Domenica la Giornata del malato
La storia di Cecilia, la gioia nel dolore

Sabato alle 20,30 fiaccolata intorno all’ospedale «Papa Giovanni XXIII». Domenica alle 16 a Scanzorosciate la messa con il vescovo.

Domenica è la Giornata mondiale del malato, istituita a Lourdes da Giovanni Paolo II nel 1992. Nella Bergamasca l’appuntamento è a Scanzorosciate, nella chiesa parrocchiale, dove alle 15.30 è prevista la recita del Rosario. Alle 16 il vescovo Francesco Beschi presiederà la messa animata dai gruppi di Unitalsi, Oftal e Cvs. Sabato 11 febbraio, la nostra diocesi propone una fiaccolata notturna lungo il percorso esterno attorno alle torri dell’ospedale Giovanni XXIII. Alle 20,30 si avvierà il cammino in una sorta di abbraccio simbolico a chi è ricoverato lì o in altri luoghi di cura. Terminata la fiaccolata don Michelangelo Finazzi, direttore dell’Ufficio diocesano di pastorale della Salute, insieme ai frati cappellani, guiderà un momento di preghiera e di riflessione all’interno della chiesa dell’ospedale.

In occasione della Giornata mondiale del malato, raccontiamo la storia di Cecilia, affetta da amiotrofia spinale. Una testimonianza di gioia nel dolore della malattia.

Cecilia ha una casa, un papà e un sorriso. Grandi, tutti e tre. Nei giorni scorsi ha festeggiato il suo sessantesimo compleanno e canta il suo «Alleluja» alla vita, nonostante proprio la vita le chieda ogni giorno di superare la fatica, di guardare in faccia la malattia e di non lasciarsi alle spalle la speranza. Cecilia Mangili vive a Valbrembo con il papà Egidio di 89 anni. L’amiotrofia spinale di cui è affetta le ha tolto la possibilità di camminare fin da piccola e nel tempo le ha limitato l’uso delle braccia e delle mani. Rimasta orfana della mamma a 18 anni, dopo la scomparsa poco tempo prima dei due fratellini, colpiti dalla sua stessa malattia, Cecilia ha iniziato la sua vita con il padre. Tanta paura per il futuro e la convivenza sotto lo stesso tetto di due anime, entrambe bisognose di serenità e attraversate dal dolore.

«Ricordo la sensazione di smarrimento – racconta Cecilia – e il peso che sentivo nel dover sempre più dipendere dagli altri mancando di una mia autonomia. A salvarci è stata la fiducia che l’un l’altro ci siamo donati. E la fede che ha preso casa nella nostra vita. Avevo la visione di un Dio lontano che, piano piano è diventato esperienza di fiducia sperimentata. Il Dio che vedevo sopra le nostre vite ho imparato a sentirlo fratello in croce, in mezzo ai tanti crocifissi della terra. È un Dio Padre, fratello, tenerezza, compagno di croce».

Oggi abita la sua stanza come un raggio di sole, vestita di abiti colorati, il viso illuminato da un sorriso accogliente e una voce cristallina. «Riconosco il bisogno concreto di aiuto che ho ogni giorno, ma è fondamentale il passaggio in cui non guardiamo come assoluti i nostri guai, ma spalanchiamo gli occhi verso ciò che ci circonda per capire come essere responsabilmente presenti nelle situazioni. Dobbiamo togliere il ripiegamento sulla nostra sofferenza per diventare creativi e costruttivi. Io se concretamente non posso “fare”, posso però dire, essere, ascoltare. Alle persone disabili si riconoscono più facilmente diritti che doveri. Il mio dovere era di mettermi “in movimento”. È un processo che richiede pazienza e accettazione. La mia vita mi ha insegnato molto, a non sentirmi un fiore reciso, ma una pianta viva. All’interno della malattia c’è spazio per la serenità e anche per la gioia».

Nella sua casa, come lei dice, «Provvidenza e amicizia hanno dato i loro frutti». Attorno a lei si è creata in modo spontaneo una rete di amicizie che, oltre a provvedere alle necessità concrete, diventano il segno di una vita feconda di legami, di affetto e di vicinanza reciproca. Tra i tanti amici c’è Angela Curti, di Zogno, che in casa Mangili trascorre qualche giorno alla settimana, si occupa della casa, della cucina, cura le piante e segue Cecilia e Egidio nelle loro necessità. L’incontro nel 2005 con Cecilia ha dato una svolta decisiva alla vita di Angela. «Vivevo un periodo buio, oscurato dalle paure – dice Angela –. Questa donna dal carattere forte e dolce mi ha fatto vedere una strada nuova, in cui imparare a superare le difficoltà con pazienza e serenità, facendo nascere una bellissima amicizia fraterna, in cui si discute anche e ci si confronta».

«Il dolore, se preso fra le mani, diventa motore – aggiunge Cecilia –. Non voglio cantare un inno al dolore, ma dire che bisogna scegliere se ripiegarsi e restarne succubi o scegliere di mettersi in gioco per vedere anche il dolore dell’altro». Per molto tempo Cecilia ha disegnato meravigliosi volti di Madonne e ora che l’uso della mano è più difficoltoso, realizza le sue opere grazie al computer. «Sono sorretta anche dall’aiuto della tecnologia. Uso il computer e il telefono in viva voce con cui posso comunicare con tante persone. Ricevo fotografie e messaggi e la mia è una casa molto viva, una realtà aperta che i muri non chiudono».

A breve sarà presentato un libro curato dai cugini Maria Carla e Rinaldo Mangili con la raccolta di racconti e riflessioni a lei care. Sono i messaggi che Cecilia per diversi anni ha inviato agli amici ogni fine settimana. «In lei convivono sensibilità artistica e spirituale – scrivono i cugini nell’introduzione al libro –. Nel cuore della sua stanza si è andata formando negli anni una vera e propria comunità di persone, caratterizzata da una modalità di interrelazione che non è azzardato definire evangelica, fatta di scambi reciproci e di tanta gratuità».

«Vorrei dire grazie all’amore – scrive Cecilia nelle prime pagine del volume – che mi ha acceso la scintilla della gioia di vivere la mia storia con passione».

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