La salute / Bergamo Città
Domenica 25 Marzo 2018
La protesi d’anca
non fa più paura
La patologia d’anca si può manifestare con piccole avvisaglie, quali un fastidioso dolore all’inguine, alla regione glutea o alla coscia quando semplicemente si sale o scende dalla macchina. Oppure quando si sente la necessità di fermarsi un momento, prima di mettersi in cammino dopo essere stati fermi seduti o sdraiati a lungo. In altri casi si manifesta la difficoltà progressiva nel vestirsi con la necessità di accorgimenti per mettersi calze e scarpe.
Può diventare dolorosamente difficile sedersi su sedute basse, come accade anche nel bagno di casa, salire in bicicletta. Oppure si rende necessario ridurre la propria autonomia fuori casa, nonostante l’aiuto di un braccio amico o di un appoggio. Persino la comparsa di una vaga lombalgia potrebbe essere un’avvisaglia che qualcosa all’anca non va bene.
In questi casi stiamo parlando di soggetti che potrebbero necessitare di un intervento di artroprotesi d’anca, dopo essersi sottoposti ai dovuti accertamenti e consulenza specialistica ortopedica. Il dr. Carlo Maria Sinicato, chirurgo ortopedico di Habilita, è specializzato nell’inserimento di protesi d’anca e spiega con un semplice esempio che cosa succede in caso di patologia dell’anca: «Immaginate di avere una cascata di ingranaggi all’interno del vostro organismo. Quando uno di questi funziona in modo non corretto, inizia a condizionare quelli vicini, provocando dolore sia nella sede dell’anca che in altre sedi. Si rende quindi necessario intervenire con un intervento chirurgico di protesi d’anca. Viene quindi rimosso il cosiddetto ingranaggio malfunzionante e sostituito con uno nuovo in grado di far tornare al corretto funzionamento tutti gli altri ingranaggi».
Ma per quale motivo si può essere vittime di questa patologia? «Ci sono diverse possibili cause – prosegue il Dr. Sinicato – che vanno dalle patologie di tipo infiammatorio, a quelle di tipo traumatico (frattura di bacino o di femore), oppure le patologie di tipo degenerativo, più lenta nella sua manifestazione, ma che rappresenta la genesi dell’artrosi d’anca nella sua forma più diffusa. La prima cosa da fare è quella di rivolgersi inizialmente al proprio medico di base e poi, in seguito ad uno specialista: nella maggior parte dei casi viene effettuata una semplice radiografia e si può stabilire l’entità del problema. In altri casi, quando ad esempio il soggetto soffre anche di altri problemi come le algodistrofie o le prenecrosi, è il caso di effettuare anche una risonanza magnetica per capire meglio la situazione complessiva».
Oggi l’intervento di protesi d’anca è meno invasivo rispetto a qualche anno fa. «Trent’anni fa si rimaneva allettati a lungo: ora ci si può permettere di avere tempi di recupero ridotti con risultati finali eccellenti anche in età avanzata. Ci sono tecniche chirurgiche che si sono evolute negli anni proprio per permettere un recupero veloce e una ospedalizzazione ridotta. La tecnica mininvasiva che sfrutta l’accesso anteriore permette di evitare il sezionamento di tendini o muscoli, la riduzione di perdite ematiche e consente quindi una ripresa più veloce da parte del paziente».
Quanto dura una protesi d’anca? «Se viene utilizzata in modo adeguato, quindi senza stravolgimenti delle proprie abitudini (evitando ad esempio un eccessivo aumento di peso o un’esagerata attività fisica) si può ragionevolmente parlare di una durata della protesi che va dai 15 fino ai 30 anni. La letteratura internazionale dice che un paziente sotto i 50 anni che è stato sottoposto a questo intervento subirà certamente un reimpianto; un paziente con età fino a 60 è comunque probabile che ciò accada, mentre oltre i 60 difficilmente può verificarsi il caso in cui sia necessario un reimpianto».
Quanta riabilitazione è necessario compiere per recuperare da questo tipo di intervento? «In condizioni normali – conclude il Dr. Sinicato – parliamo di pochi giorni per riacquisire la completa mobilità senza problemi».
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