Scarpe aperte e sandali. E per l’alluce
sono dolori

Non sempre la soluzione è quella chirurgica. Inizialmente si usano antidolorifici o gli ultrasuoni. Ne parliamo con Vincenzo Ruggiero Perrino, ortopedico dell’Unità di Ortopedia e Traumatologia di Humanitas Gavazzeni.

C’è una patologia la cui percezione diventa maggiore in primavera-estate, quando si torna a indossare scarpe aperte e sandali, in quanto altera la forma del piede: l’alluce infatti, deviando dalla sua naturale posizione e spostandosi verso le altre dita, forma un angolo innaturale. Siamo quindi in presenza dell’alluce valgo che, oltre al fattore estetico, provoca un dolore che a volte può diventare talmente intenso da non permettere di utilizzare qualsiasi paio di scarpe o, addirittura, di camminare. Ne parliamo con Vincenzo Ruggiero Perrino, ortopedico dell’Unità di Ortopedia e Traumatologia di Humanitas Gavazzeni.

L’alluce valgo è una patologia «rosa»?
«Il senso comune ritiene che sia una patologia rosa perché colpisce molto più le donne con un’età superiore ai 40 anni che gli uomini, ma anche questi ultimi ne sono affetti. Le cause dell’alluce valgo sono da imputare al sovraccarico sull’avampiede, al sovrappeso, all’utilizzo di calzature scorrette come le scarpe a punta (non necessariamente a tacco alto). Si tratta comunque di fattori che intervengono spesso su un substrato genetico: esiste infatti una chiara predisposizione familiare, che peraltro è più evidente negli uomini, che sviluppano l’alluce valgo “ereditandolo” dalla madre”. Da ricordare anche che lo spostamento di uno dei punti di appoggio del piede può portare a sua volta ad un’altra frequente patologia dell’avampiede cioè la metatarsalgia con dita “en griffe” (dolore alla base dei metatarsi)».

Come si diagnostica l’alluce valgo?
«Pur avendo una presentazione clinica molto evidente, per diagnosticare l’alluce valgo occorre effettuare una visita specialistica con l’ortopedico, che prescriverà esami specifici (radiografie del piede in carico) ed, eventualmente, una valutazione podologica e baropodometrica per meglio studiare la patologia e individuare la migliore strategia terapeutica».

La soluzione è sempre chirurgica?
«Non sempre. Inizialmente, per gestire i sintomi, diversi sono i trattamenti che lo specialista può suggerire che possono essere antidolorifici o antinfiammatori, oppure, effettuare terapie fisiche come ultrasuoni a immersione o onde d’urto; può essere di aiuto anche adottare piccoli accorgimenti quali l’utilizzo di divaricatori, notturni o diurni, ortesi, plantari realizzati dal podologo che possono essere utili nelle fasi iniziali della malattia. Però, per risolvere definitivamente il problema, bisogna ricorrere al trattamento chirurgico perché è l’unico che può risolvere definitivamente il problema. Viene proposto alle persone che soffrono di questa patologia non per motivi estetici, ma per evitare o ridurre al minimo il dolore».

Gli approcci chirurgici per affrontare correttamente questa patologia sono diversi?
«Certamente, a seconda delle diverse deformità esistono varie tecniche chirurgiche. Oggi, in casi selezionati, è possibile effettuare la correzione dell’alluce valgo attraverso la chirurgia percutanea mini-invasiva, con incisioni molto piccole, attraverso cui vengono effettuate le adeguate osteotomie correttive (tagli dell’osso) per ripristinare il corretto orientamento dell’alluce. L’intervento dura circa 30 minuti e viene eseguito in anestesia loco-regionale mediante il cosiddetto ankle-block, vale a dire una procedura che anestetizza l’arto soltanto dalla caviglia in giù. La chirurgia mini-invasiva ha portato con sé importanti conseguenze pratiche per il paziente: i tempi di recupero sono più veloci e, dato che non si utilizzano mezzi di sintesi, non occorre riportare il paziente in sala operatoria una seconda volta per rimuoverli. La correzione della deformità viene mantenuta attraverso un bendaggio per quattro settimane circa, sostituito poi da un taping; grazie a una scarpa ortopedica che si dovrà portare per circa un mese, il paziente può tornare subito a camminare e riprendere le sue attività abituali».

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