Non sempre le azioni sono la realizzazione cosciente dei pensieri. Molti nostri comportamenti prendono vita a livello inconscio, nelle aree filogeneticamente più antiche del cervello. È quanto afferma un gruppo di ricercatori europei, tra i quali c’è anche un italiano. Un medico africano residente in Svizzera, diventato cieco a causa di due ictus emorragici successivi, è il protagonista riluttante dello studio. Completamente dipendente dalla moglie, oltre alla vista ha perso anche l’interesse per il suo lavoro e per la scienza. Inizialmente scettico, si è poi prestato a questa importante prova. L’uomo, senza alcun supporto né aiuto, è riuscito a camminare agevolmente lungo un corridoio dove erano stati posizionati numerosi ostacoli, tra cui sedie, scatole, cumuli di carta, evitandoli, quasi li vedesse. La conclusione della performance è stata salutata dall’applauso spontaneo dei ricercatori presenti. Beatrice de Gelder, dell’università olandese di Tilburg, è l’entusiasta neuroscienziata che ha coordinato il progetto, pubblicato sulle pagine della prestigiosa rivista Current Biology. L’entusiasmo è più che giustificato. Questo è il primo studio che mostra l’esistenza della cosiddetta “visione cieca” o blindsight, cioè la capacità innata di “sentire” gli oggetti mediante l’utilizzo di un sistema visivo primitivo, sottocorticale e totalmente subcosciente. Le persone che subiscono le stesse lesioni del medico africano non sono più in grado di avere un’immagine mentale dell’ambiente circostante, tuttavia reagiscono alle informazioni visive. È la prima volta che la blindsight viene osservata in un individuo con entrambi i lobi visivi completamente danneggiati. Ed è la prima volta che viene descritta nella specie umana. L’unico precedente è infatti la scimmia Helen, anch’essa vittima di una lesione bilaterale della corteccia visiva. Questa scoperta è la prova che, oltre alla corteccia visiva, altre aree del cervello possono elaborare gli stimoli visivi. Questa idea cominciò a prendere forma nel 1973 al Massachusetts Institute of Technology, grazie alle ricerche di Richard Held, Ernst Pöppel e Douglas Frost. Gli scienziati ipotizzarono l’esistenza di due circuiti attraverso cui possono viaggiare gli stimoli visivi. Un circuito proietta gli stimoli dalla retina, mediante il nervo ottico, al corpo genicolato laterale e quindi alla corteccia visiva, una porzione della corteccia occipitale. Un altro circuito supera la corteccia visiva arrivando direttamente alle aree sottocorticali, tra cui il collicolo superiore, responsabile dei movimenti oculari e l’amigdala, sede delle emozioni. Le tecniche di brain imaging rivelano l’attività di queste aree sottocorticali, capaci di elaborare le informazioni visive, il medico può infatti riconoscere l’ambiente circostante e intuire l’espressione del viso dei presenti. Diversamente dalle persone cieche fin dalla nascita o a causa di malformazioni, nelle quali il sistema visivo si sviluppa in maniera anomala, il medico africano ha mantenuto l’integrità delle aree sottocorticali, che si sono sostituite alla corteccia visiva completamente danneggiata, permettendogli di “vedere”. Le cellule di questo circuito arcaico possono registrare la qualità dell’ambiente circostante con puntuale efficacia. È così che possiamo allontanarci prontamente da una porta che si apre all’improvviso ed è così che gli animali con una vista scarsa possono muoversi rapidamente sul territorio. Tutto avviene a livello inconscio. Beatrice de Gelder afferma che utilizziamo facoltà cerebrali nascoste più spesso di quanto pensiamo e inconsciamente facciamo cose di cui ci riteniamo incapaci razionalmente. La prova del medico africano è di grande valore perchè offre alle persone che vivono la sua stessa condizione la possibilità di accrescere con l’esercizio un’abilità nascosta, primitiva, inconscia. Non promette di restituire la vista, ma di vedere la luce attraverso indipendenza e autostima sempre più grandi. Marina Ferrario