Il piacere di leggere
Martedì 03 Settembre 2013
A Beirut un antidoto
alla violenza
Aaliya significa «la sublime», «la suprema»: è un nome che contiene un'invincibile dignità. La protagonista de «La traduttrice» dello scrittore giordano Rabih Alameddine (Bompiani) vive sola in una vecchia casa di Beirut.
Aaliya significa «la sublime», «la suprema»: è un nome che contiene un'invincibile dignità. La protagonista de «La traduttrice» dello scrittore giordano Rabih Alameddine (Bompiani) vive sola in una vecchia casa di Beirut. Si è sposata a sedici anni, suo marito l'ha lasciata quando ne aveva venti, non ha avuto figli. Ora è anziana, per coprire i capelli bianchi usa un'improbabile tintura blu che dà un aspetto misterioso alla sua figura alta e asciutta. A farle compagnia sono da sempre i libri: ha trascorso la vita in una libreria di cui ha letto quasi tutto. Le parole di grandi autori, scrittori e poeti, hanno colmato il vuoto e la malinconia del suo mondo e così lei ha deciso di dedicare la vita a tradurre in arabo dal francese o dall'inglese le opere che preferiva.
Lo ha fatto per se stessa: tiene tutte le sue traduzioni nascoste nella «stanza della domestica», un piccolo spazio annesso alla sua casa che usa come ripostiglio. Sulla scrivania di quercia che ha acquistato quando è morto il proprietario della libreria dove lei lavorava da cinquant'anni conserva una copia de «Le città invisibili» di Italo Calvino, «bruciacchiato nell'angolo a destra in basso, ma soltanto il retrocopertina e le precedenti ventidue pagine. Lessi il libro a lume di candela mentre la gente si ammazzava fuori dalla mia finestra, mentre la città bruciava». Sullo sfondo del romanzo brillano immagini vivide del Libano martoriato dalla guerra, dal continuo conflitto con Israele. Aaliya sente che la sua vita, come dice uno dei suoi autori preferiti, Javier Marias, è plasmata anche dalle parole che non ha detto, dalle scelte che non ha fatto, dai desideri che non ha realizzato. I suoi compagni sono Kant, Cartesio, Kirkegaard, Pessoa, Marguerite Yourcenar, Virginia Woolf, e Hirsch che le offre con i suoi versi mille occasioni di immedesimazione. L'amico Amhad le procura un kalashnikov che prende il posto del marito accanto a lei e la protegge dalla condizione di donna sola «separata», infelice e vulnerabile.
«Se traduco la Yourcenar - scrive - posso essere il mio Adriano. Posso costruire la mia città. Posso essere imperatore per un anno». È la cultura, sono le storie la risorsa inesauribile di Aaliya, quella che le dà la forza di affrontare le difficoltà, di alzare la testa e risollevarsi dalle angosce quotidiane, di trovare l'amore che la vita non le regala. Alameddine, già autore di «Hakawati. Il cantore di storie», dimostra ancora una volta il suo talento di narratore, raccontando una storia di carne e sangue, tanto da far risultare vera la citazione di Richard Flanagan che apre il volume: «Forse leggere e scrivere libri è una delle ultime difese che rimangono alla dignità umana, perché ci ricordano (...) che siamo più di quel che siamo, che abbiamo un'anima. E anche di più. O forse no».
Sabrina Penteriani
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