La salute
Martedì 24 Febbraio 2009
Alzheimer: scoperte
le proteine coinvolte
Il professor Giulo Maria Pasinetti ha vissuto in Borgo Canale fino all'età di 25 anni, ma da altrettanti anni vive negli Usa, a New York, dove lavora alla «Mount Sinai School of Medicine». E' lui che ha scoperto le 6 proteine coinvolte nei processi degenerativi del cervello colpito dal morbo di Alzheimer.
Giulio Maria Pasinetti, bergamasco (nato e cresciuto in Borgo Canale, dove ha vissuto fino all’età di 25 anni), professore di Geriatria psichiatrica alla «Mount Sinai School of Medicine» di New York, dove dirige il centro di Medicina integrata e Sanità mentale, è uno dei maggiori esperti mondiali per la ricerca di nuove terapie della malattia e uno dei degli scienziati che certamente più ha contribuito nell’ultimo ventennio alla diagnosi e allo studio di nuovi possibili trattamenti del morbo. Con i suoi studi, il prof. Pasinetti hareso possibile una delle scoperte più importanti nel campo della ricerca della malattia, dimostrando - per esempio - che una possibile causa dell’Alzheimer potrebbero essere gli sproporzionati accumuli di una proteina – la beta amiloide – che si deposita nel cervello sotto forma di «placche».
E’ stato proprio il contributo di Pasinetti, circa dieci anni fa, a stabilire la connessione tra queste placche e l’innesco dei processi infiammatori responsabili del danneggiamento irreversibile delle cellule cerebrali. Questa scoperta ha dato la possibilità di sviluppare nuove ricerche sui processi infiammatori distruttivi del cervello, di studiare nuove terapie e di ipotizzare alcuni test sperimentali, inclusa l’attuale sperimentazione di un vaccino per la malattia. La densità dei depositi di beta amiloide è tutt’oggi usata come un indice diagnostico della malattia.
Dieci anni dopo, però, Pasinetti e i suoi collaboratori sembrerebbero rivoluzionare l’ipotesi che la densità di questi depositi sia un test diagnostico universale della malattia. Nuovi studi - che Pasinetti pubblicherà nel marzo prossimo negli Stati Uniti - suggeriscono, per esempio, che anche l’età dell’insorgenza della malattia influirebbe in maniera fondamentale sul suo sviluppo, unitamente alla presenza o meno di alcuni indici diagnostici, come appunto i depositi di beta-amiloide.
Nei suoi nuovi studi, inoltre, Pasinetti sembrerebbe aver scoperto che nel cervello dei pazienti malati di Alzheimer ultranovantenni o centenari, i segni del morbo sarebbero indistinguibili: in pratica il loro cervello sarebbe uguale a quello dei soggetti della stessa età con attività mentali completamente preservate.
E allora qual è la causa di demenza di Alzheimer nei pazienti centenari? Pasinetti e i suoi collaboratori, nel loro nuovo studio, fatto esaminando circa 30.000 geni cerebrali in pazienti Alzheimer centenari, hanno identificato 6 proteine coinvolte nei meccanismi di supporto energetico del cervello che sembrerebbero alterate nei pazienti centenari malati di Alzheimer, indipendentemente dalla densità dei depositi di beta amiloide.
«E’ certamente una scoperta strepitosa - dice Pasinetti - se consideriamo che il numero di centenari ad altissimo rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer passerà dagli attuali 4 milioni ai 22 milioni previsti nel 2050 soltanto negli Stati Uniti, così come anticipato da un recente proiezione "anagrafica" fatta negli Usa. Se saremo in grado di capire come riattivare queste proteine che regolano l’attività energetica del cervello dei malati di Alzheimer ultranovantenni o centenari - prosegue Pasinetti - saremo in grado di prevenire un vera e propria catastrofe generazionale e di restituire una migliore qualità di vita a questo gruppo di popolazione che nel 2050 rappresenterà il segmento generazionale con il più rapido livello di crescita. E se pensiamo che nel 2050 il numero degli ultranoventenni statunitensi sarà simile al numero dei quindicenni – conclude Pasinetti -, è bene che si inizino a rivedere a livello internazionale le priorità in termini di investimento per la ricerca e per la costruzione di infrastutture adeguate per un cambiamento generazionale così radicale mai avvenuto prima a memoria d’uomo».
Alberto Ceresoli
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