L'Eco della vita / Bergamo Città
Giovedì 02 Aprile 2020
«Torneranno di corsa sui banchi
Saranno più grandi»
Questo spazio è dedicato ai lettori che ci scrivono per condividere i loro sentimenti, i progetti in questo momento di isolamento forzato per combattere il coronavirus. Scrivete al nostro indirizzo email: [email protected] oppure attraverso la pagina Facebook de L’Eco di Bergamo.
Diamo spazio, qui e sul giornale, ai lettori che vogliono condividere i sentimenti, i progetti in questo momento di isolamento forzato per combattere il coronavirus. Scrivete al nostro indirizzo email: [email protected] oppure attraverso la pagina Facebook de L’Eco di Bergamo.
Molti ci mandano foto di bambini: è importante che nella mail entrambi i genitori autorizzino, anche indicandolo semplicemente nella email, la pubblicazione dell’immagine.
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La Bergamo che non avete mai visto
Una città che lotta in silenzio - Guarda il video
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Le preoccupazioni e le speranze che vive oggi il mondo della scuola. Ce le racconta una docente che ci ha scritto questo racconto.
Covid-19 mi ha insegnato cos’è la nostalgia. A stare vicino a chi ne ha bisogno. Mi ha insegnato che tutto nella vita va affrontato con la forza di un leone e la leggerezza di una farfalla».
Scrive così Martina, 13 anni, una cascata di capelli biondi e tanta voglia di imparare. E sono solo alcuni dei passaggi della sua ultima attività di scrittura. Gliel’ha chiesto la sua prof, certo, una delle tante che in queste settimane ha cercato di arrivare non solo nelle case degli alunni, ma anche nei loro cuori. Un invito a scriversi e raccontarsi, come ha fatto Emma:
«Il Coronavirus mi ha insegnato che i miei genitori non sono invincibili. Mi ha insegnato cosa vuol dire sofferenza».
Ci siamo rimboccati le maniche
E tu lo sai il significato di queste parole, perchè qui - a Nese diAlzano Lombardo, da cui gli studenti scrivono – tante sono le famiglie direttamente toccate. Come quella di Michele, che vuole condividere con te la preoccupazione di quella notte in cui il papà è stato portato in un ospedale lontano, fuori provincia. E avverti la forza e la voglia di sognare di Nicole, che guarda con fiducia al poi: «Torneremo ad abbracciarci. Torneremo a cantare sotto la pioggia. Torneremo a non sentire un’ambulanza ogni ora. Torneremo ad essere spensierati, a incontrare chi amiamo. Torneremo ad essere felici».
Così ti rendi conto che la scuola adesso serve. Sostiene, occupa la mente, assicura ai ragazzi che – pur fra mille incertezze – la parola “futuro” ha ancora un valore. Anzi, è un valore su cui investire. Per il quale, nonostante tutto, faticare.
Ecco il senso di quella circolare ministeriale inviata pochi giorni fa alle scuole, sulla didattica a distanza, toccando pure l’annosa questione della valutazione. Certo, ancora tanti i punti oscuri. Sui quali forse la scuola si è trovata spiazzata o ai quali deve dare risposte. E ci sarà tempo per quelle.
Ma la nostra è anche una scuola che ha saputo prendere in mano la regia, il più delle volte dal basso. Rimboccarsi le maniche. Team che si sono scoperti più uniti di prima. Perchè tanti sono i docenti che interrogano prima di tutto se stessi, sui contenuti da proporre, sui messaggi da dare, per essere accoglienti e professionali al tempo stesso...
Ma quel “I care” di don Milani che ha ispirato generazioni di professionisti della scuola, oggi è più vivo che mai nell’esercito dei maestri e dei prof. Che vorrebbero bucarlo il video per andare ad abbracciare i loro alunni. Insomma, bando alla burocrazia e alla privacy. Ora con gli studenti si fa scuola pure via Skype e whatsapp, ci si confronta in Meet e si verifica in streaming. Fra riflessioni e proposte, c’è pure qualcuno – un lettore al nostro giornale - che auspica di “rimodulare il calendario scolastico”, al contempo ipotizzando pure di sentire già “le urla di protesta del mondo della scuola”. Altrimenti detto: vai a proporglielo tu, a maestri e prof di lavorare nei mesi estivi. Ma dire o pensare così sarebbe come offendere una categoria, nel suo insieme, di italiani. Di quelli - maestri e prof - che ci stanno provando a darsi da fare, pur fra difficoltà e dubbi. Pare di sentire, unanime, il loro coro.
Ora sanno cos’è la paura
Perchè loro lo sanno che le ferite, oggi, sono anche dei più giovani. Di Covid-19 solo apparentemente i più giovani non si ammalano. Portano in realtà ferite profonde. I nostri bimbi, i ragazzi, gli adolescenti, ci osservano, percepiscono le nostre paure. Tutte. Preferirebbero, questa volta tornarci sui banchi. Eccome: lo farebbero di corsa. E quando lo faranno, saranno più grandi di prima. Sapranno cos’è la paura. Avranno compreso il senso del rispetto delle regole. Saranno più autonomi. Pur se con qualche contenuto disciplinare in meno. Ma anche con tanta voglia di correre, saltare, giocare, sfiorarsi. Di guardare il cielo, vivere esperienze. Tirare calci al pallone, sbucciarsi le ginocchia, sfrecciare in bicicletta. E respirare quell’aria che oggi – ricordiamocelo – Covid 19 toglie pure a loro.n
Paola Valota - docente Ist. comprensivo Rita Levi-Montalcini di Alzano L.
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