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Il pronto soccorso come un inferno dantesco

Riviviamo l’emergenza sanitaria in Bergamasca, grazie al supporto dell’Accademia dello Sport per la Solidarietà. Emilio Bailo racconta la sua esperienza diretta con il Covid-19

Cosa ricorda di quei giorni terribili, nella prima ondata della pandemia che ha sconvolto la Bergamasca a marzo 2020?

«Non è semplice parlare di questa esperienza, perché mi ha segnato più di tante altre nella mia vita. Io e mia moglie abbiamo iniziato ad avere i primi sintomi nei primi giorni di marzo 2020. Più passava il tempo e più crescevano i problemi, avevamo febbre e tosse ed era difficile ricevere risposte e supporto dal medico di base».

Visto il peggiorare delle vostre condizioni di salute, dalla vostra abitazione siete stati costretti ad andare in ospedale.

«Ad un certo punto è arrivata una telefonata provvidenziale da parte di mio cognato, che ci ha portato al Bolognini di Seriate per una Tac. Ci siamo infilati in macchina e nel deserto del lockdown, da Ponte San Pietro siamo arrivati alla struttura sanitaria di Seriate. Gli esami hanno subito sentenziato che soffrivamo di una polmonite interstiziale».

Stiamo parlando dei giorni peggiori della pandemia in Bergamasca, dove tutti ricordiamo le code fuori dagli ospedali. Come avete vissuto l’esperienza del ricovero?

«Nel mese di degenza, l’esperienza più drammatica è stata sicuramente al pronto soccorso del Bolognini di Seriate dove ci siamo trovati in un autentico inferno dantesco. Si vedevano persone accatastate su letti improvvisati che riempivano tutti gli spazi. I pazienti più anziani urlavano chiedendo aiuto e il personale sanitario correva da un malato all’altro. Dopo un giorno ci hanno trovato posto in reparto e hanno iniziato le cure».

In quella fase era impossibile avere contatti con amici e parenti. Come avete trascorso l’isolamento?

«Fortunatamente ero vicino a mia moglie e mi hanno aiutato molto i social. Grazie alla mia vasta rete di conoscenze e familiari (ho sei fratelli) ho ricevuto un supporto psicologico fondamentale tra messaggi e telefonate».

Passato il peggio, lei è stato portato in una seconda struttura sanitaria per completare il ciclo di cure.

«Sì, una volta dimesso dal Bolognini, sono stato accompagnato alla rsa di Scanzorosciate, un luogo ameno e blindato, prima di rientrare con grande emozione, a seguito del doppio tampone negativo, nella mia abitazione».

Cosa le ha lasciato dentro questa terribile esperienza?

«Innanzitutto il comportamento encomiabile di tutti gli operatori sanitari, in particolare delle infermiere, che hanno dimostrato tutta la loro professionalità ed empatia nei confronti dei pazienti. Un ruolo fondamentale l’ha svolto anche l’Accademia dello Sport per la Solidarietà con Giovanni Licini. In estate abbiamo trascorso qualche giorno di vacanza al sud Italia e ho incontrato diverse persone, da chi mi ha chiesto se ciò che aveva visto in televisione era veramente successo, ad alcuni giornalisti della Rai che, con le lacrime agli occhi, mi hanno espresso tutta la loro vicinanza per la tragedia vissuta in Bergamasca. Auspico una sola cosa: che i negazionisti si fidino di più della scienza.

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