Aveva fatto scalpore la scelta dell’attrice Angelina Jolie, che si è fatta rimuovere il seno (anche se sano) perché geneticamente predisposta a svilupparne un tumore. Ora uno studio dell’Istituto Nazionale Tumori (Int), pubblicato su Clinical Genetics, ha dimostrato che «le donne con predisposizione genetica al tumore del seno riducono in modo significativo la percezione del rischio e la paura di ammalarsi se si sottopongono alla chirurgia preventiva».
La ricerca ha analizzato in particolare le conseguenze psicologiche della decisione sulle strategie preventive (controlli periodici oppure chirurgia preventiva) in un campione di 120 donne italiane portatrici di una mutazione dei geni BRCA1 e BRCA2, correlati al rischio di sviluppare tumore al seno o alle ovaie. Dall’indagine è emerso che scelgono la chirurgia preventiva, e quindi di farsi operare ancora sane per scongiurare un possibile tumore futuro, il 30% delle donne che non hanno mai sviluppato un tumore e il 62% di coloro che invece hanno già ricevuto una diagnosi oncologica.
«I risultati - dicono gli esperti dell’INT - indicano che l’intervento non sembra influenzare la condizione psicologica generale e la qualità di vita di queste donne ma riduce significativamente la loro paura di potersi ammalare in futuro».
«Lo studio - proseguono gli esperti dell’Istituto Tumori - ha anche evidenziato un buon livello di soddisfazione espresso dalle donne rispetto alla scelta effettuata, rilevato a 15 mesi dalla diagnosi genetica: sia le donne che hanno optato per la chirurgia preventiva sia quelle che hanno scelto il programma di sorveglianza esprimono una soddisfazione di poco inferiore al 4 su una scala da 1 a 5. Livelli di soddisfazione leggermente superiori sono manifestati dalle donne sane che hanno optato per la chirurgia preventiva».
I risultati, commenta il direttore scientifico dell’Int Marco Pierotti, «hanno mostrato una buona soddisfazione nelle donne, a prescindere dalla decisione che hanno preso. Questo conferma un buon livello di informazione nel percorso di orientamento alla scelta finale. Uno degli obiettivi dei medici è affiancare il paziente aiutandolo a prendere una decisione consapevole adatta alle singole esigenze. Un’ulteriore conferma che i percorsi terapeutici devono essere sempre più personalizzati».
Tra le donne portatrici di una mutazione nei geni BRCA1 e 2, quelle che non hanno mai avuto un tumore sono generalmente più giovani, con un’età media di 39 anni. L’85% era già a conoscenza di una mutazione nella loro famiglia; sette su dieci hanno optato per controlli costanti, mentre il 30% ha scelto la chirurgia preventiva. «Questo gruppo di pazienti - dice l’Int - ha necessità di integrare le scelte preventive con i progetti di vita in fase di sviluppo, come matrimonio, maternità o scelte lavorative».
Le donne che invece avevano già sviluppato la malattia in passato hanno un’età media di 47 anni. «Il 90% di loro non era a conoscenza in precedenza della mutazione nella propria famiglia. Hanno scelto la sorveglianza nel 38% dei casi e nel 62% hanno optato per la chirurgia preventiva. Queste donne, che hanno già affrontato l’esperienza della malattia e delle cure, vedono nelle opzioni preventive una possibilità concreta di evitare di ripetere un’esperienza dolorosa».
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