Il progressivo invecchiamento della popolazione e l’aumento dei casi di scompenso cardiaco tra i giovani, sono tra le ragioni per cui sta crescendo la necessità di ricorrere alla riabilitazione cardiologica. Un passaggio fondamentale nel percorso di recupero della salute di un paziente, che molto spesso accede alle strutture riabilitative dopo una fase acuta, caratterizzata da un periodo più o meno lungo di ricovero in ospedale.
Oggi chi entra in un centro di riabilitazione, può trovare all’interno della struttura un’équipe medica molto strutturata, che si occupa della propria presa in carico a 360 gradi e che, oltre alla stabilizzazione clinica, provvede a seguire il paziente fino al termine di quel percorso di riabilitazione, a volte piuttosto lungo, che non può esaurirsi con il ricovero di qualche giorno in un centro specializzato.
«I pazienti che accedono alle strutture riabilitative sono perlopiù coloro che hanno subito un intervento chirurgico – spiega Felice Valle, cardiologo all’Istituto Quarenghi di San Pellegrino – e che dopo alcuni giorni di ricovero, le strutture ospedaliere non sono più in grado di trattenere, perché i posti sono limitati e le richieste purtroppo sempre molto alte». Da qui la necessità di transitare per qualche giorno in una struttura intermedia (che generalmente viene individuata dall’ospedale, prima delle dimissioni) che si prenda cura del paziente, prima del suo ritorno a casa.
«Rispetto al passato, oggi sono molto più numerosi i casi di scompenso cardiaco. La cardiopatia ischemica, vale a dire l’infarto, resta la patologia più diffusa, tuttavia il miglioramento delle cure e il progressivo aumento dell’età media della popolazione, sta portando all’interno delle nostre strutture un numero di pazienti anziani sempre più alto».
Per questo è necessario che un centro riabilitativo sia in grado di offrire un approccio integrato: «Nei casi più complessi, realtà come la nostra provvedono innanzitutto alla stabilizzazione del quadro clinico del paziente – dice ancora Valle –. Ma il nostro ruolo non si esaurisce così, anzi: è importante, per esempio, correggere i fattori di rischio, per ridurre la mortalità nel futuro. Per noi l’aspetto dell’educazione sanitaria è molto importante: per un fumatore che ha avuto un infarto, la riabilitazione serve anche per cercare di dedicare del tempo all’educazione sanitaria».
E qui sta il cuore dell’attività di un centro di riabilitazione, in cui un paziente resta mediamente 10-15 giorni, più di rado fino alle tre settimane previste come limite massimo dal sistema sanitario nazionale.
«Oltre alla parte gestita dal cardiologo – racconta il dottor Valle – il periodo di riabilitazione è fatto anche di training fisico, ovvero esercizi in palestra, finalizzati a una graduale ripresa della confidenza con la vita di tutti i giorni. E poi c’è, appunto, quella che chiamiamo l’educazione sanitaria, fatta di incontri con i pazienti in cui si spiegano i fattori di rischio legati alle loro patologie. Questa fase viene gestita, se necessario, anche da uno psicologo. L’impegno è dunque quello di intervenire anche su altre problematiche, che spesso rappresentano una o più concause della patologia in atto. Per questo nelle strutture sono presenti tanti professionisti».
In altre parole, si cerca di dare ad ognuno una sorta di decalogo di buone pratiche, per proseguire con la riabilitazione anche dopo le dimissioni: « Il nostro obiettivo è quello di dare a tutti gli strumenti necessari per una corretta attività domestica, se necessario preoccupandoci anche di individuare i supporti per un’adeguata assistenza domiciliare – spiega ancora Valle –. L’aspetto dell’educazione sanitaria è senz’altro tra i più importanti nella nostra attività, perché è evidente che se non si ha una condotta adeguata tornando a casa, altre complicanze potrebbero insorgere, rendendo parzialmente vano il lavoro svolto nei centri specializzati».
© RIPRODUZIONE RISERVATA