«Sopravvissuta ad Auschwitz»
La testimonianza di Liliana Segre

Da giovedì 22 gennaio in edicola con «L’Eco di Bergamo» il libro di Emanuela Zuccalà.Una intensissima intervista a una delle ultime testimoni dirette dell’Olocausto.

«Grazie per averci reso tutti testimoni attraverso la sua testimonianza»; «Ascoltando la sua testimonianza, ho capito quanto sono fortunata, e che a volte io e i miei coetanei ci lamentiamo per cose insignificanti». I ragazzi e Liliana Segre. Una delle ultime testimoni dirette, ormai, dell’olocausto. Da giovedì 22 gennaio a sabato 7 marzo, per celebrare la Giornata della Memoria, con «L’Eco di Bergamo» in edicola sarà venduto «Sopravvissuta ad Auschwitz», di Emanuela Zuccalà (€ 8,90 + prezzo del quotidiano). Una intensissima intervista concessa dalla Segre alla giornalista di «Io donna» (Edizioni San Paolo, pp. 155). Presentazione di Carlo Maria Martini.

Nata a Milano nel settembre del 1930, da famiglia ebraica, a otto anni Liliana viene espulsa dalla scuola, a seguito delle leggi razziali. Da qui il racconto prende le mosse. A tredici, dopo un fallito tentativo di emigrare in Svizzera, la giovane viene arrestata, reclusa a San Vittore, e poi inviata, dal famigerato binario 21, al campo di Auschwitz. Deportata il 30 gennaio del 1944, ritorna a Milano nell’agosto del 1945. Già orfana, a un anno, di madre, vede il padre per l’ultima volta sulla Juden Rampe, ad Auschwitz. Dove vengono divisi gli uomini dalle donne.

Un incontro importantissimo, per Emanuela, quello con Liliana. Anche perché i sopravvissuti alla Shoah sono rimasti, per ragioni anagrafiche, davvero pochissimi. Tra loro, Liliana è «speciale»: nelle sue parole «mai odio, o desiderio di vendetta; e riesce a raccontare non solo la sua tremenda esperienza nel lager, ma anche come, dopo, è riuscita a scegliere la vita, a ricostruirsi un’esistenza piena d’amore»: a uscire, insomma, anche con la mente, dal campo. Altri non ce l’hanno fatta. La Segre, ancora, riesce ad arrivare al cuore dei ragazzi. Porta la sua testimonianza soprattutto nelle scuole. Le ragazze quasi si identificano: lei racconta se stessa bambina e adolescente. Il libro, narrato dalla Segre in prima persona, è il precipitato di una intervista protrattasi per mesi: dopo un’ora, un’ora e mezza si stancava. E non se la sentiva, peraltro, di prendere in mano, lei, carta e penna. Paura, forse, della pagina bianca. Una testimonianza come un debito da pagare, verso quelli che non sono tornati. Come Janine, ragazzina francese appena più grande di Liliana. Al campo, c’erano periodiche selezioni per la vita o la morte. «Si sfilava nude davanti ai medici, che decretavano gas o vita/lavoro». Liliana ne supera tre, racconta l’umiliazione, il terrore. Janine, riccioli biondi appena ricresciuti dopo la rasatura, non passa. Nella sopravvissuta, per sempre, il rimpianto di non averle detto nulla, in quel momento supremo: nemmeno «ciao» o «ti voglio bene». «Mi accorsi di essere diventata anch’io una belva senza sentimenti. Mi spaventai molto anche per come mi stavo riducendo». In calce al volume, un’appendice, molto cara alla testimone: una raccolta di bigliettini e lettere inviatele da ragazzi che l’hanno ascoltata.

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