Il piacere di leggere
Lunedì 24 Giugno 2013
«Joyland»
di Stephen King
C'è un parco divertimenti defilato e un po' vecchiotto, con una grande, tradizionalissima, ruota panoramica e una mascotte un po' kitsch e molto americana, il Simpatico Howie, pastore tedesco. Questa l'ambientazione di «Joyland» di Stephen King.
C'è un parco divertimenti defilato e un po' vecchiotto, con una grande, tradizionalissima, ruota panoramica e una mascotte un po' kitsch e molto americana, il Simpatico Howie, «un pastore tedesco con gli occhi azzurri, vagamente somigliante al famoso segugio dei cartoni animati, Scooby Doo». L'ambientazione, diciamoci la verità, è piuttosto classica per un thriller ad alta tensione.
Così ci mettiamo a leggere questo «Joyland» di Stephen King (Sperling & Kupfer) con un pizzico di scetticismo. Sarà la solita «avventura nera», con qualche fantasma nascosto nel «Castello del brivido» e la giusta profusione di delitti efferati e colpi di scena? Ma lui, grande maestro di genere qual è, ci strizza l'occhio, fin dall'inizio, manovrando con sapiente ironia le leve della sua grande narrativa. Del resto, ce lo aspettiamo da un autore che ha venduto in tutto il mondo 400 milioni di copie dei suoi libri e ha ispirato registi come Stanley Kubrick, Brian De Palma, Rob Reiner e Frank Darabont. Il protagonista è uno scrittore sessantenne (l'autore è del 1947, perciò ci siamo) che rivive la sua giovinezza, nell'estate 1973, quando era uno studente squattrinato e con il cuore a pezzi: «La gente ? scrive? pensa che il primo amore sia tanto dolce, e lo diventi ancor di più quando il legame si spezza. Ma quella ferita è la più dolorosa, la più lenta a guarire e lascia una cicatrice orribile. Che ci sarà di dolce...».
È solo il primo passo per far crescere il legame di empatia tra Devin Jones e i suoi lettori, in un clima sottilmente malinconico e nostalgico, che ricorda romanzi come «Il miglio verde» e «Le ali della libertà» (ma parliamo comunque di un King di tono minore). Devin trova lavoro nel parco «Joyland», diretto dal proprietario ultranovantenne. Incontra una veggente che ostenta un forte accento rumeno, una stramba vedova che gli affitta una stanza, due coetanei con cui stringe una solida amicizia. E poi sì, nel Castello del brivido c'è davvero il fantasma di una ragazza uccisa anni prima. E il custode di quest'attrazione è naturalmente burbero. Devin si innamora di nuovo (e a questo punto i lettori fanno ovviamente tutti il tifo per lui) e deve sconfiggere il male che si annida a «Joyland». Messi così in fila, effettivamente, sono ingredienti un po' scontati. A fare la differenza è la scrittura, che scivola via senza mai una caduta di ritmo. E a questo punto i casi sono due: come a un bravo cuoco basta una materia semplice e genuina per creare un piatto coi fiocchi, così a Stephen King bastano pochi elementi basici per mettere insieme un buon romanzo, meno «horror» di altri. Oppure, a scelta, a uno scrittore di questo livello e di questa popolarità non è più richiesto lo sforzo di essere particolarmente originale. Comunque sia, «Joyland» merita il suo posto sotto l'ombrellone.
Sabrina Penteriani
© RIPRODUZIONE RISERVATA