Maria Vittoria è una donna di quasi quarant’anni, matrimonio ridotto a comunicazioni di servizio, marito che parla (grugnisce?) col contagocce, per dirle, perlopiù, cose sgradevoli con tono sgradevole; e per accompagnare, perlopiù, cospicui carichi di camicie da stirare. Marvi (così soprannominata da amici e parenti) ha appena perso il lavoro. Vive a Livorno. In un agosto caldissimo, la Tania, del locale ufficio del lavoro Acli, la mette in contatto con Elisa, una musicista che ha bisogno di una persona per il padre, da poco ottuagenario, cieco da dieci anni. Sarà, per tutto il romanzo, «il Professore». Prima ancora che le faccende domestiche, conta che l’incaricata sappia leggere. La delineazione dei caratteri, la graduale costruzione del rapporto fra i due, nel caos delle presenze che affollano la casa dell’anziano, è la colonna portante di «Niente caffè per Spinoza», di Alice Cappagli (Einaudi, pagine 278, euro 17,50). Luciano ha fatto il pieno di luce, prima di perdere la vista. La sua casa è spoglia di tutto, ma strapiena di libri. Viene presentato a Maria Vittoria come un tipo un po’ «esigente», «difficile», poco trattabile. E invece si rivela, gradualmente, tenerissimo, estremamente signorile e delicato nei modi, pieno di singolarità, fissazioni, tic perlopiù inoffensivi. Ha sempre freddo, anche in pieno agosto; «sente» il meteo, prevedendo la pioggia; è fissato con la precisione, il fare le cose per bene, nella formulazione delle frasi come nell’esecuzione di qualsiasi compito. Le più piccole occorrenze della vita accendono in lui - due lauree, una vita per l’insegnamento della filosofia - collegamenti, ricordi di luoghi puntualissimi di grandi pensatori: da (in ordine di apparizione) Schopenauer, a Epitteto, a Hegel. Mentre il suo essere totalmente impratico intenerisce la più semplice Marvi, spesso in ansia perché il Professore «inforca le porte» o rischia di inciampare, quest’ultimo, sempre temendo di annoiarla, continua con la donna di servizio a «fare l’insegnante», producendo citazioni a memoria e spiegazioni atte all’interlocutrice. Un rapporto delicatissimo, di mutualità reciproca, che la Cappagli racconta, molto efficacemente, con tono quasi ovunque sdrammatizzante, terra terra, quasi comico: ogni volta riportando, alla consistenza tangibile, concreta, mediocre della vita, le elaborazioni della filosofia; e ogni volta restituendo, però, queste ultime, a una loro sponda/scaturigine esperienziale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA