rischiato di perdere mamma e papà

Monica Frigeni, responsabile commerciale dell’azienda Dastyflysim, racconta i momenti di angoscia vissuti durante il Covid-19 che ha contagiato entrambi i genitori

Se andiamo indietro due anni, cosa ricorda di marzo 2020, quando è scoppiata la pandemia nella nostra provincia?

«Proprio in quei giorni mia mamma era partita per Ischia e dopo una settimana in albergo mi ha comunicato che l’avevano chiusa in camera dicendo di non muoversi. I gestori avevano trovato un caso di positività in hotel e hanno deciso di evacuare la struttura mandando a casa le clienti scortate dalla Polizia. All’inizio non sapevamo se fosse anche lei positiva e così abbiamo deciso di portare il papà in un appartamento di villeggiatura sul lago per precauzione».

Una decisione che si è subito rivelata corretta.

«Sì, perché dopo 3 giorni la mamma ha iniziato ad avere febbre alta e tosse forte. Anche la sua dottoressa era positiva e non riusciva a visitarla, quindi abbiamo dovuto gestire una situazione molto complicata. Caso vuole, dieci giorni prima avevo conosciuto telefonicamente Giovanni Licini, il fondatore dell’Accademia dello Sport per la Solidarietà, che si è subito attivato per darci una grossa mano».

Ricordiamo che sono i giorni peggiori con la pandemia che ha messo letteralmente in ginocchio tutta la nostra comunità, comprese le strutture sanitarie.

«In ospedale erano in guerra e in un primo momento ci hanno consigliato di tenere a casa la mamma, prescrivendole un farmaco. Purtroppo però le sue condizioni si aggravavano e decisi di chiamare un’ambulanza. Ecco, era impossibile trovarne una libera, così mi sono affidata ad un servizio privato. Mia mamma però non voleva andare in ospedale, impaurita del fatto che rischiava di non vedere più i suoi cari. A casa da sola continuava a peggiorare, tanto che ho dovuto recuperare un saturimetro per monitorarla, ma a quel punto doveva scegliere se rimanere a casa e probabilmente morire o andare in ospedale per farsi curare. Decisi di richiamare l’ambulanza privata e in quel momento ho perso 10 anni di vita perché stavo facendo una cosa contro la sua volontà, con il timore di non vedere più mia mamma. L’abbiamo salutata tutti e tre i figli e le abbiamo dato il telefonino con cui tenerci in contatto».

A quel punto non c’era altro da fare che attendere buone nuove.

«Ricordo ancora come mia mamma piangesse e al pronto soccorso ci raccontava che c’era gente disperata che urlava. Dopo alcune ore di attesa è stata ricoverata in cardiologia con ossigeno. Tramite Giovanni Licini mi tenevo in contatto per essere aggiornata sulle sue condizioni di salute e fortunatamente dopo una settimana di febbre ha iniziato a migliorare. Devo ringraziare con il cuore gli operatori sanitari e in particolare il dottor Gianluigi Patelli che l’hanno coccolata durante le 3 settimane in ospedale, a cui è seguito il trasporto in una struttura esterna aspettando che diventasse negativa».

Come ha vissuto suo papà in queste lunghe settimane di preoccupazione?

«E’ stato da solo per 3 mesi con il parkinson in un villaggio deserto a Sirmione. Nonostante tutto è stato bravissimo e ogni giorno faceva la sua ginnastica, compresi 2 mila passi rigorosamente in casa. E’ stata una dura prova per tutti noi, mia mamma ha rischiato di morire e in ospedale sentiva continuamente storie di lutti. Fortunatamente abbiamo conosciuto Giovanni Licini, a capo di un gruppo straordinario di volontari, che mi rispondeva anche alle 4 di notte e in quel periodo non è mai stato fermo, recuperando tutti i giorni dispositivi, respiratori e la tac mobile arrivata dall’Olanda. Con la nostra azienda abbiamo deciso di contribuire sia per la strumentazione sia per i gel disinfettanti».

La vostra produzione è fra quelle che non si è mai fermata.

Sì e devo ringraziare tutti i nostri dipendenti che hanno compreso quanto fosse importante dare il nostro contributo in un momento così tragico per tutta la Bergamasca. Tutti hanno lavorato doppio turno per produrre gel disinfettanti da distribuire agli ospedali, alle forze dell’ordine e ai Comuni della Bergamasca. Ricordo che andavo in azienda e non c’era in giro nessuno».

Qualche mese più tardi anche suo papà ha contratto il Covid.

«A febbraio 2021, quasi un anno dopo rispetto a mia mamma, anche il papà ha preso il Covid durante la riabilitazione in una struttura ospedaliera. Dopo essere stato portato in ambulanza a Seriate, è stato trasferito ad Alzano con la polmonite. Trascorse tre settimane di cure, ha concluso la degenza a Gazzaniga. In queste esperienze ho potuto toccare con mano come il personale ospedaliero abbia dovuto affrontare un fenomeno troppo grande, rispondendo con grande forza e coraggio, indispensabili per salvare tantissime vite umane, comprese quelle dei miei genitori».

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