In cerca
di nuovi equilibri

«Quand’è che usciamo, quand’è che ci liberano? Noi parole vogliamo essere vive, parassitare i viventi, descrivere le azioni vitali dei mortali, farci leggere». Le parole come strumento di indagine, come esplorazione del mistero, come argilla che si modella sulla forma delle cose in un processo insieme artistico e filosofico: sono alcune delle chiavi di lettura de «Il brevetto del geco» di Tiziano Scarpa (Einaudi, pp. 336, euro 20).

Il narratore, «L’Interrotto», è incorporeo, si esprime solo per scritto. È un osservatore scettico che interviene in corsivo nel testo tenendo il filo di una storia complessa, che prefigura la nascita dell’ipotetico (e surreale) movimento religioso della «Nuova insurrezione cristiana», i cui adepti «non aderiscono ad alcuna dottrina teologica professata in modo esplicito e quindi tacciabile di eresia. Non fanno proclami, agiscono».

L’Interrotto finge di ricostruirne la nascita, anzi, un «preambolo». Tiziano Scarpa si presenta come padrino dell’opera, «a servizio del romanzo» come se il testo disponesse di una personalità indipendente, capace di scandagliare la società contemporanea ingigantendone i particolari, fino a evidenziarne le crepe minuscole, nascoste nell’intimo delle persone, addentrandosi nel rapporto che hanno - per esempio - con la fede. Il procedimento è lo stesso usato da Federico Morpio, artista incompreso, uno dei personaggi principali della storia, che elabora ritratti digitali dei suoi modelli esasperando la grana della pelle, scovandone perfino i microrganismi. Ridotto sul lastrico, viene definitivamente distolto da questa pratica bizzarra dalla malattia e dalla morte del padre, che per lui diventano una sorta di «illuminazione»: intravede nella possibilità di prendersi cura degli altri un nuovo punto di equilibrio.

Sullo stesso cammino si pone Adele, giovane impiegata troppo sola. Vedere un geco, creatura di Dio, incapace di arrampicarsi su una pentola di teflon, invenzione umana, diventa per lei una specie di epifania che la convince a convertirsi al cristianesimo. Segue le tracce del sacro nell’arte, attraverso le installazioni luminose di Dan Flavin e l’integrale per organo di Messiaen. Fa nuove scoperte davanti al «Cristo morto» di Mantegna e alla «Cena di Emmaus» di Caravaggio. I percorsi di Adele e Federico si intrecciano solo, in modo inaspettato, alla fine, e delineano un’insolita educazione dei sentimenti.

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